Febbraio 1999. Prima del Millennium Bug, prima dell'attentato alle Torri Gemelle, prima dell’avvento dell’euro, quando Billie Eilish non era ancora nata e Hannah Montana era giusto un'ipotesi nella mente di qualche sceneggiatore. Una serata di febbraio i Marlene Kuntz passarono da Roma per una delle prime tappe del tour promozionale di “Ho ucciso paranoia”. La location prescelta fu il Palladium, teatro capitolino convertito per l’occasione in live club, l’ideale per un’ottima visione, dalla galleria con le gambe penzolanti attraverso l’inferriata di protezione. Non era la prima sera che trascorrevo con Marlene, ma “Catartica” e “Il vile”, pur piacendomi, non mi avevano conquistato completamente. Fu solo allora, dalla sera del 17 febbraio 1999, che i Marlene Kuntz divennero, e per sempre, una delle mie band italiane preferite, grazie a quel mix inaudito di rabbia, grazia ed energia che mi mandò definitivamente al tappeto. Conservo ancora la maglietta del tour acquistata quel giorno, che per mesi diventò una sorta di seconda pelle, fino a doverla tagliare in quanto lacerata dall’usura, e oggi conservata come un cimelio di tante future battaglie sotto palco.
All’uscita dal Palladium, frastornato per la girandola di emozioni, incontrai Gianni: quella sera fece tardi a lavoro e si perse il set, era ormai mezzanotte, ma arrivò di corsa con il fermo obiettivo di provare a intervistare Cristiano Godano. “Buona fortuna amico mio”, gli dissi, immaginando la difficoltà di riuscire nell’intento. All’epoca non avevo ancora un telefono cellulare, fui uno degli ultimi in Italia ad acquistarne uno, e solo dopo mesi seppi come andò a finire.
Sono passati oltre vent’anni, e siamo ancora qui, grazie a un nuovo giro di concerti pensato per celebrare non soltanto il ventennale di “Ho ucciso paranoia”, ma anche i trenta di vita della band, trent’anni durante i quali Cristiano, Riccardo Tesio e Luca Bergia hanno condiviso viaggi, palchi, studi di registrazione e vite, con il fermissimo obiettivo di costruire qualcosa di importante, parlando con linguaggio nuovo e contemporaneo ai giovani della Generazione X, rimasti troppo presto orfani del grunge, ma infatuati di una scena indipendente nazionale che negli anni 90 sceglieva di esprimersi in italiano per far giungere meglio il proprio messaggio. Primo non era con me la sera del Palladium, ma oggi contiamo assieme le tante volte che abbiamo visto assieme Marlene dal vivo, neanche Augusto era con me quella sera, ma negli ultimi anni è una presenza fissa ai loro concerti. Siamo in tanti per fare festa con Marlene, e il rito prevede cinquanta minuti di set acustico, durante i quali il quintetto (il trio base è rinforzato dalle presenze di Lagash e Davide Arneodo) dimostra grande padronanza nella gestione delle dinamiche, seguiti dalla riproposizione integrale di “Ho ucciso paranoia” (evento per il quale molti sono qui stasera), spore escluse, più una sostanziosa manciata di tracce ripescate in maniera diffusa dall’intera discografia.
C’è anche Alex, in giro con la macchinetta fotografica per immortalare ricordi per sempre, lui che per un breve periodo all’inizio della storia fu parte del gruppo. Cristiano durante la performance ricorda Dan Solo, bassista della formazione che incise “Ho ucciso paranoia”. “Queste canzoni le abbiamo scritte fra i 20 e i 22 anni fa, e troviamo che abbiano ancora tante cose da dire, e ci divertiamo ancora tantissimo a suonarle”. In questa frase di Godano, pronunciata fra “In delirio” e “Un sollievo”, due perle di quel disco, sta tutto il riassunto della serata. Brani ancora vivi, che sanno trasmettere emozioni, al di là dell’ovvia nostalgia che traspare dai volti fra il pubblico. Da “Lieve”, il primo pezzo di Marlene ad acquisire una certa notorietà, a “Bella Ciao”, la più recente incisione del gruppo, davanti agli occhi dei presenti passa in slow motion il film delle rispettive vite, che quelle canzoni hanno accompagnato e sottolineato.
L’ottovolante di “Ho ucciso paranoia” prevede la grinta di “L’odio migliore”, “Le putte” e “Questo e altro” (che botta ragazzi!) alternata alle morbidezze di “L’abitudine”, “Infinità” e “Ineluttabile”. Poi la cover di “Impressioni di settembre” funge da ponte per la sfilata di alcuni fra i brani più noti della formazione piemontese, che lasciano nei bis il meritato spazio alle inossidabili “Nuotando nell’aria” e “Sonica”, tanto per far tornare tutti i fan a casa senza rimpianti.
Questo tour avrebbe dovuto svolgersi la scorsa estate in location open di grande effetto, ad esempio la data capitolina era stata programmata al Teatro Romano di Ostia Antica, ma un infortunio accorso al batterista Luca Bergia ha costretto Marlene a spostare la ricorrenza del trentennale in live club al chiuso, dimensione che se fa perdere qualcosa in termini di suggestione, fortifica la (s)carica elettrica della band, che si conferma in grandissima forma, fiera dei brani cha ha scritto in tre decenni di carriera. In platea volti attempati, diversi capelli bianchi, ma anche moltissimi giovani che mandano a memoria l’intero canzoniere del gruppo cuneese, oggi sempre più orgogliosamente transgenerazionale.
Ora un periodo di pausa per promuovere progetti personali che saranno presto annunciati, per poi tornare assieme e scrivere un nuovo disco. Ah, Gianni poi, seppi anni dopo, riuscì a intervistare Cristiano quella sera, e io provai un senso di postuma affettuosa invidia. Gianni è diventato un giornalista, uno di quelli bravi, e i Marlene Kuntz di lì a poco uscirono dalla nicchia, divenendo una band di straordinario successo, che continua tuttora a macinare dischi e tour, instancabilmente. Altri trenta di questi anni!
In alto: Riccardo Tesio (foto di Alex Astegiano)
In home page: Marlene Kuntz dal retro palco (foto di Alex Astegiano)
Set acustico
Lieve
Set elettrico