04/11/2022

Xeno & Oaklander

Traffic Club, Roma


L’occasione era ghiotta per gli appassionati di elettronica. Xeno & Oaklander si sono ormai costruiti una solida reputazione nel panorama della minimal wave mondiale e la loro unica data romana al Traffic Live Club è stata un’opportunità per ascoltare dal vivo i brani del loro ultimo album "Vi\deo".
Gli spettatori hanno dovuto attendere ben oltre la mezzanotte per vedere i loro beniamini dopo una lunga maratona musicale nella quale si sono succeduti diversi artisti. A fare gli onori di casa ci hanno pensato giustamente dei giovani musicisti romani. Dopo qualche canzone eseguita dall’emergente Canto di Vesta, tocca a Eugenio Valente, in arte Eugene, aumentare il livello della temperatura della sala. In poco meno di un’ora, suona il meglio della sua produzione. Con un omaggio al maestro Franco Battiato e numerosi brani estratti dal suo lavoro “Seven Years In Space”, trascina il pubblico nelle sue peregrinazioni cosmiche.
La sua musica sintetica, il sound algido con ricorrenti incursioni di voce robotica, evidenzia una connessione con i grandi pionieri della musica elettronica come Gary Numan, Howard Jones e Giorgio Moroder. Ciò che però cattura nella dimensione live è la facilità con cui si rimane avvilluppati sin dal primo ascolto nelle sue trame futuristiche-spaziali dal sapore pop.

 

Il primo artista internazionale della serata è invece il danese Kim Larsen, che si presenta nel palco armato di chitarra (e bicchiere di birra) senza però il resto della band che afferisce al suo progetto musicale  “Of The Wand & The Moon”. Tutta la sezione strumentale è infatti affidata a un sample elettronico pre-registrato. L’estetica musicale di Larsen è profondamente differente da quella degli altri artisti che si sono esibiti nel corso della serata. Le atmosfere malinconiche e tetre, con un marginale utilizzo delle sezioni ritmiche, lo fanno ascrivere  più facilmente alla corrente neofolk. Tuttavia, l’ampio credito che si è guadagnato nel corso degli anni con il suo attuale gruppo e nella precedente esperienza con la band doom metal dei Saturnus gli ha garantito i favori di un’ampia fetta di pubblico accorsa appositamente per vedere il suo spettacolo.
Le atmosfere crepuscolari di “Your Love Can't Hold This Wreath Of Sorrow” sono di rara bellezza. Dopo averlo ammirato dal vivo in un piccolo club, rimane il desiderio di rivederlo in un contesto più strutturato, magari con la presenza della sezioni di fiati e di archi.

Subito dopo la sua esibizione, salgono finalmente sul palco Xeno & Oaklander. Il duo di Brooklyn si posiziona nel solito assetto con Sean McBride a controllare l’imponente apparecchiatura elettronica e la franco-norvegese Liz Wendelbo libera di muoversi fra le console e il microfono. Le visioni sintetiche di “Hypnos” fanno precipitare immediatamente gli ascoltatori nell’immaginario retro-futurista di cui è impregnato il loro sound. Le canzoni vengono presentate senza interruzioni a un ritmo forsennato; Wendelbo interagisce pochissimo con il pubblico ma ipnotizza la folla con la sua voce sognante alla Françoise Hardy.
Nulla è lasciato al caso; d’altronde il duo elettronico ha presentato "Vi/deo" come espressione delle sue esperienze con la sinestesia. Le luci rosse e blu richiamano i colori vividi e scintillanti della copertina dell’album. Un diffusore di aromi emana speciali fragranze che vengono anche citate in “Infinite Sadness” (“Aromas of incense and spices/ Will rise again").

 

McBride in “Sets And Lights” “ripete ossessivamente con voce analogica “Slash their arms, slash their eyes”, mentre Wendelbo balla a tempo con movenze  robotiche. Il pubblico comincia a imitarla e la sala diventa una sorta di discoteca distopica, dove nessuno sembra essere mosso da volontà propria. Non c’è interazione diretta fra Xeno & Oaklander e il pubblico, ma tutti si muovono sospinti dalla potenza numinosa dei synth, che spandono ventate di elettronica gelida (“Insomnia”, “Blue Flower”) o calda e disinvolta (“Raingarden”).
Tutto questo dura poco più di un’ora. Sulle frequenze di “Athena”, il duo americano si accomiata e lascia il posto a una discoteca retro wave e industrial che si protrarrà fino a tarda notte. La musica in sottofondo richiama gli anni 80; le sonorità eteree che si sono appena ascoltate rimandano a un futuro che deve ancora venire. Si esce dal locale con la sensazione di fluttuare in queste dimensioni temporali così lontane e così stranamente vicine.