Erano quattro anni che Edoardo D’Erme non si esibiva dal vivo. Le ultime date furono quelle di un tour europeo concluso in Spagna nel mese di dicembre del 2019. Calcutta in quel momento era considerato l’esponente di punta di un circuito, o sottogenere musicale, da molti identificato come it-pop, una forma di indie-pop fortemente legata alla tradizione cantautorale italiana, e ovviamente cantata nella nostra lingua. Poi arrivò un momento piuttosto complicato, contrassegnato dalla pandemia e dalla perdita della mamma, al quale fece seguito il desiderio di restare per un periodo lontano dai riflettori, scelta che va letta in continuità con quel suo modo di porsi in maniera sempre poco convenzionale. Strategia non tanto studiata a tavolino, quanto conseguenza del naturale atteggiamento del cantautore di Latina, da sempre schivo e anticonformista.
Quattro anni di assenza, dicevamo, interrotti nel 2023 dalla pubblicazione di “Relax”, apprezzato dal pubblico e finalmente anche dalla critica. L’amore dei fan è rimasto immutato, oserei dire persino cresciuto, nonostante il periodo trascorso senza alcuna visibilità, e lo si percepisce dai sold-out macinati in pochi minuti. Anche gli addetti ai lavori hanno modificato il tiro, riconoscendo in Calcutta il pregio di essere un cantautore credibile, in grado di rappresentare in maniera convincente la propria generazione, con uno stile personale ben definito, e una sempre maggiore attenzione per gli aspetti musicali.
Il concerto (abbiamo assistito alla seconda delle due date romane previste presso il Palazzo dello Sport dell’Eur, gremito in ogni ordine di posto) è la perfetta sintesi di cosa rappresenta Calcutta oggi. La scaletta privilegia ovviamente le canzoni di “Relax”, ma con tre album di successo all’attivo la selezione diviene ancor più autorevole. Dentro troviamo il Calcutta che sa come far ballare tutto il Palazzetto, sulle irresistibili note di “Controtempo” e “Loneliness”, ma anche quello intimista e iper-minimale di “Le barche”, quello delle hit ultra-pop (“Cosa mi manchi a fare”, “Gaetano”, “Frosinone”, fra i grandi classici italiani del nuovo millennio) ma anche quello che si ferma a riflettere sulle proprie emozioni in “SSD”, quello che piazza nuovi tormentoni infallibili (“Due minuti”), quello che torna a fare il tenerone (“Preoccuparmi”) e quello che gioca a mascherare un vecchio successo modificandone radicalmente tempo e arrangiamento (“Orgasmo”).
Set suddiviso in tre parti, venticinque canzoni in tutto per poco più di un’ora e mezza, sette musicisti sul palco per un suono ricco di sfumature ma aderente alle versioni in studio. Edoardo sembra preso bene, ma al contempo imbarazzato davanti a una folla tanto adorante, ancor più perché stasera si trova ad appena 60 chilometri dalla città nella quale è nato e diventato musicista. Nei bis arrivano “Paracetamolo e “Pesto”, altri due evergreen, accanto alla più tenue “Allegria” e alla conclusiva “Tutti”.
E’ stato bravo Calcutta, cuffietta in testa e giubbottino rimediato chissà dove, perché lui vuol essere uno normale, evitando di alzare barriere nei confronti del pubblico, vuole continuare ad essere riconosciuto e accettato come uno di loro. Trascina per tutta la durata del concerto l’asta del microfono da una parte all’altra del palco, quasi fosse la sua coperta di Linus, una protezione dietro la quale provare a schermarsi. Non ha dovuto sgolarsi, perché le canzoni le ha cantate il pubblico a squarciagola, arrivando quasi sempre a sommergere la voce di Edoardo, che spesso - visibilmente colpito dall'energia - ha lasciato alla platea il ruolo di protagonista, godendosi quei cori che toglierebbero il fiato persino alla rockstar più esperta. E’ bello percepire tanto amore, un legame così forte, indissolubile, e anche questa volta chi sperava di poter decretare il declino della parabola artistica di Calcutta dovrà ricredersi. Chi avrà ancora il coraggio di considerarlo soltanto una meteora sopravvalutata?