21/07/2018

Calcutta

Stadio Francioni, Latina


Per Edoardo D’Erme quella del 21 luglio 2018 è stata con tutta probabilità la serata più emozionante della propria vita, la proverbiale prova del nove, utile a dare una dimostrazione di forza a chi continua a porre interrogativi sul suo conto, nello scenario perfetto per prendersi tutte le rivincite contro malelingue e invidiosi di turno. Si trova nella città dove è nato e cresciuto, in quello stadio dove sino a tre o quattro anni fa pensare di esibirsi sarebbe stata pura follia: al massimo avrebbe potuto entrarci per assistere a una partita della squadra che nel frattempo è rovinosamente finita in Serie D dopo il recente fallimento societario.
Ha girato in lungo e in largo la penisola con il tour di “Mainstream”, ma quest’anno Calcutta proporrà concerti integrali in sole due occasioni: oggi a Latina, nello stadio della sua città, e ad agosto nell’Arena, si, proprio quella, l’Arena di Verona. Da mesi ha scelto di fermarsi (eccetto fugaci apparizioni al MI AMI e al Festival romano dell’etichetta Bomba Dischi) per non correre il rischio di inflazionarsi troppo, ma nel frattempo è uscito “Evergreen”, e quasi tutte quelle canzoni oggi verranno suonate in pubblico per la prima volta.

E’ una serata memorabile per Latina, che vive l’evento con stupita partecipazione, da queste parti non si è mai stati troppo abituati a vivere eventi grandi, così poco abituati ad averli dentro casa che c’è chi protesta per quattro strade chiuse al traffico, o per l’affluenza di giovani che si riverseranno nel capoluogo pontino (si narra che soltanto 2-3.000 biglietti, sui complessivi 15.000 venduti, siano stati acquistati in città), anche perché – ahimè - Calcutta è uno di quei tanti casi per i quali si può davvero utilizzare l’adagio “nessuno è profeta in patria”.
Bomba Dischi trasforma per l'occasione lo show in una grande festa della label, portando sul palco prima dell’attrazione principale i rappresentanti di scuderia Mèsa, Francesco De Leo e Frah Quintale, scaglionati di un’ora uno dall’altro. Fin quando alle 21,50 entra in scena lui, visibilmente commosso, lasciando almeno inizialmente agli schermi il compito di parlare al suo posto, come sull’attacco dell’iniziale “Briciole”, quando appare gigante la scritta “Benvenuti a questo concerto”.

Calcutta è cresciuto, tanto, snocciola le nuove tracce alternate a quelle di “Mainstream” e a qualche ripescaggio dal precedente “Forse…”, sono le canzoni di una generazione, che tutto lo stadio ripete a memoria, e lui si concentra sul cantato, utilizzando molto meno che in passato chitarre e synth. Alle spalle si muove una band vera, e numerosa, con tanto di coriste, percussionista e due chitarre. Un’ora e mezza di canzoni, tutte sue, senza nessuna cover a far da riempitivo, non servono, non se ne sente il bisogno.
Le imprecisioni e il fare quasi svogliato che caratterizzarono i suoi esordi sono sostituiti da un comportamento da professionista vero: voce sempre intonata (grazie anche alla vocal coach che si prende cura di lui), zero sigarette, zero alcol, visibilmente dimagrito, giorni di prove, isolamento nelle ore che hanno preceduto lo spettacolo, uno show che pone al centro dell’attenzione quella poesia metropolitana in grado di uscire dalla provincia per diventare universale, quella poesia che oggi ritorna a casa, nell’ambiente dove per gran parte è stata pensata e costruita, dove si percepisce come ancora più vera, specie per chi capita da queste parti per la prima volta.

“Orgasmo”, “Paracetamolo”, “Cosa mi manchi a fare”, sono questi i fiori all’occhiello di una prima parte di scaletta che riserva anche momenti più intimi e ripescaggi da un passato che sembra ormai lontano anni luce. Qualche frangente è studiato per lasciar presagire interessanti sviluppi futuri, vedi la deriva electro (quasi una sua versione dei Chemical Brothers) di “Dal verme”, seguita da una “Nuda nudissima” dove le chitarre (una è suonata da Giorgio Poi) prendono per una volta il sopravvento.
Per “Oroscopo” sale sul palco Tommaso Paradiso, nel duetto a sorpresa, un grande regalo per i fan; nel corso dello spettacolo il giovane cantautore pontino saprà anche regalare momenti di ilarità, come quando invita il pubblico a urlare all’unisono un “Ciao Nonna” in direzione proprio della nonna di Calcutta, che abita a pochi isolati di distanza.

Nei bis la sequenza (si può tranquillamente già parlare di veri e propri inni generazionali) “Gaetano”/“Frosinone”/“Pesto” conferma una volta di più il livello di notorietà raggiunto da Edoardo. La sensazione è che molte di queste canzoni siano destinate a rimanere, come una “50 Special” dei Lùnapop o come una “Albachiara” del Vasco nazionale: fra venti o trent’anni saranno ricordate come fulgidi esempi di quell’It-Pop che tanto successo ebbe negli anni 10. A Calcutta l’obbligo di non perdersi, di continuare a smentire tutti coloro che lo pronosticano come meteora destinata a un precoce smarrimento: e invece resterà là, ne siamo certi, ha già fatto passi giganteschi, e fra pochi giorni l’Arena di Verona non potrà che decretare la definitiva consacrazione del musicista pontino.
In questi giorni a Latina tutti si sentono in dovere di dire la propria sull'evento, qualunquisti, opinionisti del sabato sera o fan sinceramente affettuosi, e - come spesso accade - sui social sono gli instancabili hater a prevalere. In tanti vogliono ritagliarsi i meriti per l’ottima riuscita di una serata (ma gli amministratori locali pensino piuttosto a trasformarla in un’opportunità, impegnandosi a dare seguito e continuità a certi fermenti) che ha fatto sentire una città di provincia per poche ore il centro del mondo. Ma quando le luci dello stadio si sono riaccese è stato lui, e soltanto lui, a poter dire di aver vinto: Edoardo è stato bravo, credibile, dimostrando come la semplicità e la modestia possano sfidare e persino sconfiggere invidie e scetticismi. Una canzonetta magari non riuscirà mai a cambiare il mondo, ma è ancora in grado di rendere unica una notte come questa.

(Foto di Kimberley Ross)