Con l’obbligo di mascherina nei locali al chiuso caduto giusto un giorno prima, per tanti partecipanti alla data berlinese dei King Hannah il concerto è l’occasione per riassaporare la tanta agognata normalità. La sensazione è palpabile: i sorrisi, gli abbracci e il colore ambrato delle birre riscaldano ulteriormente una Badehaus sold-out.
Non è stato il primo e non sarà l’ultimo tutto esaurito di questo tour della formazione di Liverpool, che nonostante un solo Lp all’attivo sembra ben più che una tradizionale next big thing e sta attirando curiosità e un sempre crescente numero di fan in tutto il globo. Merito di una formula musicale versatile, ma coesa, con la band capace di dominare con maestria le numerose istanze messe in campo (post-hardcore, post-rock, shoegaze, trip-hop, folk, psichedelia e sto sicuramente dimenticando qualcosa), ma soprattutto di emozionare, di rapire gli ascoltatori tra i suoi riverberosi flutti.
Prima dell’esibizione dei King Hannah, il palco della Badehaus ospita la deliziosa esibizione di Camille Camille, al secolo Camille Willemart. La belga classe 1996 cattura l’attenzione della sala con la potenza quasi sacrale del suo folk contemporaneo.
Fingerpicking evocativo, riverberi profondi e una voce limpida e ferma come su disco sono l’arsenale essenziale ma efficace della giovane folkster, che si ispira certamente all’istituzionale Sandy Denny, ma ha mandato a memoria anche la lezione del dream-pop al femminile di Victoria Legrand.
Il breve e convincente set di Camille comprende diversi brani dal suo Lp dello scorso anno, “Could You Lend Me Your Eyes”, ma anche alcuni inediti, tra i quali il brano finale nella sua madrelingua, il francese.
Con la solita puntualità delle venue tedesche, i King Hannah prendono possesso del palco come da programma cinque minuti prima delle nove. La band si presenta in uno schieramento a quattro, con l’aggiunta dunque di un batterista e di un bassista, ma il fronte del palcoscenico è tutto di Hannah Merrick e Craig Whittle.
Lei è una spilungona e grazie ai capelli neri e alla camicia di seta bianca ricorda vagamente Uma Thurman versione "Pulp Fiction", ma è ancora più emaciata e intensa, lo sguardo sbilenco ma ipnotico. Al contrario Craig è un pacioccone tutto cappello di lana Carhartt e proverbiale camicia a quadri.
L’apertura con una ironica e sensuale “A Well-Made Woman” svela immediatamente quello che sarà l’andazzo della serata: i bassi profondi, le ritmiche trip-hop e la voce mesmerica di Hannah ipnotizzano con disarmante facilità gli astanti sin dai primi minuti dei brani e quando ce ne si rende conto è già troppo tardi, siamo già altrove, in balia di feedback roventi e ritmiche violente.
Lungo undici brani, il concerto pesca a mani basse dallo straordinario “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”, presente con ben otto brani, ma anche dall’Ep precedente, “Tell Me Your Mind and I'll Tell You Mine”, dal quale viene estratta anche la traccia di chiusura del set principale, la pastosa “Crème Brûlée”. C’è spazio anche per una cover di “State Trooper” di Bruce Springsteen, brutalmente virata post-hardcore grazie ai crepitanti effetti di chitarra che si impossessano dell’andamento già febbrile del brano di protesta.
Quando i pezzi, soprattutto quelli dell’ultimo disco, si aprono nei loro poderosi e tumultuosi finali, i fili degli spettatori che ondeggiano come burattini sono tutti nelle mani di Craig e della sua Fender Jaguar verde acqua scuro. Le inclinazioni blues di quest’ultimo live sono ancora più vistose, tanto da ricordare l’agilità di Clapton ingabbiata nelle distorsioni nichiliste degli Slint. Alcuni arrembaggi finali riportano alla mente, invece, le impennate dei Mogwai ("Go-kart Kid (Hell No!)", "Big Big Baby"), mentre nell’estasi finale di “The Moods That I Get In” il Nostro si trasforma in una specie di versione nerd di David Gilmour.
Così come il disco, il concerto si chiude con l’accorata “It’s Me And You, Kid”, emozionante al punto da ferire quando il cantato apatico di Hanna si lancia in uno dei refrain più iconici dell’anno in corso. Superata la prova in studio con un album che popolerà i piani alti di molte classifiche di fine anno, il duo di Liverpool porta a casa anche quella live, con uno spettacolo maturo e coinvolgente che chiunque apprezzi la formazione inglese non dovrebbe perdersi per nulla al mondo.