03/05/2019

Deus

Astra Kulturhaus, Berlino


“You know how it starts. You know how it ends. It’s kinda sad. It’s Friday night, let’s go out”. Ci ha pensato Tom Barman a dire quello che in molti pensano di questi tour celebrativi in cui le band suonano per intero i capitoli più gloriosi delle proprie discografie. Ironico e lucido, ha urlato queste parole alla folla dell’Astra Kulturhaus prima di intonare una bellissima versione di “The Magic Hour”, proprio durante la data berlinese del “The Ideal Crash 20th Anniversary Tour”.
Consci dei rischi di un’operazione del genere (invero solo artistici, dato il calore e l’entusiasmo con cui il pubblico oggigiorno accoglie eventi del genere), o, ancor meglio, incapaci di adagiarsi sugli allori di una tracklist immortale come quella di “The Ideal Crash”, i dEUS hanno puntato su uno show molto interattivo e ricco di sorprese, in modo da ottimizzare la grande empatia che sono capaci di instaurare con i propri fan.

Alcuni dei brani sono stati accompagnati da brevi introduzioni sul loro significato o sulla loro realizzazione. È accaduto, ad esempio, con la meravigliosa “Instant Street”, che la band proprio non riusciva a scrivere, almeno fino al trasferimento delle registrazioni in Andalusia, dove tepore e atmosfera rilassata avrebbero sciolto ogni nodo, permettendo ai belgi di scrivere una fan favourite, nonché una delle canzoni rock più belle di fine millennio. Va da se che l’outro del brano, tirato come da copione per le lunghe, sia stato uno dei momenti più convincenti della serata.
Sin dall’inizio del concerto, quella botta elettrica intitolata “Put The Freaks Up Front”, sono stati numerosi gli interventi di un corpo di ballo. Ensemble di una decina di ballerini, che hanno corredato con le loro movenze scomposte e ipercinetiche momenti come la stessa “Instant Street” o la conclusiva “Dream Sequence #1”. Una danza scomposta, ispirata a quella dello storico video di “Instant Street”, che ben accompagna i contrasti musicali e emozionali che animano la musica del quintetto.

Davvero pregevoli e senza alcuna sbavatura, sono state le esecuzioni dei brani più drammatici e lenti della scaletta. L’ovviamente acclamatissima “Magdalena”, ma soprattutto la conturbante e ingannevole “Sister Dew”, condita sul finale da una repentina increspatura sonica.
L’elettricità ha invece pervaso l’eclettica combo “Everybody’s Weird” e “Let’s See Who Goes Down First”. Due brani fortemente segnati, come molti altri tra 90 e 00, dalla definitiva contaminazione tra rock e suoni elettronici, la cui energia è stata sprigionata dai continui fendenti di chitarra elettrica di Barman, arrivato a questo punto della scaletta selvaggio e teatrale.

Succosi i due encore, equamente divisi tra pre e post “The Ideal Crash”. Con il pre interamente dedicato a “In A Bar, Under The Sea”, dal quale sono state estratte la schizofrenica “Fell Of The Floor, Man” e la corale “Roses” (che ha degnamente chiuso la serata); e il post affidato al fibrillante francese di “Quatre Mains” e alle atmosfere eleganti e fatate di “Nothing Really Ends”.