Sono le 17.30 quando arriviamo davanti al Wishlist, pub romano in zona san Lorenzo e, casualità, becchiamo i Soviet Soviet proprio mentre stanno scaricando gli strumenti. Il pomeriggio trascorre praticamente in loro compagnia, tra il
soundcheck e l’intervista, che presto sarà disponibile qui su Onda Rock.
Li lasciamo poi alle ultime prove e ci dirigiamo verso il ristorante più vicino per una carbonara.
Siamo di ritorno al Wishlist intorno alle 21.30, mentre pian piano il pub inizia ad animarsi. Il tempo di una buona IPA e, intorno alle 22.50, compaiono sul palco i romani This Eternal Decay. Il loro suono è dato da una commistione di coldwave, industrial e power rock, con qualche incursione elettronica. Seppur interessante nelle intenzioni, il trio sembra però ancorato a un modo di concepire la musica vecchio di vent’anni. D’altro canto è vero pure che, soprattutto grazie al controllo vocale del cantante e l’energia espressa nella dimensione live, potrebbero agilmente trovare una propria fetta di pubblico.
Dopo circa mezz’ora salgono sul palco i Soviet Soviet, tra le più splendenti realtà
italogaze e post-punk e già autori di due dischi cardine, “
Fate” e soprattutto “
Endless”. La forza della band pesarese risiede in un suono compatto ed evocativo, che richiama tutto e niente. È una musica sensoriale, la loro. Pertanto è lecito aspettarsi una p
erformance dal vivo all’altezza se non superiore a quanto fatto sinora su disco. Purtroppo non posso dire che le cose siano andate esattamente così. Ma andiamo con ordine.
Il gruppo affida l’apertura del concerto alla
title track del loro ultimo Ep, “Ghost”, lento e suggestivo salmo che si muove tra gelide e desolate lande post-rock e slowcore. “Ghost” costituisce un apripista perfetto prima dell’energia di "Endless", "Remember Now" e "Fairy Tale". Il problema è che la voce non si sente, complice qualche inconveniente tecnico riguardante i volumi, ma quando si sente suona perennemente fuori tempo o calante. È un peccato perché il
songwriting sofferto e sofisticato della band costituisce uno dei loro punti di forza che più prediligo.
Ci si riprende un po’ con la splendida “Ecstasy”, indubbiamente il loro brano più conosciuto. Mi guardo intorno aspettandomi che finalmente anche il resto del pubblico inizi a cantare e a essere realmente partecipe, ma in realtà si moltiplicano semplicemente i cellulari per aria e i
boomerang su Instagram.
Durante l’intervista, svoltasi prima del concerto, Matteo, il chitarrista, ci rivela che “
No Lesson” è il brano che si diverte maggiormente a suonare e infatti ci regala un’ottima
performance, in perfetta sintonia con la batteria di Alessandro, soprattutto nell’
instrumental a metà brano, che ci conduce fino al crescendo finale. L’impressione, tangibile, è che i due si divertano a suonare e siano sulla stessa linea d’onda. Andrea, cantante e bassista, sembra invece animato da un pruriginoso e spiacevole nervosismo che lo allontana dal
mood dei suoi compagni; inoltre, spesso e volentieri, il suono del basso si fa troppo invadente, andando a coprire quello della chitarra, restituendo un’immagine scompaginata delle melodie e delle dinamiche.
Durante l’intervista mi era stato detto che “Star”, la mia canzone preferita dei Soviet Soviet, è un pezzo particolare, che suonano raramente dal vivo. Mi fanno intendere che potrebbero fare uno strappo alla regola ed è infatti una bella sorpresa quando la melodia sognante del brano avvolge il locale in un caldo abbraccio. Segue “Blend”, altro pezzo da 90, anch’esso un po’ offuscato da una prestazione canora sottotono, mentre la conclusione è affidata alla tiratissima “Pantomime”.