15/07/2024

Mogwai

Parco delle Caserme Rosse, Bologna


Dove le parole non arrivano, la musica parla
(Ludwig Van Beethoven)

“Mai visto un palco con un solo microfono così in disparte…”, è il commento di un ragazzo che si appresta per la prima volta a sentire i Mogwai dal vivo al Sequoie Music Park, nella cornice del Parco delle Caserme Rosse di Bologna. Lo storico gruppo post-rock scozzese è infatti noto per la sua predilezione per tracce solo strumentali e istintive, nelle quali a ruggire sono principalmente le chitarre elettriche. Il suo ritorno nel nostro paese avviene a due anni dal tour di supporto a “As The Love Continues”, con una formazione a cinque che vede il chitarrista Stuart Braithwaite, il bassista Dominic Aitchison e Martin Bulloch alla batteria, insieme ai turnisti Alex Mackay e Maria Sappho, sostituti del polistrumentista Barry Burns.

L’apertura è nel segno delle tastiere che illuminano il lento crescendo articolato di “I'm Jim Morrison, I'm Dead”, a cui si associano gradualmente feedback di chitarra, proseguendo con i panorami sonori dell’eterea e delicata “Kids Will Be Skeletons” e le melodie alienanti di “Take Me Somewhere Nice”, uno dei rari momenti in cui Braithwaite si avvicina timidamente al microfono. Pochissimi versi di grande impatto emotivo.

Ghosts in the photograph never lied to me
I'd be all of that, I'd be all of that
A false memory would be everything
My denial, my eliminent

I toni si alzano con il ruvido tappeto di chitarre soniche su “Rano Pano” e le progressioni ripetute della tagliente e rumorosa “Drive The Nail”, sorprendendo con una versione più grintosa di “I Know You Are But What Am I?”, che alterna barlumi slowcore a sferzate post-rock. Il percorso continua con le doppie tastiere brillanti in direzione new age della suggestiva “Dry Fantasy” e i muri di suono tra shoegaze e dettagli space di “Hunted By A Freak”, dominata dalla voce distorta e incomprensibile di Sappho.
Tra le maggiori vette spiccano gli splendidi fraseggi di “Summer”, altro esempio che segue il tipico schema loud-quiet-loud caro alla band, e le esplosioni di deriva metal ad opera dalle sferraglianti chitarre orrorifiche e le percussioni potenti della lunga “Like Herod”, tratta dalla pietra miliare “Young Team”.
La fragorosa “Old Poisons” chiude il set principale, a seguito della quale i Nostri tornano sul palco con i giri sognanti di “Ritchie Sacramento” e l’immancabile e monumentale catarsi di “Mogwai Fear Satan”, perfetti titoli di coda della liturgia noisy del quintetto di Glasgow.

Ogni altra parola sarebbe superflua, poiché nel caso di un live dei Mogwai è la grande empatia delle loro sonorità a parlare al cuore di chi vi sta assistendo, e per definirne la forza e comprendere quale possa essere l’obiettivo finale è sufficiente rispolverare il concetto di “emozione musicale” ideato da Lévi-Strauss: la necessità di dare un’interpretazione a una composizione attraverso un ascolto sentito e commosso, spingendosi fino alle radici del sentimento profondo che ne scaturisce. Trame sonore in grado di rovistare nell’animo e metterlo a soqquadro senza un filo di voce. Non per tutti, solo per i più temerari, soprattutto di questi tempi.

(foto di Luca Mallardo)