Ogni tanto capitano delle serate sulle quali restiamo in dubbio fino all'ultimo, un po' per la troppa pigrizia, un po' perché non abbiamo ancora comprato il biglietto, un po' perché l'amico con cui eravamo in parola ci ha dato buca. E poi l'artista in questione lo abbiamo già visto un sacco di volte, in più piove e c'è pure la scusa delle partite alla tv. Quando però mancano solo un paio d'ore all'inizio, bisogna fare alla svelta e prendere una decisione, e l'unica possibile naturalmente è andare, sempre e comunque, perché chi ama la musica è fatto così e i Clan Of Xymox sono uno di quei gruppi ai quali dal vivo non si può proprio rinunciare. Lo scorso 13 marzo, a Roma, eravamo in circa duecento ad attenderli al Traffic Live Club sulla via Prenestina, dove tornavano dopo un annetto e mezzo di assenza dall'Italia (si erano esibiti sempre qui nell'ottobre del 2023). Da allora è uscito “Exodus”, il loro diciottesimo album, e l'evento è un'occasione ghiotta per ascoltare qualcuno dei brani nuovi, oltreché tanti cavalli di battaglia del passato.
Intorno alle 20 cala il buio, fa freschetto e le strade sono semi-deserte: entrambe le squadre di calcio della Capitale sono in campo per gli ottavi di finale di Europa League, ragion per cui molti hanno preferito rimanere a casa incollati agli schermi, ma avranno modo di ripensarci e organizzarsi per tempo, visto che la band olandese è prevista on stage sul tardi, dopo le 22.30.
Prima ci sono in cartellone due scoppiettanti opening act: aprono le danze i Les Long Adieux, duo post-punk di tutto rispetto, formato dalla vocalist cosentina Federica Garenna e da Frank Marrelli; quindi sale sul palco la brava Numa Echos, che ruba l'occhio con un'impetuosa combinazione industrial-rock a tinte noir, accompagnata da Lorenzo Nepitello (batterista che suona anche con i veneziani 30 Denari), da Elia Martina alla chitarra e da Pasquale Vico, bassista di comprovata esperienza attivissimo nel circuito con i suoi Date At Midnight e i This Eternal Decay. Insomma, non sono certo dei principianti e si sente, non a caso le performance risultano coinvolgenti e davvero ben orchestrate. Finisse ora, potremmo dirci già ampiamente soddisfatti, ma il bello viene adesso.
Il locale nel frattempo si è riempito e verso le 22.50, con una ventina di minuti di ritardo sull'orario concordato, è il turno dei Clan Of Xymox, che fanno il loro trionfale ingresso sul palco accolti da un boato. Come prevedibile, il pubblico è costituito per la maggior parte da fan di mezza età, ma nel mucchio si possono distinguere anche giovani truccati in maniera sgargiante, con collari, borchie e calze a rete strappate. C'era da immaginarlo, non dimentichiamo che ci troviamo al cospetto di autentiche istituzioni della darkwave degli anni Ottanta, anche se del nucleo originale, fondato nel 1981 a Nijmegen, l'unico membro superstite è l'eterno Ronny Moorings, ex-studente di sociologia appassionato di Bauhaus e Virgin Prunes. A sessantaquattro anni, veste in abiti funerei, l'eyeliner e i capelli neri come la notte lo fanno sembrare ancora un ragazzetto: buon per lui, farebbe invidia a parecchi colleghi illustri.
A seguito degli innumerevoli cambi di line-up e di direttive artistiche, il gruppo nel corso dei decenni ha modificato la fisionomia, il sound e persino il nome (spesso abbreviato in un semplice Xymox), senza però mai stravolgere la propria essenza. Oggi al fianco di Moorings ci sono il fido Mario Usai (alla chitarra e al basso) e il tastierista Sean Goebel, che dà il benvenuto ai presenti illuminandoli con le lucine magiche dei suoi guanti laser. Quindi lo show ha finalmente inizio con l'ipnotica “Stranger”, uno dei pezzi forti del repertorio classico, che riporta indietro le lancette al 1985, anno in cui la band olandese (che sino ad allora aveva prodotto solamente l'Ep “Subsequent Pleasures”) esordiva ufficialmente incidendo per la leggendaria etichetta 4AD l'album di debutto eponimo “Clan Of Xymox”.
