07/07-16/07/2023

Umbria Jazz 2023

Arena Santa Giuliana, Perugia


Non è stata una edizione qualunque quella di Umbria Jazz 2023 e, considerata la ricorrenza da celebrare, c'era da aspettarselo. Mezzo secolo di età per un festival non è qualcosa che rientra nel novero delle cose ordinarie, a maggior ragione se accade in Italia e in questo preciso momento storico. L'edizione precedente, con il suo cartellone "discreto", era stato interpretato dai (neanche troppo) lungimiranti come il preludio al memorabile exploit che avrebbe avuto luogo l'anno successivo e così è stato. Bob Dylan e Joe Bonamassa sono stati l'alfa e l'omega di un programma che ha vantato un'abbondanza di artisti mai avuta a Perugia nella stessa edizione: Mika, Brad Mehldau Trio, Branford Marsalis Quartet, Snarky Puppy, Ben Harper and The Innocent Criminals, Stewart Copeland, Herbie Hancock, Stefano Bollani, Kyle Eastwood e Paolo Conte. Ovviamente, come tutti gli anni, le onde (più o meno jazz) del festival umbro si sono propagate in venue diverse e non solo nello spazio dell'Arena Santa Giuliana, dove sono andati in scena tutti gli show degli artisti sopracitati. Teatro Morlacchi, Piazza IV Novembre, Giardini Carducci e Galleria Nazionale Umbra sono stati gli altri cuori pulsanti di un festival cefalopode e anche per questo straordinario e unico nell'intero panorama nazionale.

Bob Dylan (7 luglio)

 

L'evento più atteso di Umbria Jazz 2023 è stato accompagnato da una ondata di servizi, articoli, pettegolezzi e indiscrezioni, ma anche da un paio di dati certi: cellulari sigillati e canzoni nuove - per lo più quelle degli ultimi "Rough And Rowdy Ways" e "Shadow Kingdom" - in una scaletta senza sorprese, viste le setlist delle recenti tappe francesi e italiane. Un po' di sorpresa, invece, l'hanno destata i maxischermi spenti e l'oscurità del palco, illuminato appena da una luce soffusa, che ha reso il palcoscenico l'angolo di un locale notturno più che lo stage dell'evento più acclamato dell'estate umbra. Dopo l'ingresso - quasi a sorpresa, vista l'assenza dei canonici minuti di ritardo -  Dylan si apposta dietro al piano (dove rimarrà per tutto lo show) e, circondato dai propri musicisti, attacca "Watching The River Flow", ammantato da drappi rossi di lynchiana memoria. In molti sembrano chiedersi se sia davvero lui quello che sta solcando il palco dell'Arena Santa Giuliana, dopo oltre vent'anni dall'ultima volta a Perugia. Giacca nera su camicia chiara, sembra vestito così The Strummer, lo "strimpellatore", come si faceva chiamare agli esordi di una carriera che ha cambiato per sempre la storia del rock.
Impensabile biasimare Dylan se in quel signore attempato di oggi è difficile rintracciare lo spirito del ragazzo ossuto che negli anni Settanta, per riconquistare la giovane e amata Suze Ruotolo, si fece mezzo mondo e si presentò sotto l'Università degli Stranieri di Perugia – o almeno così racconta la leggenda. Impossibile biasimare Dylan anche per la performance canora, tutto sommato accettabile e ancora emozionante in quel suo cantilenante biascicare che ha raccontato al mondo le storie di santi e peccatori, ma sopratutto di ultimi ed emarginati. Il punto è che oggi, a proposito di ultimi, Dylan sembra ormai un "primo" infastidito da tutto ciò che lo circonda: dal mare di cellulari che gli si presenta di fronte a ogni concerto, da un viso invecchiato - il suo - che non ha più voglia di mostrare, da un successo che non vuole più godersi appieno e persino - sembrerebbe - dalle emozioni che è stato (e probabilmente sarebbe ancora) in grado di provocare. Il suo show appare come una sfida silenziosa, per nulla violenta, ma giocata sul filo della tensione, quasi per mettere alla prova il pubblico e per incidere un codice di regole ferree che sembrano più il cruccio di un dio stanco che le pretese legittime di un uomo con qualche fisima di troppo.

