14/05/2022

The Beatbox

Teatro Ponchielli, Cremona


Come dite, una cover band dei Beatles? Alzi la mano chi non ha avuto modo di imbattersi – chessò – in un temerario del karaoke misurarsi con “Let It Be” oppure, ancora meglio, in mirabili complessi revival, quelli che rendono ancor più incantevoli le piazze estive della nostra provincia, che a un certo punto attaccano con “She Loves You” o “Drive My Car”. Però no, non si parla di questo, e nemmeno di quattro musicisti devoti che hanno abbastanza dimestichezza col repertorio dei Fab Four da suonarlo al pub davanti agli amici. Qui la missione è molto più ambiziosa e ha a che vedere col tributo propriamente detto, che non solo vuole agganciare il sound, ma anche gli strumenti e persino i costumi di un’epoca.

Beatbox live


Un teatro – e che teatro il Ponchielli di Cremona – l’intera carriera della rock band più famosa di ogni tempo e, come se non bastasse, la sfida di misurarsi con un’operazione filologica ed estetica che travalica i confini della musica per abbracciare una fetta cospicua della cultura popolare planetaria del secolo scorso. Non sarà troppo? Tanto forse sì, ma non abbastanza dal dissuadere quattro ragazzi italiani (Marco Breglia/Paul, Filippo Caretti/John, Michele Caputo/George e Federico Franchi/Ringo) dal portare su palchi così prestigiosi un compitino niente male, quello di replicare il più fedelmente possibile, e in modalità multimediale, una quota rappresentativa di un canzoniere monumentale.
Un’operazione che ha richiesto anche audacia e fantasia, giacché dal '66 in poi i Beatles - al netto della leggendaria esibizione del 30 gennaio 1969 sul tetto di Savile Row - interromperanno i live per dedicarsi a una breve ma folgorante attività in studio, in molti casi poco replicabile on stage.
Ma, per stare stasera a teatro, conoscere queste e altre vicende non è un requisito indispensabile: a narrarle dal palco infatti, ma anche dal foyer in mezzo al pubblico, ci pensa Carlo Massarini – antesignano degli storyteller musicali - che illustra da par suo tanti avvenimenti che riguardano Paul, John, George e Ringo. Nei quattro momenti di cambio scenico, è lui che rievoca l’affiatamento degli esordi germanici, i volti e le figure che hanno attorniato il quartetto negli anni e le frizioni che ne hanno determinato lo scioglimento, incasellandone la storia fra gli eventi politici, sociali e di costume di un decennio, i 60, che i Beatles non hanno attraversato “semplicemente” come la pop band più famosa del mondo, ma sul quale hanno anche inciso come epocale fenomeno socio-culturale. Insomma, Massarini di questo show è l’agile bignamino in carne e ossa, e chi lo conosce sa bene che, dalle nostre parti, pochi sanno raccontare come lui.

Beatbox live


Il viaggio spazio-temporale parte coi Beatbox in mod-style, idoli di ragazzine urlanti con frangetta d’ordinanza e con l’abbigliamento direttamente prelevato da due delle uscite all’Ed Sullivan Show, quelle che ne hanno consacrato il successo planetario. I Beatles nel triennio 63-65 furono principalmente una live band - quindi con una corposa mole documentale da cui attingere - e questo è il viatico che consente ai sosia nostrani di snocciolare con competente disinvoltura l’impressionante mole di hit di questa prima fase di carriera. Il segreto probabilmente si nasconde nel grande lavoro svolto sulle armonizzazioni vocali, la vera marcia in più dei loro modelli, che rendono convincente quando non calligrafica l’intenzione con cui affrontano le varie “I Want To Hold You Hand”, “A Hard Day's Night” o “Twist And Shout”.
La prima parte d’esibizione scivola via che è un piacere e permette di osservare con indulgenza anche i passaggi oggettivamente più complicati, come quello di “Yesterday”, e non già per la qualità della (buona) performance di Marco Breglia, quanto per il fatto che le tinte vocali di quel Macca in voce solista e chitarra sono sicuramente richiamabili (e Marco lo fa), ma altrettanto inimitabili.

E’ però la seconda parte dello spettacolo a suscitare più curiosità, al di là dell’impeccabile cambio d’abiti che vede i nostri presentarsi prima baffuti con le multicolori divise del Sergente Pepper e poi negli abiti fricchettoni dell’ultima fase. Perché qui le pietre di paragone non sono più i concerti dirompenti e festosi degli esordi, bensì la micidiale arma segreta che, se parliamo di Beatles, ha davvero spostato in avanti le lancette del pop a venire e che si riconduce alla voce “sala d’incisione”.
Alla luce di ciò, è bene fare un piccolo sforzo e accettare il gioco dato dalla domanda: “Se i Beatles in quegli anni avessero suonato dal vivo, lo avrebbero fatto davvero così?”.
Non lo sapremo mai, ma se la sfida era quella di rendere credibile questo gioco, i Beatbox questa sfida l’hanno vinta. Da questo momento in poi, nei vari passaggi in cui si maneggiano con la cura dovuta “Sgt. Pepper’s”, il “White Album”, “Abbey Road” e dintorni (con le inevitabili escursioni in “presa diretta” dallo spectorianoLet It Be”) diventa quantomai cruciale la figura fuori campo di Claudio Airo, il “quinto Beatbox” dello spettacolo, che finisce con l’incarnare un ruolo a metà strada tra Sir George Martin e Billy Preston, con orchestrazioni e interventi di tastiera che aiutano in modo decisivo a rendere credibile e solido l’upgrade.
Va bene, i più pignoli potrebbero affermare che il drumming di Ringo-Federico tenda a volte all’esuberanza, o che George-Michele in certi passaggi fatichi a tenere a freno la sua inclinazione al virtuosismo hard. Cosa peraltro più facile a dirsi perché – attenzione - il “vero” George Harrison, nel giro di qualche stagione, da bravo si è trasformato in chitarrista super e copiarlo pedissequamente assume i contorni dell’impresa. Come si vede, siamo davvero alla disamina della minuzia, e per questo motivo si può affermare che anche i più esigenti siano serviti.
La time machine era oliata a dovere e la vetta di una montagna così ripida può dirsi brillantemente raggiunta. E giunti in cima, i Beatbox possono godersi dall'alto la platea in piedi a intonare “Hey Jude don't make it bad, take a sad song and make it better…”, segno che la serata si è rivelata per tutti davvero migliore.

Foto di Simone Cecchetti



Setlist

1° tempo

I Want To Hold You Hand
Please Please Me
Love Me Do
All My Loving
Roll Over Beethoven
I Feel Fine
Can't Buy Me Love
Yesterday

A Hard Day's Night
Ticket to Ride
Eight Days a Week
Help
Yellow Submarine
She Loves You
I Saw Her Standing There
Twist And Shout

2° tempo

Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band
With A Little Help From My Friends
Lucy in the Sky With Diamonds
All You Need Is Love
I’m The Walrus
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (Reprise)
A Day In The Life

While My Guitar Gently Weeps
Get Back
Don't Let Me Down
Here Comes The Sun
Let It Be
Come Together/ The End

Encore

Hey Jude

The Beatbox su Ondarock

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