27/02/2018

Ghostpoet

Quirinetta, Roma


di Claudio Lancia
Ghostpoet

Il Quirinetta è pieno, nella serata più fredda dell’anno, una delle più fredde di sempre a Roma, il giorno dopo una delle rarissime nevicate da raccontare ai posteri: pur moltiplicandosi i concerti nella Capitale, il pubblico dimostra di avere sempre più voglia di vivere la musica live. Non era scontato che in tanti decidessero di affrontare diversi gradi sotto lo zero in un infrasettimanale di fine febbraio per vedere all’opera Ghostpoet, e lui, il poeta fantasma, ne è consapevole: ringrazia i presenti dopo qualche canzone, sa bene che sono condizioni meteorologiche insolite per la Città Eterna, e avrà magari qualche rimpianto per non essere arrivato a Roma qualche ora prima: l’immagine che ha postato sui canali social, che lo immortala davanti al Colosseo, sarebbe stata condita da un rarissimo velo bianco.
La strada per giungere al Quirinetta è irreale, neve ghiacciata ancora ammucchiata ai bordi delle strade, sulle aiuole e sui tettucci di alcune macchine, neve che il morbido sole del pomeriggio non è riuscito a sciogliere. Ma dentro il locale l’ambiente è caldo, intorno alle 22,45 Ghostpoet sale sul palco accompagnato dalla sua band: chitarrista con ascendenze shoegaze, sezione ritmica basso-batteria che aggiunge felici complicazioni lì dove occorrono, tastierista/violinista/voce femminile che dona morbidi movimenti alle umbratili ambientazioni dell’artista londinese.

Palco buio, poche luci tendenti ora al rosso/arancio, ora al blu, canzoni scure, testi che scivolano via trainate da un flow inarrestabile, soluzioni musicali che non sono hip-hop, non sono rock, non sono soul, non sono funk, non sono trip-hop, ma sono di tutto un po’, un meltin’ pop personale suonato con l’ausilio di una vera rock band. Dovendo cercare un’analogia, Ghostpoet potrebbe essere il nuovo Tricky, ma meno tossico di Tricky, più contemporaneo di Tricky, forse ancora meglio di Tricky, pur non potendo avere la portata rivoluzionaria di un precursore.
Ghostpoet interpreta il ruolo dell’antieroe metropolitano - di recente ha persino lasciato Londra, il luogo dove ogni artista vorrebbe essere, per trasferirsi in una piccola località sul mare, alla ricerca di una dimensione meno ossessiva - che imbastisce suoni urban, ma non quelli furbi e fighetti che puntano dritti al mainstream, qui ci si muove in zone d’ombra, cupe, notturne, generando una poetica che lascia emergere sofferenza e denuncia, paranoie e disagi del nostro tempo.

E' giunto al quarto album e c’è chi già lo vede bollito, preferendo i primi lavori più spigolosi, inafferrabili ed elettronici. Oggi pulizia dei suoni e ricerca melodica sono le nuove coordinate studiate ad arte per trasmettere un messaggio che possa giungere a un numero di persone sempre maggiore. Ma sono sfumature che dal vivo quasi non si colgono: brani vecchi e nuovi nella dimensione live si incastrano perfettamente, come facenti parte di un unico, lunghissimo disco.
Il recente “Dark Days And Canapés” è ovviamente il lavoro più saccheggiato, a partire da “Many Moods At Midnight”, posta in apertura e perfettamente in linea con l’orario dello show, poi le canzoni scivolano l’una nell’altra, una sequenza di oltre novanta minuti interrotta solo da qualche breve frase indirizzata ai presenti e dai pochi secondi di pausa prima dei due bis.

Il momento migliore arriva in corrispondenza della doppietta “Immigrant Boogie”/“Freak Show”, che chiude la prima parte dello spettacolo fra gli applausi convinti della platea.
Sornione, aggrappato al microfono come a un’ancora di salvezza, Obaro Ojimive si lascia andare a qualche movimento improvviso solo durante le digressioni strumentali, quando le chitarre e i synth puntellano cascate di suoni dai toni apocalittici, dai quali non scaturiscono sorrisi o abbracci, bensì scenari di preoccupante attualità.
Tutto molto intenso, e al di là del groove sono le parole a contare davvero tanto: c’è l’impegno sociale che trasuda da ogni frase, da quei pensieri declamati con fiera lentezza, in balia di un perenne stato narcolettico, un orizzonte ricco di sfumature pur nel suo essere volutamente monocromatico, dove il nero può al massimo diventare un grigio scuro, come nella Manchester disegnata nel post-punk dei Joy Division, come nella Bristol che generò il drum’n'bass, come nella piovosa Londra dubstep di Burial. Ghostpoet sta costruendo un nuovo importante tassello in questo fil rouge che tende ad allungarsi sempre di più.

Setlist

Many Moods At Midnight

Better Not Butter

X Marks The Spot

Dopamine If I Do

Karoshi

Yes, I Helped You Pack

Woe Is Meee

(We’re) Dominoes

MSI musmiD

The Pleasure In Pleather

Trouble + Me

Meltdown

Shedding Skin

Live > Leave

Sloth Trot

Blind As A Bat

End Times

Immigrant Boogie

Freak Show

…. ….

Cash And Carry Me Home

Liiines
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