Tante braccia alzate alla fine del concerto di Niccolò Fabi. Quelle sotto al palco sono di coloro che hanno trasgredito il comandamento del biglietto numerato per andare a vedere più da vicino com'è che succede, com'è che con quel suo stile pulito ed equilibrato Fabi è riuscito a far emozionare ancora una volta quasi un migliaio di persone. Braccia verso l'alto come braccia che resistono, direbbe lui, cantautore al decimo album da studio che rifiuta l'arte come forma di posa e la immagina invece come strumento di resistenza al tepore intellettuale, alla conformazione del pensiero, alla decadenza dello spunto critico. Se il concerto di Assisi - parafrasando una sua canzone in tempo dispari - fosse una freccia che si stacca dalla corteccia per tornare al suo arco, inizierebbe proprio così, con una parte della platea sotto il palco col mento all'insù e l’intero teatro a cantare uno dei suoi più malinconici successi, "Lasciarsi un giorno a Roma", ennesimo classico di un bis che è attraccato sui lidi più affollati della sua discografia: "Il negozio di antiquariato", prima ancora "Vento d'estate", quindi "Tradizione e tradimento", coda dell'ultimo album ed apprezzato pretesto per ricongiungersi ad un pubblico che attendeva l'uscita dalle quinte a braccia aperte. Il perché dell'abbraccio sta in tutto ciò che è venuto prima, ossia una riproposizione quasi integrale dell'ultimo disco, da "A prescindere da me" seguendo il solco tracciato dalla scaletta dell'album.

Tanta musica e poche parole, giusto quelle necessarie ad introdurre "Nel blu", preludio di una bracciata a stile libero tra gli album più datati del cantautore. Prima di nuotare, però, c'è il momento dell'immersione, il salto, l'ultimo passo prima di lasciarsi andare, che sembra agile ma è sempre più pesante di quelli che lo precedono. Il breve istante che fa la differenza è avido di una spinta che se spesso è una persona al momento giusto, a volte è un semplice libro o una canzone o chissà, persino un concerto. Di questo parla "In blu", magistralmente accompagnata da una scenografia essenziale ma curata, che sprigiona i colori del mare negli occhi di spettatori a tratti trasportati e a tratti smarriti. Delizioso l'assolo di pedal steel di Roberto Angelini che impreziosisce "Una mano sugli occhi" e toccante il duetto tra Piercortese e Fabi ne "I giorni dello smarrimento"; acuto l'avvicendamento in scaletta di "Ecco" e "Vince chi molla", due facce di una stessa medaglia, due armi differenti da sfoderare nella lotta al dolore o forse, più semplicemente, due fasi consecutive nel faticoso processo di elaborazione. Vince chi trattiene o vince chi lascia andare? Alla fine si è creditori di una risposta, di un grimaldello che apra tutte le porte che l’esistenza ti sbatte in faccia. Creditori di tutto questo, debitori di un bel concerto.
