04/11/2018

Colin Stetson

Triennale - Teatro dell'Arte, Milano


“Ricordati di respirare”, mi sono detto. “Bei respiri profondi, perché tanto sul palco non ci sei tu ma quel prodigio della natura di Colin Stetson”. È così a ogni occasione in cui vado a sentire un fiatista in solo, dalla prima volta in cui mi è capitato di ascoltare la “Sequenza” per fagotto di Luciano Berio: al termine di quella decina di minuti mi sentivo le mani fredde, la bocca completamente asciutta, come se quelle lunghe note sostenute le avessi sorrette io per tutto il tempo, con le mie sole forze di non musicista senza alcun allenamento. E lo stesso mi è capitato quando mi sono ritrovato Colin per puro caso in apertura al concerto della prima reunion dei Godspeed You! Black Emperor, nel gennaio del 2011. Era appena uscito il suo secondo lavoro solista per la Constellation, “New History Warfare Vol. 2”, ma ancora nessuno sapeva di avere davanti un talento così fulgido e singolare, capace di portare l'arte del sassofono a nuovi, impensati livelli.

In un programma di prestigio come quello di JAZZMI 2018 non poteva certamente mancare un appuntamento così intenso, capace di richiamare il pubblico più giovane come quello degli avanguardisti di vecchia data, ma entro un raggio di interesse che sconfina ampiamente quello del jazz puro – l'ibridazione feconda, questa la vera chiave di una rassegna che mai come ora invita tutti alla partecipazione.
E dunque eccoci di nuovo nella platea del Teatro dell’Arte presso la Triennale, a tre giorni dall'inaugurazione con lo straordinario concerto per il cinquantenario dell’Art Ensemble of Chicago. Tre sassofoni silenziosi sul palco, uno dei quali – il basso – sempre più imponente di come ce lo si ricordava. Poche parole di introduzione da parte del direttore artistico ed ecco che entra in scena: fisico allenato ma non certo titanico, barba e cipiglio da artista consumato, a malapena saluta il pubblico e prende in mano lo strumento più classico, il sax tenore.

Un bel respiro e dagli speaker si diffonde una nuvola pervasiva di suono amplificato e riverberato: la meditazione quasi sacrale di “Spindrift” è il primo di soli sei brani eseguiti questa sera, il che lascia già intuire la durata media di ciascuno. ogni cambio di strumento prelude infatti a una prova di forza, se possibile ancora più sbalorditiva della precedente, in un continuo e stoico superarsi che è proprio dell'intera discografia di Stetson, giunta a nuove vette espressive e tecniche con “All This I Do For Glory”, raccolta nella quale vengono accentuate ulteriormente le qualità percussive e i vocalizzi coi quali forse lui soltanto è in grado di attraversare le turbinose linee melodiche circolari, eredità minimalista che oramai gli scorre spontaneamente nelle vene.
Ciò che non mi aspettavo, sinceramente, era di poter assistere già questa sera ai futuri sviluppi di un sound già così fortemente connotato e riconoscibile: il luccichio argentato del clarinetto contrabbasso – utilizzato anche nella recente colonna sonora di “Hereditary” – si traduce in uno scuro e squassante drone al termine del quale un nuovo pattern additivo va stratificando elementi inediti e ancora difficilmente inquadrabili, in un’atmosfera che sembra coniugare i notturni dubstep di Burial con le fitte ragnatele glitch dei Pan Sonic più riduzionisti.

Ma al di là delle influenze più o meno evidenti o esplicitamente dichiarate – ad esempio, gli intarsi ritmici di Aphex Twin per “In The Clinches” – come si fa a ignorare la natura sostanzialmente spirituale di queste immersioni soliste? Come non riconoscere lo stesso anelito a un’elevazione assoluta, una pura trascendenza oltre l’arte e la vita terrene? Gran bei paroloni, direte, almeno finché non avrete la stessa occasione di saggiare in prima persona la sconvolgente veridicità di un simile live act, polifonia del sé alla quale nessun guru potrebbe ambire.
E se anche nel giro di poco Stetson dovesse raggiungere un vicolo cieco e non poter più spingersi oltre quel limite che per sua natura tenderà sempre a superare, avrà comunque già fatto abbastanza per essere ricordato e per farci essere orgogliosi di poter assistere a un tale trionfo nel nostro periodo di vita.