Uno dei tanti "best of" possibili dai due volumi de “L’amore e la violenza”, pubblicati nello spazio di un anno, più un’attenta selezione dal passato: questo in sintesi il tour più luminoso e “rock” mai realizzato dai Baustelle. Venti canzoni rese con un’intensità rafforzata dalla dimensione raccolta dei live club che stanno ospitando questo giro di date, lontani dall’atmosfera troppo ingessata degli auditorium e dalla dispersività degli spazi aperti. Abbiamo assistito allo show romano, tenuto all’Atlantico Live, durante il quale fan e curiosi sono tornati a ballare, tutti in piedi, e a essere abbagliati dalle luci al neon poste alle spalle della band, con quella scritta “Baustelle” così anni 80 che troneggia sugli otto musicisti. Un trionfo di synth e (finalmente!) chitarre che non genera mai caos e non mette a rischio la ricercatezza dei suoni, ricreata sul palco dalla migliore line-up di sempre dei Baustelle, una sorta di supergruppo allargato, con quasi tutti i membri titolari anche di interessanti carriere soliste.
Due gli opening act selezionati per questa serata, due giovani cantautori che si stanno ritagliando un po’ di spazio nell’affollato circuito indie nazionale. Il primo è Francesco De Leo, ex-Officina della Camomilla, che si esibisce in perfetta solitudine, voce e chitarra elettrica, bravo a rompere il ghiaccio senza timori per presentare i fragili e introversi bozzetti contenuti ne “La malanoche”. Evidente la prossimità con Calcutta, non solo stilistica ma persino estetica (!): forse non è un caso se la label è la medesima del cantautore pontino, Bomba Dischi. Il secondo è Andrea Poggio, chitarra a tracolla e corista a fianco, qui per promuovere le canzoni di “Controluce”, anche lui con un passato in una band, i Green Like July, e un presente cha sa tanto di baustellismo, vedi la conclusiva “Mediterraneo”, posta non a casa a fine set, prima della quale Poggio ringrazia Sebastiano De Gennaro, il batterista della formazione di Montepulciano, per aver arrangiato il proprio album.
Giovani cantautori crescono e aspirano a essere i Bianconi del futuro, ma per il futuro c’è tempo, ora l’attesa è tutta per i Baustelle, che entrano in scena e abbagliano la platea con i suoni e i colori che caratterizzano lo strumentale “Violenza”. Il set, serrato e convincente, comprende i tre estratti più riusciti dell’album più recente (“Lei malgrado te”, “A proposito di lei”, “L’amore è negativo”) densi di nuove strofe mandate a memoria dal pubblico, e divenute in fretta gettonatissimi slogan generazionali. Come da tradizione, Francesco e Rachele si alternano (e spesso si sovrappongono) alla voce, con la Bastreghi che veste persino i panni della rocker consumata sulle note della tiratissima “Tazebao”. Le chitarre di Claudio Brasini (rafforzate da quelle di Andrea Faccioli) questa volta si prendono a tratti con forza il centro della scena. I cinque musicisti che si muovono alle spalle del trio storico conferiscono solidità e dinamica: oltre ai già citati De Gennaro e Faccioli, ci sono il fratello di Francesco – Ettore Bianconi - ai sintetizzatori, l’impeccabile Alessandro Maiorino al basso, e il polistrumentista Diego Palazzo, che si muove fra synth, chitarre e cori.
Nella seconda parte del concerto arrivano sprazzi di storia dei Baustelle, puntando a volte su nuovi arrangiamenti, tanto per sottolineare la voglia di sperimentare e di non ripetere sé stessi all’infinito. “Nessuno” è adagiata su un inedito tappeto sintetico minimale che conferisce ancor più slancio ai vocalizzi morriconiani di Rachele (applausi scroscianti), brividi a fior di pelle che tornano sulle note di una “Monumentale” ridotta all’osso, sulla quale la band lavora per sottrazione. Bianconi annuncia che stasera si parlerà anche di politica, e introduce così la trascinante “Il liberismo ha i giorni contati”, unico estratto da “Amen”. Il superclassico “I provinciali” chiude il set, poi breve pausa, ed ecco i bis che si aprono con l’omaggio alla capitale “Piangi Roma”, seguito dall’inattesa e sferzante cover dei Diaframma “Valentina”, in grado di confermare l’attitudine “rock” degli attuali Baustelle.
Il congedo giunge sulle note di due fra i pezzi più amati della loro carriera, “La guerra è finita” e “La canzone del riformatorio”, il brano che più di ogni altro continua a farli percepire come la versione italiana dei Pulp. Ma Bianconi è un esperto nel campo del mimetismo e ha imparato nel tempo a trasformarsi non soltanto in Jarvis Cocker, Battiato, De André e Gainsbourg: ora conosce anche come accendere l’interruttore per azionare le luci stroboscopiche. Cavalcando il reflusso degli anni 80, i Baustelle continuano a scrivere belle canzoni dai ritornelli appiccicosi, strappando applausi non soltanto ai fan oltranzisti, ma anche a illustri colleghi: nel numeroso pubblico scorgiamo infatti visi noti, fra gli altri Daniele Silvestri e Francesco Motta, che aspettano la fine del concerto per salutare dei Baustelle visibilmente soddisfatti dopo l’ennesimo bagno di folla. Un autore sensibile (Francesco) e una splendida voce (Rachele) hanno dato vita a un meccanismo perfettamente oliato, che oggi rasenta la perfezione pop. Un meccanismo imitato, ma tuttora ineguagliato.
Violenza
Lei malgrado te
Amanda Lear
Veronica n° 2
A proposito di lei
L’amore è negativo
Il Vangelo di Giovanni
Tazebao
Baby
Jesse James e Billy Kid
Perdere Giovanna
La vita
Nessuno
Il liberismo ha i giorni contati
Monumentale
I provinciali
…. ….
Piangi Roma
Valentina (Diaframma cover)
La guerra è finita
La canzone del riformatorio