“Questo è il mio Oktoberfest!”, esulta brindando un alto e dinoccolato quarantenne, sbarcato sulle rive urbane di Via Prenestina dopo due settimane di pedalate dalla Baviera. Al Largo Venue è arrivato quasi per caso, dopo aver scoperto il ritorno dal vivo dei Nile da Greenville, South Carolina. Una chiara dopo l’altra, si parla del suo sfiancante viaggio in bici, dopo il furioso set dei romani Hideous Divinity, in grande stato di forma e visibilmente felici di suonare in casa.
Pubblicato a marzo su etichetta Century Media, l’ultimo disco della band capitolina, “Unextinct”, ha convinto con una maggiore esplorazione espressiva, con nuovi inserti black metal nella sempre solida architettura death. La chitarra dissonante apre la nuova “The Nominous One”, che mette subito in evidenza il growl variegato del frontman Enrico H Di Lorenzo. La band sfoggia la capacità di passare in scioltezza da fraseggi iper-tecnici ad atmosfere più brutali e oscure, come nell’altro nuovo brano “Against The Sovereignty Of Mankind”. Il pubblico ruggisce alzando le corna al cielo, accompagnando gli Hideous Divinity verso la fine del set sulla marcia brutal di “Mysterium Tremendum”.
La sala si svuota per circa un quarto d’ora, mentre un vispo ragazzo dalla barba vichinga si lamenta a causa di un sound troppo impastato. Nuovi giri di birra nel piacevole giardino del locale romano, mentre il lungagnone tedesco torna a brindare nel suo personale oktoberfest tricolore. “Ieri sono stato in centro e non mi è piaciuto, poi ho visto che stasera c’erano i Nile e sono arrivato”, ovviamente in bicicletta. Tra gli esponenti di punta del movimento death metal, gli statunitensi Nile tornano dal vivo con il loro, personalissimo, Ciclo di Cthulhu, raccontato da oltre vent’anni per volere - così sulla pagina Wikipedia - del leader Karl Sanders.
La mai sopita passione per l’antico Egitto vive nella velocissima “Sacrifice Unto Sebek”, guidata dal canto da catacomba e dalle chitarre affilate come lame indistruttibili. Dalla forza brutal di “Defiling The Gates Of Ishtar” alla deriva black di “To Strike With Secret Fang”, i Nile si abbattono su Roma come il dio dalla testa di falco, con un volume da sanguinamento dalle orecchie. E’ ovviamente il gioco del death metal, suonato in maniera impeccabile dal gruppo a stelle e strisce, con Sanders a martellare sul ritornello “there is no god” in “Kafir!”. Il leader lancia l’esecuzione al fulmicotone di “Call To Destruction”, prima di quella “Vile Nilotic Rites”, composta dopo la separazione a sorpresa con Dallas Toler-Wade nel 2017.
Il set procede senza soluzione di continuità, ora lasciando spazio a una certa melodia (“Lashed To The Slave Stick”), poi giocando su furiosi cambi di ritmo (“Stelae Of Vultures”). La batteria di George Kollias è praticamente perfetta, epica e serrata nella successiva “In The Name Of Amun”, lasciando la seduta al nostro Edoardo Di Santo sulla più lenta (e ancora più oscura) “Sarcophagus”.
Il finale pirotecnico è la quintessenza del gruppo di Greenville, con “Black Seeds Of Vengeance” che esplode con un brutal potentissimo, formato da ritmi velocissimi prima del climax epico. Il set si chiude tra applausi scroscianti, ma i Nile non tornano per concedere il bis invocato a gran voce. Dopo aver iniziato la serata con i Monastery, storica band ungherese formata nel 1987, e i ben più giovani Intrepid da Tallinn, Estonia, il rock ballabile sparato dalle casse del Largo per chiudere la serata sembra quasi una ninna nanna per bambini assopiti.
Sacrifice Unto Sebek
Defiling the Gates of Ishtar
To Strike With Secret Fang
Kafir!
Call To Destruction
Vile Nilotic Rites
Lashed to the Slave Stick
Stelae of Vultures
In the Name of Amun
Sarcophagus
Long Shadows of Dread
Black Seeds of Vengeance