C'è Ciampino accanto all'Ippodromo di Capannelle e ogni due minuti, se alzi gli occhi, puoi vedere un aereo che sorvola la tua testa per alzarsi e andare chissà dove.
Daniele Silvestri lo sa, questo non è un concerto come tutti gli altri. Per uno che suona dove è nato, non è mai un evento come tutti gli altri. I nove musicisti che lo accompagnano sembrano avvertirlo e colorano con zelo ogni sfumatura che lui vuole dare al proprio suono. Sono i colori del mondo, non solo di Roma. Il suo viaggio passa per le strade della Capitale e il vicino litorale ("Ma che discorsi" e "A me ricordi il mare"), ma è solo il punto di partenza, l'inizio di uno spartito che riporta il suono della terra perché figlio dell'intero mondo, un aereo che decolla e ti porta a vedere posti differenti, un po' come gli stormi che rullano su Ciampino.
"Visti da qui, siamo tutti piccoli, coriandoli coloratissimi", diceva nel 2002 e, dopotutto, a Daniele è sempre piaciuto fermarsi a guardare dall'alto, per assumere una visione un po' più globale e per cercare di vedere oltre la punta del proprio naso. Stasera ripesca da quell'anno e da tanti altri, anche molto più distanti, visto che il concerto è pensato per essere una specie di antologia. Cita persone più o meno importanti, più o meno note, più o meno apprezzate, così da contestualizzare il momento in cui quel brano aveva visto la luce. Canta "Testardo" e dipinge il romano, chiude con "Cohiba" e guarda lontano, "dall'Africa alle Ande". Si sorprende quasi, quando ottomila persona urlano "l'anima de li mortacci tua", come se fossero nate tutte là intorno. Vale perfino per la ragazza accanto a me, che viene da Linate e che vive a Roma da una vita, ma che l'accento romano quello no, "quello non l'ho mai preso". Vorrebbe tanto che facesse "Acrobati", ma per farmi dire qual è la canzone che sta aspettando devo chiederglielo più di una volta, come se si vergognasse di ammetterlo. "È che forse è un tantino malinconica...". Non so se la farà, ma sono sicuro che da Linate partono tanti aerei.
Daniele chiama sul palco il batterista della sua infanzia e rispolvera "Il flamenco della doccia", poi strizza l'occhio a tutti e sbandiera i successi. "Salirò" (con Pasquale Petrolo, in arte Lillo - un figlio della Tor Pignattara degli anni Sessanta - sul palco a fare da ballerino), "Occhi da orientale", "Il mio nemico", "Desaparecido", "Banalità", non manca quasi nulla. Forse "Acrobati", che malinconica o no, alla fine, non verrà mai suonata; di certo manca "L'autostrada", che è una di quelle cose talmente belle che lasciarle fuori è come offendere qualcuno o profanare una luogo sacro. Ma in più di tre ore di concerto, anche questo diventa un piccolo dettaglio.
Finisce tutto come è iniziato, con l'ennesimo volo che parte sopra la mia testa. Quando li vedo così vicini, mi chiedo dove saranno diretti e sogno di prenderli, un po' per fuggire, un po' per scoprire. Stasera no. Almeno per tre ore, stasera, mi è piaciuto guardarli dal basso e rimanere dov'ero.
E c'è una strada sottilissima
che non riesco più a vedere,
se continui ad aggrapparti rischiamo di cadere,
di cadere oppure fingere un'altra acrobazia,
è una questione di equilibrio
e l'equilibrio è una filosofia"
(
Daniele Silvestri - Acrobati)