Cos’è un momento chiave? Un istante nel contesto di un evento maggiore che scatena qualcosa da quel punto in poi: una svolta emotiva, un richiamo nostalgico, un immaginario che diventa finalmente realtà. Ecco, dopo questa serata potremmo definire un momento chiave quando Billy Sheehan a metà spettacolo scende dal palco e ritorna dopo pochi secondi con il suo iconico basso doppio. In quel momento chi scrive, insieme a molti dei presenti in questa serata marchigiana, è tornato con i ricordi ai banchi di scuola dove ascoltando quel gran disco rock chiamato “Lean Into It” immaginava i virtuosismi sul palco di uno dei più popolari bass hero del tempo.
La nostalgia è sicuramente il tema portante del programma proposto dal Bambù Festival di Monte Urano. Oltre alle leggende dell’hair rock previste per stasera, troviamo tra i presenti nientemeno che Dennis Stratton, storico primo chitarrista degli Iron Maiden dell’esordio omonimo, presente come ospite del festival e già carico a suon di birre, pronto a salire sul palco per la sua esibizione, prevista per la sera successiva. Il pubblico è quello che ti aspetti da una band adorata per i suoi tecnicismi, ovvero pieno zeppo di musicisti ed ex-musicisti della zona. Ciò che sorprende è semmai il numero tutto sommato esiguo di spettatori accorsi: raramente capita di trovare un’area Pit così spoglia e anche il settore standard non è esattamente gremito, ad occhio e senza pretesa di precisione potremmo essere intorno ai 1.500 presenti. E’ possibile che all’effetto contribuiscano anche le notevoli dimensioni della venue scelta - il parco fluviale Alex Langer potrebbe contenere ospiti anche di richiamo maggiore di Martin e soci - ma forse ci saremmo aspettati una risposta maggiore nei confronti dell’unica data italiana del tour di addio di una band storica.
Fortunatamente, la pausa funziona e si procede senza sosta e senza particolari inconvenienti fino alla fine dello storico platter (pur saltando curiosamente “A Little Too Loose”, diversamente dalle date precedenti del tour) fino a chiudere con una “To Be With You” cantata da tutto il pubblico. Purtroppo, proprio in questo altro momento topico la voce di Martin torna a soffrire in modo evidente e da lì non tornerà più ai livelli precedenti; per fortuna il mestiere del frontman compensa in parte il problema, oltre alla sua autoironia quando inizia a tossire per scherzarci un po’ su.
Dalla fine di “Lean Into It” cambia il copione della serata e lo show si avvia verso una chiusura inusuale, se non altro per chi non conosce già la veste live dei Mr. Big. L’intenzione sembra quella di voler avviare una festa di addio, partendo da “Wild World” di Cat Stevens che fa da introduzione a una doppietta di lunghi assoli da parte di Gilbert e Sheehan: virtuosi, autocompiaciuti e rigorosamente “sboroni”, per la gioia dei molti chitarristi e bassisti accorsi. Il clima è appunto di festa, anche se la chiusura - con altre due cover (“Shy Boy” dei Talas di Sheehan e “Baba O’Riley” degli Who), senza bis e con una scaletta complessivamente più corta di tre brani rispetto alle altre date europee - lascia una sensazione strana, come se si fosse persa l'occasione per un finale realmente adeguato alla serata.
La folla defluisce ordinatamente, grazie anche all’ottima organizzazione degli spazi del Bambù Festival e pochi ostinati rimangono per un’ultima birra in onore degli antichi rocker che erano un tempo. Loro, e i loro adorati Mr. Big, non sono più ragazzini di una volta, ma è stato bello salutarsi con dignità per un’ultima volta.
Contributi fotografici su concessione di Aurora Ribichini, Alessio Bracalente e Alessandra Machella