Ci sono alcune circostanze in questa estate musicale romana 2022 che non sono state chiarite, come l’improvvisa cancellazione delle date italiane dei Bush per presunti motivi di salute, motivi poi contestati in un post dalla band di Gavin Rossdale, e come il fantomatico “Festival delle Valli”, annunciato da mesi nella Capitale e annullato in maniera ufficiale soltanto pochi giorni prima del suo svolgimento, con annessa soppressione del mini-tour dei Supergrass, uno dei due headliner previsti. Il secondo grosso nome di quell’evento fake è stato invece spostato – anche grazie ai buoni numeri totalizzati durante la prevendita - nel cartellone del Rock In Roma.
Quel secondo nome sono gli Idles, fra i principali protagonisti del recente reflusso post-punk, perfettamente incastonati sabato 16 luglio nella cornice dell’Ippodromo delle Capannelle. Sempre in perfetto equilibrio fra serio e faceto, la band di Bristol si conferma artefice di un set devastante in termini di potenza di suono, ma che sa mediare la “serietà” della proposta – che contiene non pochi riferimenti all’attuale delicata situazione politico-sociale e un livello di incazzatura ai massimi storici - con atteggiamenti a dir poco spassosi. Come quando cercano di comprendere dal palco il significato del grande cartellone che campeggia davanti a loro con immortalata un’immagine di destrieri al galoppo.
Fra i gruppi affermatisi negli ultimi anni, gli Idles sono senz’altro quelli da vedere, ora, specie se siete alla ricerca di formazioni che rigettino il concetto di staticità. Al di là del carisma del cantante Joe Talbot, in grado di spaziare dalla rabbia di “War” alle tinte soul di “The Beachland Ballroom”, sono i due chitarristi, il baffuto Mark Bowen e lo sbarbatello Lee Kiernan, a rappresentare costantemente il centro nevralgico dello spettacolo: due folletti che non lesinano lunghe sortite in crowdsurfing e siparietti divertenti. Fra l’altro i lunghi vestiti da donna indossati in questo tour da Bowen, lo stanno rendendo un personaggio iconico nella community di riferimento. L’energia è assicurata anche dalla possente sezione ritmica, composta dal barbuto Adam Devonshire al basso e da Jon Beavis alla batteria, l’unico dei cinque che potrebbe essere scambiato per l’impiegato di banca della filiale sotto casa.
Sono comunque gli intrecci fra le chitarre il vero valore aggiunto di uno show che propone un’efficace selezione dai quattro album sin qui pubblicati: dalla cult song “Mother”, contenuta nel nevrotico esordio “Brutalism” alle tracce del più eterogeneo “Crawler”, passando attraverso gli inni di “Joy As An Act Of Resistance” (fra le quali le conclusive “Danny Nedelko” e “Rottweiler”), che risulterà il lavoro più rappresentato della serata. Post-punk denso sia di slogan da cantare all’unisono che di esplosivi frangenti noise, che sa regalare il divertissement di una “I’m Scum” dilatata all’infinito per contenere una corposa serie di omaggi alla cultura pop, che vanno da “Hey Jude” a “Nothing Compares 2 U”, da “My Heart Will Go On” a “All I Want For Xmas”, passando attraverso i due riferimenti italici a “Blue” degli Eiffel 65 e “Volare” dell'indimenticabile Domenico Modugno.
Roma meritava questo evento, e il Rock In Roma ha sentito il dovere di aprire le porte a uno dei nomi più adulati nel circuito del rock “alternativo” contemporaneo, a confermare la rinnovata necessità di non rinnegare il proprio nome storico. Per la prima volta nella Capitale, la formazione di Bristol non ha deluso le aspettative, confermate anche nelle altre tre date messe in sequenza lungo lo Stivale.
Menzione doverosa per i Calzeeni, giovanissimo trio romano alt-(punk)-rock che ha aperto la serata, e per due Maneskin subito avvistati nella tribunetta laterale, più tardi sottopalco, e a fine concerto nel backstage, immortalati in uno scatto fotografico diffuso dopo poche ore dagli stessi Idles, un’istantanea che farà discutere sui social tutti coloro che continuano a preferire il gossip alla musica suonata.
Contributi fotografici: Paola D'Urso