Si sente a casa Dario Brunori quando sale sul palco dell'Afterlife e non lo nasconde: "Ho l'impressione che ci siano un sacco di terroni fuori sede stasera". È vero. Per molti universitari del Sud, Perugia rimane la città più settentrionale in cui abbia senso trasferirsi per studiare.
C'è anche un pubblico molto più adulto, però, e l'ultimo disco, a dirla tutta, sembra scritto proprio per arrivare meglio a quest'altra fetta di platea. "Vol. 3" è stato l'album di transizione, "A casa tutto bene" - che guarda caso non è stato chiamato "Vol. 4" - quello della trasformazione, dove l'apollineo sovrasta il dionisiaco.
Meno scanzonato e più riflessivo, il Brunori di oggi viene fuori soprattutto nella prima parte del concerto. Quello delle origini - di "Guardia '82", "Come stai", "Rosa", "Fra milioni di stelle" - arriva come un ospite in ritardo, ma è tutto calcolato. Il live è fatto per salire di colpi. Quello che sorprende, semmai, è come il nuovo non perda il confronto con il vecchio. Le storie sui poveri cristi vengono accolte dal pubblico con un po' più di calore, ma la differenza non è abissale, sintomo del fatto che il nuovo disco della Brunori SAS è stato tutt'altro che un giro a vuoto.
Anche quando si pesca dal lavoro più debole, lo si fa con mestiere; così il singalong de "Le quattro volte" - se si esclude l'inno brunoriano per eccellenza, "Guardia '82" - tocca il picco dei decibel all'interno del club perugino. Paradossalmente, ad ogni passaggio in cui Brunori canta "si può nascere un'altra volta", la sua voce soffre un po' di più. A pagarne le conseguenze è la successiva "Don Abbondio" - con un testo tra i più interessanti dell'intera discografia. Chi non conosce le parole, purtroppo, dovrà accontentarsi di carpire il significato ad intermittenza.
Eppure si va fino in fondo senza troppi problemi, trascinati da una band di sei elementi che serve sul piatto qualità e quantità, a seconda delle esigenze del momento. Se la band fosse un calciatore, sarebbe un centrocampista eclettico che è pronto a dare l'apporto di cui la squadra ha maggiormente bisogno. Sei musicisti come Claudio Marchisio, insomma. La similitudine è la più nazionalpopolare possibile, ma tra gli effetti che produce un concerto della Brunori SAS, c'è anche questa empatica consapevolezza di potersi concedere tutto, purché non si esageri mai.
D'altro canto, il segreto di Brunori risiede in quella rara capacità di non svilire il genere pop. Spesso dà l'impressione di essere a un passo dal rovinare un pezzo con della scialba retorica o con dell'ipertrofico romanticismo, ma riesce sempre a salvarsi con un colpo di reni: che sia un finale a sorpresa nel plot o una riflessione più profonda del solito.
Forse è proprio questo quello che dovrebbe fare la musica popolare per potersi considerare "buona". Pencolare tra leggerezza e occasionale riflessione.