21/02/2019

I Hate My Village

Circolo Della Musica, Rivoli (To)


Ci sono sicuramente almeno due modi per declinare al presente la sempiterna infatuazione dei bianchi per la musica nera. Il più ovvio è quello della nuova generazione di artisti trap, che dalla black music americana degli ultimi quarant'anni ha tratto linfa vitale sufficiente a stravolgerne i canoni. L'altro è quello di chi procede a ritroso, fino alla madre di (quasi) tutte le influenze, l'Africa.
Il progetto I Hate My Village appartiene al secondo filone, sebbene l'immissione di elementi tradizionali sia confinata sostanzialmente alla contaminazione (non stiamo quindi parlando di afrobeat, ma di una iniezione di attitudine world all’interno di un contesto psych-rock). Operazione delicata su disco, desiderosa di esprimersi invece al meglio su un palco grazie alle pulsioni di quattro musicisti la cui carriera non ha bisogno di presentazioni.
Teatro di questa relazione sentimentale con il continente nero è il Circolo della Musica di Rivoli, in passato sotto l’egida del Folk Club (quando la location si chiamava Maison Musique), e ora affiliato al parterre di eventi del Circolo dei Lettori di Torino. La data degli I Hate My Village è il secondo sold-out consecutivo (il primo è stato Lee Ranaldo) in un cartellone che fin da subito prometteva faville.

Anticipato dal field recording di placide galline razzolanti (già perfettamente in linea col sapore roots dell’operazione), il supergruppo impegna il palco alle 22. Al centro, i due principali iniziatori del progetto, ovvero Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) e Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours); ai lati, i due che lo hanno reso vibrante, Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena).

Fasolo, Rondanini, Viterbini

L’uno-due iniziale prevede “Presentiment” e “Tramp”, ideali episodi scaldadita per il talento di Viterbini (per tutto il set alle prese con il riuscito tentativo di suonare una chitarra come se fosse un n’goni – strumento fatto col budello di animali e dal suono molto stoppato). “Tony Hawk Of Ghana”, primo singolo estratto, è invece il modo per entrare in contatto con i preziosi inserti vocali di Ferrari, che peraltro suona anche l’elettrica in quasi tutti i brani. L’inizio resta fedele alla versione su disco, per poi virare fisiologicamente verso una ritmica in levare, irrobustita da un solo quasi hendrixiano di Viterbini.
È passato solo un quarto d’ora, ma il pubblico è già conquistato, soprattutto dall’intesa tra i quattro, che sembra riferirsi a una liaison di lunga data. Certo è che sia Viterbini sia Rondanini non sono nuovi a portare sul palco queste sonorità, avendo il primo collaborato con Bombino e il secondo con Rokia Traorè, ma da qui a immaginare a priori un feeling già così consistente ce ne corre. I momenti più dilatati, messi al centro della scaletta (“Fame”, “Bahum”), restituiscono una dimensione quasi onirica, che ricorda il frutto di un ipotetico sonno ristoratore nella notte del deserto maghrebino.

Alberto FerrariPochissime le parole spese dai singoli membri per descrivere quello che accade, anche quando si tratta del secondo singolo “Acquaragia”: tutti preferiscono restare sul piano della comunicazione non verbale, quasi che, a quelle piccole schegge di afro-rock talvolta omaggianti i Tinariwen, non servano pre o postfazioni. Alberto Ferrari dimostra di sentirsi particolarmente a suo agio nel ruolo di agitatore di lusso, probabilmente perché non deve reggere il peso di metà dei compiti della serata come nei Verdena. Un nuovo intermezzo di galline è il preludio all’acclamatissimo encore, che diventa il momento per bissare l’esecuzione di “Tony Hawk Of Ghana” e calare un vero asso nella manica, ovvero la cover di “Don’t Stop ‘til You Get Enough” di Michael Jackson. Per quanto apparentemente fuori contesto, si tratta in realtà di un tributo piuttosto azzeccato nei confronti di chi la musica black l’ha portata in cima alle classifiche pop mondiali, nonché un'ideale chiusura del cerchio, la fine di un percorso cominciato con l'amore per le radici. Il risultato è entusiasmante: Rondanini cavalca un groove inarrestabile, mentre Ferrari si gioca tutta la performance in falsetto, mandando il pubblico in visibilio.
Resta giusto il tempo per apprezzare un episodio tratto dalla discografia solista di Viterbini (“Tubi Innocenti”), che dimostra definitivamente quanto questi lidi artistici fossero già la meta del chitarrista nel 2015.
Poco più di un’ora (e non potrebbe essere diversamente, data l’esiguità del repertorio) per permettere agli I Hate My Village di lasciare un segno, in definitiva ben più tangibile che su disco.

Setlist

Presentiment
Tramp
Tony Hawk Of Ghana
Fare Un Fuoco
I Ate My Village
Elvis
Fame
Bahum
Kennedy
Acquaragia

Encore

Tony Hawk Of Ghana
Don’t stop ‘til you get enough (Michael Jackson cover)
Tubi Innocenti (A. Viterbini)

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