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"Most Likely You Go Your Way And I'll Go Mine", "I Contain Multitudes", "False Prophet": dopo le prime canzoni si ha già il sospetto di assistere a qualcosa che non muterà. Dylan non rivolge alla platea neanche una parola tra un brano e l'altro, ma tira dritto senza indugi. È come se il pubblico non rappresentasse più un elemento imprescindibile di un concerto, ma un'entità superflua e completamente estranea rispetto a ciò che sta accadendo sul palcoscenico. Non che il pubblico di Perugia aiuti a colmare questa distanza; gli applausi sono tiepidi, qualcuno sbadiglia e c'è persino chi dorme sogni tranquilli. La band accompagna Dylan con maestria e disinvoltura, ma gli ultimi brani della discografia di Zimmerman non offorno una grande variazione di ritmo e di dinamiche. Canzoni blues, canzoni ruvide, canzoni che parlano di fine. Il concerto va via lentamente e senza grandi sussulti.
Oggi Dylan dal vivo è questo: prendere o lasciare. Molti prendono, pochi lasciano e abbandonano l'arena anzitempo, mentre la band introduce "Gotta Serve Somebody". Dopo la cover di Johnny Mercer ("That Old Black Magic"), l'intima "Mother Of Muses" e "Goodbye Jimmy Reed", il cantautore americano attacca "Every Grain Of Sand" e soffia per la prima volta dentro l'armonica a bocca. Il pubblico si esalta e, come se si fosse svegliato da un lungo torpore, si alza e corre sotto al palco. Il suono di quell'armonica è la scoperta della prova regina: l'uomo sul palco è davvero Bob Dylan. Stanco e barcollante, dopo un'ora e quaranta di concerto, lascia il piano, fa qualche passo in avanti e si concede alla folla per alcuni istanti, aiutandosi con due aste di microfono. Tra il pubblico qualcuno ha gli occhi pieni di chi ha visto in faccia una divinità; qualcun altro urla di restare ancora un po', di farne almeno un'altra, qualunque essa sia. L'ultima preghiera urlata alla fine di uno show fra luci e (tante) ombre. Una preghiera che si rivelerà del tutto vana.

Ben Harper & The Innocent Criminals (13 luglio)

 

Quando Ben Harper venne a suonare a Perugia per la prima volta in carriera, era da poco uscito "Fight For Your Mind", uno dei lavori migliori del cantautore californiano. Dopo quella serata del 1999 - che si tenne peraltro al Teatro Morlacchi, altra venue di Umbria Jazz - Harper tornò a Perugia soltanto una volta volta, l'anno successivo, e quindi mai più per oltre vent'anni. Il grande ritorno - originariamente previsto per l'edizione del 2020, che saltò a causa della pandemia - ha portato con sé entusiasmo e un pizzico di nostalgia. Se in studio Harper sembra aver abbandonato da tempo l'ispirazione migliore, dal vivo è ancora in grado di concedersi all'abbraccio del pubblico.
Dopo l'energico pre-show dei Ranky Tanky - che nei giorni precedenti, nei palchi gratuiti di Umbria Jazz, avevano già fatto faville - Ben Harper e suoi Innocent Criminals entrano col sorriso sulle labbra e un'energia che lentamente si sprigiona per infilarsi tra le anime del pubblico perugino.

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"I believe in a better way": canta ora come allora il cantautore californiano. Non alza il pugno destro verso il cielo solo perché è impegnato a suonare la sua Stratocaster, ma il sentimento che veicola pare immutato e custodito nell'uomo e nella sua arte esattamente come vent'anni fa, saldo in cima a un sound un po' black e un po' folk, un po' rock e un po' gospel, come un vessillo indistruttibile: "Sono un tramonto vivente che mi illumina le ossa", canta Ben Harper, "spingimi pure oltre il limite, tanto la mia volontà è dura come una pietra, perché credo in un modo migliore". Indossa una cuffia rossa e dice che Umbria Jazz è un sogno, che essere lì è un privilegio e sebbene suonino come parole di rito, viene voglia di crederci. La versione gentile di "Diamond On The Inside" apre le porte a "Don't Give Up On Me Now", un brano che, a detta dell'artista, in Italia ha sempre riscosso un successo particolare.
Per tornare davvero indietro nel tempo, all'albeggiare di una discografia che conta ormai più di quindici album, c'è bisogno di aspettare circa una mezz'ora. Harper ripesca "Mama's Trippin'" e "Steal My Kisses" dalla fine degli anni Novanta e i fan di vecchia data ringraziano. Dal punto di vista tecnico, le dita di Harper si fanno apprezzare di più sugli strumenti acustici e sulla lap guitar che sull'elettrica. Sembra riconoscerlo anche lui, quando durante l'incerta esecuzione di "She Only Happy In The Sun" decide di ricominciare la canzone daccapo, per regalare al pubblico di Perugia la miglior versione possibile. C'è spazio anche per due tra gli artisti che Harper dice di amare di più al mondo, Rhiannon Giddens e Francesco Turrisi. Il momento è intimo e catartico, quando l'inedito trio si cimenta in "Black Eyed Dog" poi, qualche minuto più tardi, ci pensa l'attacco quasi metal di "Faded" a riportare il muro del suono su altezze da capogiro. È un'altra incursione in "The Will To Live", album che Harper dimostra di apprezzare particolarmente.
Dopo l'attacco della conclusiva "With My Own Two Hands", non c'è addetto alla sicurezza che possa fermare l'ondata di fan che si riversa sotto il palco; cerca un contatto più intimo, un modo più caldo e informale per abbracciare Ben Harper, almeno per il tempo di un bis, che alla fine gli verrà concesso; gli ultimi due regali sono "Below Sea Level" e "Amen Omen", che nella coda si trasforma in "Knockin' On Heaven's Door", forse per omaggiare chi questa edizione del Festival l'ha inaugurata. Potente, autentico e spirituale, il live di Ben Harper è stato, senza troppi giri di parole, uno dei momenti più alti della cinquantesima edizione di Umbria Jazz.


