10/11/2023

Swans

Auditorium San Domenico, Foligno (Perugia)


Non era semplice quantificare il carico di aspettative con il quale avvicinarsi alla data folignate degli Swans, ultima di una lunga serie di tappe italiane dell'ormai leggendaria band americana dai tempi del suo folgorante ritorno sulle scene nell'ormai lontano 2010.
Come dimenticare la preoccupata curiosità provata da chi scrive, ai tempi di quella storica data al Locomotiv di Bologna a supporto del disco del ritorno, “My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky”, alla vista e all’udito di quella lunga introduzione sonora che apriva le danze al devastante pestaggio sonoro che sarebbe seguito poi? Un disturbo post-traumatico che portò sempre il sottoscritto a un masochistico bisogno di bis un paio di anni dopo nello stesso locale per il tour di “The Seer”, in quello che tutt’ora resta personalmente una delle performance più animalesche, brutali e sadiche (dal punto di vista artistico, ci mancherebbe) a cui abbia mai assistito. Poi, il cambio di location, il passaggio a un più capiente Estragon per soddisfare la crescente fame di pubblico dei loro show e qualcosa nel giocattolo malefico si incrinò: vuoi il locale troppo dispersivo per ricreare l’asfissiante scatola delle torture fin lì sperimentata, forse qualche cliché autocompiaciuto di troppo; sta di fatto che venne meno l’ipnosi tipica del sabba dei cigni, purtroppo un requisito non negoziabile per poter godere anche solo in parte di tale tipologia di performance.

Durante i ben dieci anni trascorsi da quell’ultima sorpesa amara, è passata molta acqua sotto i ponti. Gli Swans non hanno sperimentato un calo della loro rinnovata popolarità, mentre Michael Gira e soci hanno continuato a confermare quanto dichiarato ai tempi di “My Father…”: “Questa non è una reunion e noi continuiamo a guardare avanti!”. Sono arrivati quindi cambi di formazione e mutazioni verso sonorità più dilatate e talvolta acustiche. Tutto questo, unito all’insolita venue scelta per questa data folignate - un'austera e splendida chiesa del Trecento, oggi nota come Auditorium San Domenico - non poteva che essere uno stimolo per tornare finalmente a trovare lo sciamano di Los Angeles con tutta la sua nuova truppa.

Per un malinteso sull’orario di inizio, dichiarato in Rete alle 21, ci perdiamo gran parte del drone show di Norman Westberg, comunque un artista “di famiglia” per forza di cose in tema con la serata. Poi entra la band senza tanti preamboli. E’ stato come rivedere un vecchio amico dopo una vita, all’inizio si rimane quasi male nello scorgere i numerosi solchi lasciati dal tempo che è passato. Già i numerosi “thank you” pronunciati durante la serata sono un chiaro segnale di quante cose siano cambiate, quando dieci anni prima grugniti e bacchettate agli spettatori più maleducati dominavano le doti da intrattenitore del frontman.
E la musica? In fondo quel che ci si aspetta da loro, ovvero prendere quanto inciso nell’ottimo “The Beggar” e sfigurarne i brani prescelti, stravolti fino in alcuni casi renderli letteralmente irriconoscibili: inevitabile pensare all’introduzione infinita dell’opener “The Beggar”, fra arpeggi alla classica, lo stridere della steel guitar di Kristof Hahn e le pestate di Pravdica che stirano all’esasperazione la suspence, con il chiaro scopo di coinvolgere i presenti nell’ipnosi richiesta per entrare nel loro cupissimo tunnel.
Tutti gli schemi saltano, le linee vocali ascoltate nel platter si sfaldano incontrollate e il caldo accompagnamento dell’incisione originale diventa un vago ricordo, sostituito da colpi bruti di basso/batteria. Stesso destino per “The Memorious”, che diventa una lunga e sofferta pseudo-ballata spezzata dalle plettrate lancinanti di Gira e da qualche intermezzo rumoristico all’unisono dei suoi compari, mai visti così immersi in ruoli da gregari.

L’impressione generale è che la genuina e burbera arroganza di un tempo si sia stemperata per fare spazio a un senso di disillusione: il Michael Gira di oggi sbraccia con le mani al cielo, dettando i tempi ai suoi discepoli come un direttore d'orchestra; sbraita scomposto presagi di sventura, come un profeta alle prese con il suo cupo sermone. In alcuni punti questa sorta di stregone tende tuttavia a perdere la misura nel suo viaggio sonoro, che trascende le convenzioni sul pentagramma. A conferma di questo fatto, i momenti migliori della serata arrivano proprio da quelle composizioni meno martoriate dalla sua voglia di sparigliare le carte. Ecco quindi che “Cathedrals Of Heaven” ci regala un lungo crescendo dalla potenza degna del periodo magico di “The Seer” fino a introdurre una “No More of This” che commuove nella sua malinconia, soprattutto considerando chi ci sta regalando questo raro momento di pace.

Alla fine di questo pellegrinaggio sonoro rimane la conferma che gli Swans non sono arrivati per caso fino a qui, confermandosi una delle poche band in grado di incidere per più di una decade. E, contro il tempo che scorre beffardo, quale miglior medicina del cambiare continuamente pelle?



foto su gentile concessione di Athanor Eventi