Da quel momento in poi cominciò una rapida scalata verso la fama, grazie ad una serie di dischi capaci di svariare tra le sonorità tetre dei primi lavori, il synth-pop radiofonico di fine anni Ottanta (“Twist Of Shadows” del 1989 ne è un valido esempio), la house e la sottocultura cyber di “Metamorphosis” del 1992 e il future pop in stile Duemila sul modello di Covenant, Vnv Nation e Apoptygma Berzerk, prima di tornare definitivamente al caro mix di gothic-rock ed elettronica nei più recenti “Days Of Black” (2016), “Spider On The Wall” (2020) e “Limbo” (2021).
Lo spettacolo in programma al Traffic è sostanzioso e ripercorre ciascuna di queste diverse ere geologiche vissute dalla band, tutte accomunate da pulsazioni dance e atmosfere malinconiche: dopo “Stranger”, ecco una rapida escursione nel nuovo millennio con “Love Got Lost” e “There's No Tomorrow”, costruite entrambe su possenti impalcature techno, mentre la catastrofica “X-Odus”, singolo lanciato nello scorso maggio, denuncia tra le righe lo sfacelo del mondo odierno, paventando la fuga come soluzione estrema (“le cose si stanno facendo difficili/ per chi vuole essere libero/esodo, esodo!”).
Il cantante ha carisma da vendere e domina la scena, quando vuole sa alzare i toni e dirigere i cori, altrove sfodera un timbro grave e implacabile come un metronomo: il ritornello di “Your Kiss” svolazza in testa come un pipistrello, di contro il baritono profondo di “Jasmine And Rose”, acclamatissima, fa venire alla mente i Sisters Of Mercy di “First And Last And Always” (la melodia delle strofe ricorda da vicino la loro “Walk Away”).
Non c'è un attimo di pausa, si balla e ci si diverte. La gente in sala apprezza e sottolinea battendo le mani a ritmo, poi largo ai sentimenti con l'indimenticabile “Louise”, che fa singhiozzare il cuore e strappa pure una lacrimuccia (è tratta da “Medusa” del 1986, la loro opera più poetica, considerata all'unanimità una delle pietre miliari dell'intera new wave).
“Emily” è un altro gioiellino dei giorni nostri, imperniata su una dinamica trance dall'incedere asfissiante, la nostalgica “All I Ever Know” e “Loneliness” rallentano leggermente senza discostarsi dalle collaudate linee guida, sulla stessa frequenza viaggiano “Suffer” (è la B-Side di “X-Odus”) e soprattutto la sorprendente “She”, un'altra delle perle meno conosciute in catalogo che invece in versione live funziona maledettamente bene. Meriterebbero tutte miglior sorte, chissà che il tour attualmente in corso non serva a risollevare anche l'appeal commerciale dei Clan Of Xymox, che qualcuno alla vigilia dava stranamente per bolliti, e invece per la gioia di chi è venuto qui appaiono in stato di grazia.
A questo punto siamo carichi per il momento clou della serata, e parliamo ovviamente dell'attesissima “A Day”, inno intramontabile che chiunque c'era negli anni Ottanta non può non portarsi dentro. Oggi suscita ancora le stesse emozioni, e la mente scava tra i ricordi dei banchi di scuola, gli zaini scarabocchiati coi pennarelli e centinaia di compilation in musicassetta custodite a mo' di cimeli: tra una lode a Mishima, “Patriots”, “Apapaia” e gli And Also The Trees, un posticino quel riff di “A Day” se lo ritagliava sempre di diritto, lo testimoniano i cori da stadio che partono alle prime note e rimbombano sui muri sino al tripudio finale, con l'urlo “Where Are You?” gridato all'unisono tutti insieme.
Brividi e standing ovation, poi dopo i finti saluti da copione i musicisti si ritirano meritatamente in camerino qualche minuto a rifiatare. Il bis è doveroso e viene affidato a dei pezzi forse meno celebri, ma di altrettanta caratura. L'ipertecnologica “Blood Of Christ” è l'altro singolo estratto da ”Exodus”, “You're The One” è invece l'ultimissimo inedito in ordine cronologico prodotto dai Clan Of Xymox ed è stato pubblicato nello scorso mese di dicembre all'interno di un mini-Ep contenente alcuni remix.
Chiude in bellezza “Hail Mary”, che cala degnamente il sipario su una serata davvero magnifica, nata quasi per uno scherzo del destino. E pensare che si stava per rimanere a casa: meno male che si può cambiare idea, fino all'ultimo ci sarà sempre tempo.