Quattro palchi: due “Main Stage”, un “Alternative Stage”, più un quarto che prende il nome dal fondatore del Festival, Perry Farrell. Location: l’ippodromo di Paris Longchamp. Evento: la terza edizione della versione francese del celeberrimo Lollapalooza, il Festival creato negli anni 90 proprio da Farrell, concepito negli Stati Uniti come itinerante, e trasposto nella versione europea come stanziale in alcune grandi città del vecchio continente. Ma partiamo dalla fine: le ore 23,50 di domenica 21 luglio, un po’ prestino per un evento di queste dimensioni, ma come da programma scendono dal “Main Stage 1” gli Strokes, ponendo il sigillo conclusivo alla ricca due giorni parigina.
La band newyorkese si è presentata in gran forma all’appuntamento francese: in poco più di un’ora ha eseguito molti dei propri classici, da “You Only Live Once” alla controversa “New York City Cops”, e dopo una quindicina di canzoni ha terminato l’esibizione con il primo hit della sua carriera, “Last Nite”, dal memorabile debutto “Is This It”. Un set breve, come da abitudine, ma che ha ampiamente soddisfatto gli oltre 90.000 spettatori che hanno gremito l’Hippodrome in questo fine settimana. Ha particolarmente stupito l’atteggiamento positivo di Julian Casablancas, mai tanto loquace e brillante. Il figlio del fondatore dell’agenzia Elite Model ha catalizzato l’attenzione scherzando con la band: “are you ready?”, chiedeva prima di quasi ogni canzone, oppure obbligando l’altro figlio d’arte, Albert Hammond Jr, a improvvisare improbabili musical sulla Ville Lumière. Julian non manca di lanciare messaggi provocatori anche al pubblico, come quando chiede divertito “Ho incrociato Chis Martin per le strade di Parigi oggi, ma non l’ho salutato! Ho fatto bene?”
Prima degli Strokes, la domenica ha visto come protagonisti Ben Harper e i suoi Innocent Criminals, che hanno scaldato un pubblico già bollente per le insolitamente alte temperature. L’esibizione impeccabile del bluesman americano si è conclusa con una straordinaria cover di “Superstition” di Stevie Wonder. In contemporanea sull'“Alternative Stage” si esibivano gli scozzesi Biffy Clyro che avrebbero meritato - e lo spazio ci sarebbe stato - una collocazione meno conflittuale. La band di Kilmarnock, guidata dal cantante Simon Neil, ha elargito la solita performance piena di sudore e potenza, distinguendosi come uno dei migliori act di questa edizione.
Dopo gli scozzesi, sono saliti sull'“Alternative Stage” i mancuniani The 1975, che non sono riusciti a dissolvere un vago “effetto boy band”, provocato dai suoni abbastanza furbetti e da un pubblico di teenager urlanti. Fra ancheggiamenti e languide espressioni, il cantante Matthew Healy non avrebbe sfigurato tra un Robbie Williams e un Gary Barlow.
Nel pomeriggio a catalizzare l’attenzione avevano provveduto gli Shame, alle 16 in punto, orario che ha un po’ penalizzato l'efficace rock band anglosassone.
Il primo giorno del Festival, sulla carta il più debole a livello di line-up, si è per noi aperto con l’esibizione alle 15 di Ghali, tanto per metterci dentro anche un pizzico d’Italia. Ma nel tratto pomeridiano da segnalare è stata in particolare l’esibizione alle 19.30 di Tash Sultana. La polistrumentista australiana ha catturato l’attenzione dei presenti grazie alla splendida voce e alla capacità di muoversi con naturalezza fra chitarra, tromba e percussioni. Dopo di lei, è toccato al padre del Festival, Perry Farrell. Il cantante di Jane’s Addiction e Porno For Pyros, sempre in gran forma, si è esibito con la sua nuova creatura, la Kind Heaven Orchestra, una superband con un disco prodotto da Tony Visconti e la voce della splendida moglie Etty. Una performance dal taglio teatrale, che ha raggiunto il culmine nel bacio molto appassionato scambiato tra i coniugi Farrell. A chiudere in bellezza la serata del sabato ha poi provveduto il duo americano Twenty One Pilots, seguito da Martin Garrix, che ha fatto ballare tutti fino a mezzanotte e mezza.
Perfetta l’organizzazione del Festival, con orari rispettati al secondo e circa 50 artisti in cartellone che hanno coperto diversi generi musicali, dal rock al pop passando per l’hip-hop e l’elettronica. Interessante l’iniziativa “Lolla Chef”, grazie alla quale alcuni giovani cuochi francesi hanno presentato i loro “signature dishes” a prezzi molto economici. Se proprio dovessimo trovare un difetto, potremmo riscontrarlo nella line-up non completamente all’altezza del blasone di un marchio come quello del Lollapalooza, che si porta dietro un immaginario di ben altro spessore. Ma magari fra qualche anno saremo qui a decantare la bontà di questa edizione, visto che molti dei nomi in cartellone hanno tutte le carte in regola per raggiungere risultati artistici di grande livello.
In alto: Perry Farrell (foto di Pier Paolo Campo)