15/03/2024

Lucinda Williams

Palasport San Bernardino, Chiari (Brescia)


Non c’è cosa più bella di una bella canzone. Non c’è amante più fedele, amica più intima, non c’è ritorno più lieto di quello a una bella canzone. Alcuni momenti sembrano fatti per ricordarcelo. Il concerto di Lucinda Williams a Chiari, in un venerdì sera di metà marzo, è stato tra quelli, forse perché a cantare sul palco era un’artista animata da questa stessa convinzione. Una canzone può essere tutto, una canzone è tutto.
Oggi che Lucinda ha settant’anni e vive coi postumi di un ictus che l’ha resa claudicante, meno libera nei movimenti, continua a girare il mondo offrendo le sue storie al pubblico che viene ai suoi concerti, un pubblico educato, maturo, che dai sogni delle canzoni ha costruito affetto e protezione. Eppure non c’è nostalgia, alcun dolce naufragare in queste canzoni, bensì la forza indistruttibile di un’impressione, la nitida chiarezza di un’emozione cristallizzata lì, in quattro minuti di chitarre country. Lucinda Williams avrà alle spalle migliaia di concerti, eppure ogni volta sembra la prima, per la cura con cui introduce i brani, li spiega, con cui accompagna il suo pubblico nel viaggio della sua vita. 

A partire da quelle quattro ruote su una strada sterrata, “Car Wheels On A Gravel Road”, che nel ‘98 la resero per sempre una grande della musica americana. Arriva come terza canzone in scaletta, dopo due di riscaldamento (la nuova “Let’s Get The Band Back Together”, la cover di repertorio “Can’t Let Go”), ed è come illuminare un passato irrisolto. Una canzone sulla mia infanzia, ci ricorda lei. Ed ecco le gite la domenica, il cane in cortile, le colazioni, l’odore delle uova e del bacon; ma anche gli obbedisci!, i sogni di fuga, “un po’ di fango, mischiato con le lacrime”. La storia di tutti, in fondo, incorniciata in una ciclica melodia di viaggio, per sempre agrodolce. 
Le sue canzoni più belle sono come vaste praterie: sembrano spalancarsi per lasciare spazio di corsa, di immaginazione. Quel modo di accarezzare un accordo nell’altro e quindi in un altro, quel suonare familiare, è tipico di tutto il country, ma Lucinda lo fa in un modo suo, che è insieme ruggine e miele. Come del resto è la sua voce, un po’ indebolita dall’età e dagli acciacchi, ma in fondo ancora lì, stoicamente e straordinariamente vera. E oggi che una lunga degenza le ha tolto la possibilità di suonare la chitarra, Lucinda è in piedi a cantare. Sentirla stasera in una storia rotta come “Drunken Angel”, nel fragore delle chitarre, è più che commovente: è semplicemente ascoltare la cosa più potente che ci sia. 

Ciascuna canzone rivive nel concerto. Giunta sul palco con la 6 Buick Band, batteria basso e due chitarre, Lucinda infonde di passione ogni nota e parola. Capisci che crede in ogni sua composizione, e che queste canzoni sono state scritte a un scopo: essere suonate in giro, per rinascere ogni sera su un nuovo palco. La band è in ottima forma, coesa, precisa sugli accenti e disinvolta nelle piccole improvvisazioni, e quando a un certo punto il chitarrista sbaglia sonoramente un accordo, a nessuno gliene fotte niente – o forse sono stato il solo a notarlo. 
D’altronde queste sono canzoni dai valori saldi, che camminano a schiena dritta. Va da sé profondamente libere. E se gli strumenti son ben assicurati nei rock’n’roll tratti dal suo ultimo disco (“Stories from a rock ’n’ roll heart”, coi contributi di Bruce Springsteen e della moglie Patti Scialfa) o in alcuni blues più canonici, la musica prende il volo nelle composizioni più aeree, come “Fruits Of My Labor”, col suo triste candore, o la travolgente “Out of Touch” e le sue chitarre emozionali, alla maniera di Neil Young, giocate di rimbalzo tra le corde basse e sventagliate di power-chords. 

La cantautrice sembra grata alla vita per ogni esperienza, dalla più dolce alla più crudele. A colpire è il lungo elenco di dediche, di I wrote this song for…, pronunciati tra una canzone e l’altra. Sono convinto che Lucinda, giunta stasera a un Palasport San Bernardino pieno per l’unica data italiana nonché ultima del suo tour europeo, abbia scritto una canzone per ogni persona incontrata negli anni. È così per “Drunken Angel”, dedicata al musicista cult Blaze Foley, ucciso da un colpo di pistola, amico dell’altro grande introverso del folk Townes Van Zandt; per “Stolen Moments” dedicata a Tom Petty, o per una sanguigna “Blind Pearly Brown” scritta per l’omonimo e maledetto bluesman, ma sopratutto per “Lake Charles”, in memoria all’ex-fidanzato Clyde Woodward, morto all’improvviso a fine Novanta e da allora tenuto vivo nel ricordo della canzone, punto fisso delle scalette della Williams.

La scrittura dell'artista di Lake Charles, Louisiana (“quando si parla del sud degli States si finisce sempre col parlare di cibo”, dirà a un certo punto, cogliendo inavvertitamente un’analogia con l’Italia) trae vita dalle storie che incontra, che restituisce con la dolcezza di chi ascolta e sospende il giudizio, con l’empatia che è propria dei poeti. Non a caso, ci ricorda, lei stessa è figlia di un poeta, Miller Williams, che per diversi anni ha soggiornato a Roma adorandone il ritmo della vita, il cibo e la cultura, fino a misurarsi con la traduzione in inglese delle poesie in romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli – ma nemmeno è un caso, a questo punto, che a tornarmi in mente con prepotenza durante la serata siano le parole di un altro poeta capitolino: “Rubatele anche i soldi/ rubatele anche i ricordi/ Ma lasciatele sempre la sua dolce curiosità”. 
Quello che implicitamente ci sta dicendo è che attraverso il padre, rinfrancato durante gli anni di malattia dalla compagnia della nostra gente, anche una parte di Lucinda, a cui non avremo mai accesso, ha trovato pace da queste parti. “Ecco un altro motivo per cui essere qui stasera, davanti a voi, è per me così speciale”. Sorride sincera, e noi con lei.

Un sentito ringraziamento a Matteo Codarri per la fotografia e a longliverocknroll.it per la gentile concessione.



Setlist

Let's Get the Band Back Together
Can't Let Go
Car Wheels on a Gravel Road
Drunken Angel
Stolen Moments
Blind Pearly Brown
Jukebox
Lake Charles
Fruits of My Labor
Ghosts of Highway 20
Protection
Dust
Out of Touch
Honey Bee

Encore

Rock 'n' Roll Heart
Joy
Get Right With God

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