Giusto qualche minuto di ritardo e i Godspeed You! Black Emperor si presentano sul palco del Largo Venue in punta di piedi. Iniziano uno dopo l’altro, rendendo la crescita sonora paragonabile a quella di un essere umano: impercettibile di attimo in attimo, impressionante se si confronta l’inizio con la fine.
La sala è gremita, il palco pure. Ad abitarlo otto musicisti di indiscusso valore, che con la loro quasi trentennale discografia hanno dato un nuovo senso alla parola "musica" - quantomeno a quella che si suona con la chitarra, il basso e la batteria.
Alle spalle della band, catapultata per questo tour mondiale sulla sponda nord della lunghissima Prenestina, uno schermo su cui vengono proiettate immagini distopiche di edifici industriali, palazzi in costruzione, aerei in picchiata, stormi di uccelli su cieli plumbei, campi arsi da fiammelle docili che piano piano acquistano vigore fino a mutarsi in incendi catastrofici. Un’immagine efficace, quest’ultima, per descrivere la musica dei Godspeed You! Black Emperor, che dopo quattro anni di silenzio hanno interrotto la clausura per tornare alle stampe con il recente "G_d's Pee AT STATE'S END!", omaggiato più volte, com’è normale che sia, nel corso del concerto.
Il primo applauso del pubblico arriva mezz’ora dopo l’ingresso della band, quando d’improvviso la sala rimane orfana di quel monolite sonoro dentro cui il violino di Sophie Trudeau - unica donna del gruppo – prova a illuminare con bagliori di melodie eteree un mare oscuro di convulsioni ancestrali, che si rivelano spesso quasi apocalittiche nel loro devastante incedere. Una parte del pubblico si porta le dita alle orecchie, qualcun altro chiude gli occhi e apre la mente, probabilmente per visualizzare quelle immagini che i Godspeed You! Black Emperor - e pochi altri come loro nel panorama mondiale – sono in grado di evocare.
Catalogare la loro musica è più che altro un esercizio di stile, un’analisi asettica di influenze difficilmente decifrabili. Musica per pochi, direbbe qualcuno. Eppure, non è poi così difficile isolarsi da quello che sta attorno, smettere di pensare e lasciarsi trasportare dalle atmosfere cinematografiche che si palesano nell’immaginario di chi è disposto ad ascoltare. Diventa semplice persino in uno spazio chiuso come quello del Largo Venue, stretti tra centinaia di persone accaldate dall’inaspettato colpo di coda della lunga estate metropolitana. Per un po’ ci riesco anch’io, esattamente quando “Bosses Hang”, tratto dal penultimo album "Luciferian Towers”, fa tremare mura e ginocchia.
Vedo un uomo che mi dà le spalle. Si allontana incamminandosi tra due scheletri di edifici disabitati verso l’orizzonte brumoso. La sua sagoma diventa sempre più piccola, fino a confondersi con la linea che separa il cielo dalla terra, per poi scomparire del tutto. Esattamente come me, il pubblico di Roma e la musica dei Godspeed You! Black Emperor dopo due ore di concerto.
E poi rimane il silenzio.