Paolo Conte (15 luglio)


Paolo Conte ha affermato che fra gli applausi che la platea gli dedica - per lo più colti e intellettuali - quelli che preferisce sono i circensi, che si riservano all'equilibrista quando arriva salvo all'altro capo del filo. Alla fine del filo che collegava il palco dell'Arena Santa Giuliana al pubblico, Paolo Conte ci è arrivato dopo circa due ore di concerto, con un intervallo nel mezzo di venti minuti, che ha permesso all'Avvocato di riprendere fiato e voce, in una serata afosa di metà luglio. L'ingresso è stato di quelli puntuali, che non lasciano spazio ad attese. Un giovane accompagnatore apre la strada del palco al Maestro e lo guida fino al pianoforte a coda, dietro cui si siederà per raccontare alcune tra le sue storie più famose. Prima di attaccare a suonare, la mano destra indugia sulla fronte, per ripararsi dai riflettori che Bob Dylan, qualche sera prima, aveva categoricamente ordinato di spegnere.
È proprio con un pianoforte a coda in mezzo al mare ("Aguaplano") che l'artista piemontese ha aperto il concerto di Perugia, seguendo pedissequamente la scaletta già presentata nelle date più recenti di questo tour italiano. Alla fine di ogni brano il cantautore di Asti presenta un membro della sua orchestra formata da dodici elementi, tutti eleganti, come la musica che propongono. Sarebbe bello ascoltare Conte e il suo ensemble in riva al mare, su un balcone che affaccia sull'acqua salmastra e sulla luna color panna che ci riflette contro, ma anche la cornice del centro storico di Perugia, sul lato est dell'Arena, non è un paesaggio che si fa disdegnare. Prima di attaccare il secondo brano, Conte scatena l'ovazione, indossando un paio di occhiali color giallo limone che lo riparano dalle luci del palco senza dover staccare le mani dal pianoforte.

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"Sotto le stelle del jazz", "Come di", "Alle prese con una verde milonga", il live è un rosario di successi snocciolati alla platea gremita di Perugia, città che Conte conosce piuttosto bene, visti i numerosi precedenti in terra umbra. Quando per eseguire "Ratafià" e "Uomo Camion" si alza in piedi, poggiando la mano sinistra sul bordo del pianoforte e la destra sull'asta del microfono, il pubblico può godersi anche la presenza fisica dell'artista, oltre a quella musicale. È la prossemica di un uomo con mezzo secolo di carriera, ma ancora disposto a concedersi al pubblico, in un dondolare funambolico appunto, come un abile equilibrista, tra il sornione e l'ironico.
"Via con me" avvicina i cellulari al cielo e "Max", canzone poetica quanto enigmatica, colora di un bordeaux quasi sacrale i drappi dietro alla band, quasi a preannunciare un altro immarcescibile successo: "Diavolo rosso", galoppante incedere di musica prima che di testo, visto che le parole sono poche, ma lo sforzo dei musicisti nell'accompagnare il Maestro quasi viscerale. A chiudere il concerto il bis di rito, scontato quanto gradito: di nuovo "Via con me", poi ancora applausi e un gesto simpatico quanto repentino del maestro, che si porta la mano al collo a simulare un taglio, come a dire "stavolta è finita davvero".



Setlist

Bob Dylan

Watching The River Flow
Most Likely You Go Your Way And I'll Go Mine
I Contain Multitudes
False Prophet
When I Paint My Masterpiece
Black Rider
My Own Version Of You
I'll Be Your Baby Tonight
Crossing The Rubicon
To Be Alone With You
Key West (Philosopher Pirate)
Gotta Serve Somebody
I've Made Up My Mind To Give Myself to You
That Old Black Magic (Johnny Mercer cover)
Mother of Muses
Goodbye Jimmy Reed
Every Grain Of Sand


Ben Harper & The Innocent Criminals


Better Way
Diamonds On The Inside
Don't Give Up On Me Now
Finding Our Way
Mama's Trippin'
Steal My Kisses
Need To Know Basis
Say You Will
Walk Away
Black Eyed Dog (feat. Giddens with Turrisi) 
She's Only Happy In The Sun

Encore


Below Sea Level
Amen Omen/Knockin' On Heaven's Door (Bob Dylan Cover)

Paolo Conte

Aguaplano
Sotto le stelle del jazz
Come di
Alle prese con una verde milonga
Ratafià
Uomo camion
La frase

Intervallo


Dancing
Gioco d'azzardo
Gli impermeabili
Madeleine
Via con me
Max
Diavolo rosso
Le chic et le charme

Encore


Via con me

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