
L’urban Spree di Revaler Strasse è una delle isole minori di quell’arcipelago di club e venue che risponde al nome di RAW - un complesso di ex-capannoni e depositi attrezzati per ospitare concerti, mostre d’arte e fiere d’antiquariato, un vero e proprio cuore pulsante della cultura alternativa berlinese. Insomma, è un localino che se ti chiami No Age ci metti un attimo a riempirlo, ma che proprio grazie alle sue dimensioni intime garantisce alle performance che ospita una piacevole sensazione di calore.
La musica di Miaux, tastierista di origini bosniache chiamato ad aprire la serata, non c’entra nulla con il noise-pop dei No Age. L’unico punto di contatto che viene in mente tra i due progetti risiede nelle dotazioni strumentali piuttosto spartane di cui si servono. Così come i No Age si sarebbero presentati sul palco armati soltanto di batteria, microfono e una chitarra, la musicista di Sarajevo lo ha fatto con una sola tastiera Casio. Le composizioni che hanno costituito la sua breve esibizione partono all’insegna di un minimal-synth scarno e ancorato alla tradizione new wave, ma poi si lasciano andare, fluendo in scorribande emozionali di ispirazione cinematografica. In pratica Mia Prce – questo il vero nome di Miaux – ha due santini sul cruscotto, quello dei primissimi Human League e quello di Michael Nyman. La notizia è che riesce a farli convivere serenamente. Davvero un peccato che la sua performance sia durata addirittura meno di mezz'ora, anche perché conquistare una folla riunitasi per celebrare tutt’altri suoni non è un’impresa da poco e la ragazza ci è riuscita.
Randy e Dean avrebbero potuto assumerlo un bassista, per rimpolpare il loro suono ruvidissimo almeno per i live. Del resto è una scelta fatta da tantissimi altri duo, che in alcuni casi sono finiti con l’assorbire in formazione un terzo membro, ma a quanto pare i californiani non sono di questo avviso. E dopo l’energia che hanno sparato dagli amplificatori all’Urban Spree non si può dar loro torto.
L’attacco con “Cruise Control” è stato così violento che dopo nemmeno tre minuti di concerto a Randy è partita la prima corda. Un paio di minuti per sistemarla, ricordando agli astanti quanto da quando Trump si è insediato alla White House gli Stati Uniti siano diventati ancora più merdosi, ed eccoli pronti partire col secondo siluro, “Stuck In The Changer”, ancora da “Snares Like A Haircut”. Proposto quasi nella sua interezza, l’ultimo disco del duo è stato il protagonista assoluto della serata, ed è stata una fortuna, dato che ha segnato il ritorno a una splendida forma dei No Age.
“Send Me”, ad esempio, ha poco più di due mesi, ma è stata cantata a memoria da buona parte del pubblico come fosse un classico. Idem per la sguaiatissima “Tidal”. Certo poi i classici veri hanno dalla loro parte anni e anni di ascolti, e così quando sono partite le varie “Teen Creeps” e “Miner” anche il pogo è stato inevitabile.
La scaletta è stata tiratissima, tanto da far sembrare che Randy e Dean abbiano evitato deliberatamente i momenti più rilassati della loro discografia. L’unico momento di pace è stato rappresentato dalla title track dell’ultimo disco, un bozzetto ambient-noise sospeso a mezz’aria, per la cui esecuzione Dean ha abbandonato temporaneamente le pelli e, impugnato un mixerino malandato, si è dedicato alla manipolazione dei feedback del compagno.
Niente da eccepire, i No Age live sono due furie. Randy suona la chitarra straziandola e si agita in una danza scoordinata durante la quale riesce a pigiare sempre il pedale giusto, mentre Dean percuote la batteria come un cavernicolo e strilla nel microfono facendosi quasi scoppiare la giugulare. Magari non sono i più dotati dei musicisti, ma grazie alla loro energia e a un talento melodico che ha portato la stampa ad accostarli a divinità come gli Husker Du, i No Age – dal vivo ancor più che su disco – sono la band giusta per incenerire un po’ di quella rabbia giovane che ancora ci portiamo dentro.