Quando nel 2021 “Se ci fosse la luce sarebbe tutto bellissimo” uscì per la sorprendente etichetta Maple Death Records, la critica fu unanime nel giudicare il lavoro del veneziano Samuele Gottardello. L’album destò curiosità immediata anche grazie all'appeal che la tematica trattata, ossia il rapimento Moro, esercita sull’intera nazione da ormai più di 40 anni. Critica e osservatori musicali non furono immuni al fascino.
La storia delle musica italiana annovera tra le sue pieghe numerosi lavori in modalità concept, ma spesso a interpretare in questa chiave stilistica sono stati i cantautori o, negli anni meno recenti, i pomposi bizantinismi del prog.
Blak Saagan, in questo biennio, ha scorrazzato in Italia ma anche in giro per l’Europa, offrendo dei live interessanti che lo collocano in un circuito di nicchia e che, per versatilità della performance, si prestano a strizzare l’occhio a contesti originali e atipici per quello che è il purismo dell’elettronica.
Proprio in questo discorso va a incunearsi la surreale e peculiare data del 25 aprile, ricorrenza di per sé evocativa se accostata al tema dell’album. Un’accoppiata che conferisce carico storiografico (Ça va sans dire!) all’evento. In un paese della dorsale appenninica campana, all’interno di un ex-convento benedettino settecentesco la cornice e l’atmosfera ammantano il tutto di un’enfasi fascinosa.
Dopo un talk nei salotti austeri della casa, intorno alle 22, l’attenzione degli astanti viene attirata verso una porticina di piccole dimensioni che si apre dall’ex-refettorio (descrivo la cosa perché il percorso per il live rappresenta esso stesso una vera e propria intro concettuale al concerto). Dicevamo la porticina, appunto, che, come in un racconto di Carroll, apre sull’ignoto. Giusto il tempo di abituare gli occhi alla luce o all’ombra, si intravede un cunicolo simil-medievale. Il persorso per raggiungere la venue scende per due piani nel tufo per arrivare alla grotta-cantina dove una lampada rossa fende l’oscurità. Ad essere macabri e grotteschi si potrebbe definirla una "prigione del popolo", per rimanere in tema.
La figura di Gottardello si staglia su un telo di proiezione esteso e imponente che tratteggerà i racconti in immagini e caratteri del rapimento Moro, traendo fonti dalla stampa di quei 55 giorni del '78.
Si parte senza preamboli introduttivi: “Dentro la prigione del popolo” è la porta di ingresso alle percezioni della serata con i beat battenti che cadenzano questo inizio. Le atmosfere si addensano e si fanno man mano già scure toccando subito un picco al secondo brano “Scuola Hyperion”, che esce dalle casse come un animale selvatico dai rovi.
L’empatia col pubblico, complice la location, si palesa attraverso gli sguardi dei presenti. Segue “Saltano le pecorelle con quel suo incedere ipnotico da ballata post-desert rock. Quasi ti aspetti che da un momento all’altro sul palco si materializzi Michael Gira degli Swans.
I beat si fanno sempre più eterei e quasi sembra mancare il terreno sotto i piedi mentre le menti cominciano a perdersi tra le rarefazioni cosmiche de “L’uomo incappucciato”, seguita da “Lettera da Via dei Massimi” e “La firma del legionario”.
A chiudere una lunga suite in puro magnetismo kraut intorno alla title track “Se ci fosse la luce sarebbe tutto bellissimo" che tiene incollati tutti fino all ultimo. Sembra quasi entrare la luce dopo un viaggio nell’abisso attraverso le sonorità.
Il bis, doveroso, affidato ad “Aperitivo al Bar Olivetti” e ad astrazioni alla Piero Umiliani intessute ora di darkwave ora di stratificazioni sonore alla Tangerine Dream. Un bel live, o forse meglio dire un bel viaggio.
(Photo credit: Antonio Sena)