Da sinistra a destra, dal punto di vista dello spettatore, sul palco del club romano Largo Venue sono saliti cinque pazzi furiosi. Il primo di questo ensemble schizoide è nato a Boston e risponde al nome di Ford Pier, in maglietta rossa e pancetta prominente. Ha ben oltre cinquant’anni, ma salta e si muove come un essere ossessionato dal ritmo, districandosi tra le tastiere e il trombone. Al suo fianco, l’acconciatura quasi hair-metal di Kristy-Lee Audette, grande studiosa di musica e diplomata al conservatorio, stasera alle chitarre, alla tromba, ma soprattutto a una voce urlante che sfonda il muro del suono. Il terzo pazzo furioso, Byron Slack, sfodera i riff più distorti, arrivato a Roma da Vancouver dove ha infiammato i palchi locali con la sua band punk, gli Invasives. Accanto a lui, Aidan Wright martella con il suo basso, come se stesse manovrando un oggetto contundente, coinvolto da suo padre nel progetto Dead Bob.
A governare questa deviata orchestra di sboccati stradaioli è il batterista John Wright, tra i membri fondatori dei NoMeansNo, tra le band seminali del punk canadese alla fine degli anni 70. L’attacco ossessivo di chitarra e percussioni di “One Of You” mette subito le cose in chiaro per gli spettatori presenti: sarà un concerto ai limiti dell’assurdo, votato alla sperimentazione sonica più estrema e soprattutto violenta, grazie a volumi che non temono morte o dolore acustico.
Si parte così con l’album del 2023 “Life Like”, concepito nelle terre più selvagge della British Columbia e decisamente restio a qualunque tentativo di chiusura all’interno di un genere. Mentre Audette si sposta in secondo piano alle tastiere, “White Stone Eyes” parte con un plumbeo ritmo industriale, scatenando la frenesia di un Pier sempre più tarantolato nel suo vistoso rosso.
Mentre qualcuno si allontana dalle prime file a causa di un volume da sanguinamento auricolare, “Life Like” regala aperture melodiche in un’architettura math-rock. Ma l’approccio distruttivo del gruppo non è solo nei confronti di chi prova anche solo a farsi capire dal vicino, è una continua decostruzione musicale nel pieno spirito del punk, contaminato ora dal jazz progressivo (“No Tomorrows”, “Some Bodies”), ora da una furia quasi hardcore (“I’ve Been There”). Il funky schizzato di “Maybe It Came At The Wrong Time” è la cover di un brano registrato dallo stesso Pier nel 2007, mentre la martellante e spaziale “No Fun” è l’estratto dall’ultimo, omonimo disco uscito in estate a nome Dead Bob.
Non c’è tregua in un concerto violento come una serie di cazzotti in piena faccia: dal ritornello opprimente di “Just Breathe” al punk di matrice californiana “Party Of One”. Il bis è affidato alla lunga “Slowly Melting”, omaggio alla storia dei NoMeansNo, che si snoda in una breve suite a metà tra la geniale follia dei Devo e i tecnicismi paurosi dei Primus. La band saluta il pubblico romano e si ritira, lasciando gli spettatori in uno stato di confusione e stordimento, dopo uno dei concerti più assurdi e memorabili dell’anno.
One Of You
White Stone Eyes
Hard Is Hard
Life Like
Epic A
No Tomorrows
Some Bodies
I've Been There
Maybe It Came At The Wrong Time
NO FUN
Just Breathe
Party Of One
Encore
Slowly Melting