
Chi stiamo aspettando? I Fates Warning, tra i padri del progressive-metal, una delle band che più aveva fatto sentire la sua assenza in Italia fino al ritorno in grande stile di "Darkness In A Different Light". Di certo, se la forma di Ray Alder è questa, è più che benvenuto da queste parti: non è più lo stesso che sbraitava in “No Exit” ma l’invecchiamento del texano (di origini colombiane) non poteva essere più felice. Il timbro è più caldo che mai, ma la potenza sembra addirittura rigenerata se confrontata alle buone performance dei due ultimi tour italiani.
Sarà che lo Zona Roveri sembra proprio un posto finalmente all’altezza del tasso tecnico proposto dalla band, ma l’impressione di buona salute è subito estendibile a tutti componenti della band. Escluso un avvio incerto, dovuto a qualche evidente quanto poco comprensibile pasticcio al banco del mixer che ha sballato i livelli degli strumenti per almeno tre brani, il muro di suono è solido e ben definito. Joey Vera è il solito diavolo al basso e Jarzombek pesta le pelli come un dannato. Quando poi i riff di sua altezza Matheos e del giovane rampante Michael Abdow si incrociano, in una parata che fa tanto anni 80, la pressione sonora è di quelle da amarcord.
La scaletta è varia e intelligente: classico e nuovo vengono alternati con equilibrio e il nuovissimo “Theories Of Flight”, un disco decoroso ma di certo non all’altezza del suo predecessore, acquista dal vivo la scintilla che mancava in studio, complice anche l’ottima scelta dei brani: “From The Rooftops” si conferma un'ottima apertura e “Seven Stars” e “The Light And Shade Of Things” fanno cantare tutti con i loro ritornelli catchy.
Ma, com'è giusto che sia, la scena viene rubata dai grandi classici presenti in “A Pleasant Shade Of Gray”. Oltre alla solita “Part III”, sorprende la presenza della toccante ballata “Part IX”. Un po’ di amaro in bocca rimane per l’esiguo spazio concesso a quello che probabilmente è il disco più innovativo e riuscito della band, “Disconnected”, ma ci si può più che consolare con l’estratto più coinvolgente della mastodontica “The Ivory Gates Of Dreams”, quella “Acquiescence” dove Ray dà fondo a ogni riserva.
Chiude due ore di spettacolo il poker di nostalgia “The Eleventh Hour”, “Point Of View”, “Through Different Eyes” e “Monument”.
Qui a Bologna c'era una gran fame di loro, lo si vede dai tanti presenti accorsi nell'ottimo Zona Roveri. Vista la presenza nel suolo italico sempre più confermata negli ultimi anni, unita all'arrivederci a quest'estate che si è fatto sfuggire il buon Ray, è realistico sperare che non dovranno passare altri lunghi periodi di astinenza. Per fortuna.