Si erano presi la classica pausa di riflessione, tipica delle band mature, con tanto di progetti solisti a corredo, poi il nuovo album “Elvis” uscito lo scorso aprile ha portato con sé l'inevitabile ritorno in tour dei Baustelle. Un ritorno a dir poco atteso, a giudicare dalla facilità con cui Bianconi e compagni stanno riempiendo le arene estive, come quella della non piccola Piazza del Duomo che ospita il Pistoia Blues.
Con più di venti anni di attività e nove album all'attivo, la band toscana può permettersi di spaziare in un repertorio ampio, oltre che significativo delle sue varie fasi creative. L'ultima uscita discografica ha segnato il ritorno a un sound più graffiante e chitarristico con meno spazio al synth, e questo si riverbera sulle esecuzioni di tutti i vecchi brani, nessuno dei quali perde comunque la propria identità in un concerto che si dispiega per circa due ore con una scaletta di ben diciannove pezzi.
“Elvis” occupa gran parte della prima metà dell'esibizione, con sette dei primi otto brani proposti, inframezzati da “La guerra è finita” tratto da “La malavita”. Magari il nuovo disco non racconta una storia inedita rispetto ai Baustelle più conosciuti, ma anche per questo i suoi estratti si inseriscono tra i vecchi brani senza alcuna fatica. È ricco di incisi da cantare in coro, come quello epico e al tempo stesso struggente di “La nostra vita”, uno dei nuovi brani che potrebbero aggiungersi presto ai classici della band, venato della consueta malinconia che si contrappone alla frenesia ritmica di buona parte delle canzoni, in un contrasto che è sempre stato un loro marchio di fabbrica.
L'indie-pop di Francesco Bianconi e soci gode insomma di ottima salute e colpisce nel segno, portando come era prevedibile i fan a cantare i ritornelli più noti. “Andiamo ai rave” apre nel segno di un rock cantautorale evocativo ed esistenzialista (“e che un giorno o l'altri si dovrà pur morire”, tanto per iniziare in allegria) per lasciare spazio al ritmo di “Betabloccanti cimiteriali blues”, una delle poche concessioni al synth-pop presenti su “Elvis”, con la classica alternanza tra un pezzo più meditativo e un altro più ritmato, che si sussegue con una certa regolarità per tutta la serata.
Il frontman è ispirato dal calore del pubblico e dallo scenario della piazza – che, per inciso, è tra le più belle d'Italia, pur se non fra le più note - ammiccante il giusto nei suoi brevi interventi tra un pezzo e l'altro. Chiede se ci sono psicologi tra il pubblico, tanto per non smentire la filosofia dei Baustelle, che nei loro testi cantano il male di vivere e il disincanto, con ironia e un immancabile tocco consolatorio. Incisiva ed elegante è la chitarra di Claudio Brasini, coinvolgenti i turnisti che accompagnano il trio dal vivo, Julie Ant, Alberto Bazzoli, Lorenzo Fornabaio e Milo Scaglioni. La formula della band con doppia voce solista, maschile e femminile, è sempre intrigante, evocando esempi illustri del rock internazionale e non molti precedenti in Italia (vengono in mente tra i non molti altri e con le loro peculiarità i Matia Bazar e i Csi).
Rachele Bastreghi, dopo le strofe di “La nostra vita”, si riprende la scena da par suo con la calda timbrica esibita in “Monumentale”, in un'esecuzione resa solenne dall'arrangiamento dal vivo, più ricco di stratificazioni chitarristiche rispetto alla versione in studio e vitaminizzato dal potente drumming di Julie Ant (al secolo Giulia Formica).
La seconda parte del concerto raggiunge probabilmente il suo picco nelle esecuzioni di “Veronica n. 2” (da “L'amore e la violenza vol. 2”), “Amanda Lear” (da “L'amore e la violenza”) e “Il liberismo ha i giorni contati” (da “Amen”), con le ultime due, in particolare, che si confermano tra gli episodi più significativi dei Baustelle, esemplari nel provocare inquietudine a ritmo di pop danzereccio. Dopo i tre classici, eseguiti uno dopo l'altro, arriva un'autentica sorpresa costituita dalla cover di “La donna cannone” di Francesco De Gregori, rispettosa dell'originale, ma con quel tocco personale che ci si aspetta dalla voce profonda di Bianconi.
In tanta dovizia di brani proposti, dispiace per tante altre perle che si sarebbero volute riascoltare ma sono rimaste fuori dalla scaletta (che peraltro i Baustelle paiono cambiare leggermente in ogni concerto). Dopo il suddetto omaggio a De Gregori c'è spazio per altre quattro vecchie canzoni, fino all'ultimo prevedibile encore di “Charlie fa surf”.