Non è la prima volta che vado a Bologna per il Link, e di certo non sarà l'ultima. È già successo per le mitragliate techno di Ben Sims, Oscar Mulero e Marco Maldarella; è capitato in un numero di serate ormai difficili da contare, e stavolta è toccato a Dj Sotofett, digger e figura leggendaria dell'underground clubbing. Al secolo Stefan Mitterer, propone un'arte profondamente eclettica. Il baricentro forse gravita sull'house, ma nessuno stile è trattato come un dogma; come nell'ottimo "Drippin' For A Tripp (Tripp-A-Dubb-Mix)" del 2015, dove i linguaggi si fanno mutevoli e si rincorrono. Un ventaglio che spazia dagli strumenti suonati da musicisti in carne e ossa alla dance-music più sintetica, anche se nemmeno quel disco, subito diventato oggetto di culto tra gli appassionati, basta a contenere la sua poetica.
Giusto due parole d'introduzione: quello di Sotofett è uno dei nomi più discussi del sottobosco elettronico dell'ultimo decennio; norvegese di nascita, gestisce uno studio di mastering, alcune etichette analog-friendly (Sex Tags Mania, su tutte), e alterna occasionali chitarre su beat rallentati a sequenze outsider-house: il tutto con l'attitudine di un producer cresciuto tra skatepark e nastri magnetici. Uscito su Honest Jon’s Records e fratello di Dj Fett Burger, altro nome di spicco della scena, Mitterer è capace di passare dall'high-fidelity al lo-fi, dalla cassa dritta al broken-beat in un battito di ciglia, con collaborazioni street-house che spaziano da Madteo a split con SVN.
Ma torniamo a noi. Arrivo al Link verso le 23,30. Il set è un all-night-long e dovrebbe essere cominciato da almeno mezz'ora. L'evento è curato da LEDX, realtà locale che in passato ha già ospitato nomi del calibro di Ron Morelli, Francesco Del Garda e Nas1. L'idea è quella di affidare a Sotofett un'unica maratona di sette ore, anche se alla fine le cose andranno un po' diversamente. Appena arrivo sento già da fuori il pezzo in diffusione: è "Planetary Involvement (Solar Mixxx)" firmata Zarate_Fix e Sotofett, una carezza ambient-progressive, morbida come una ninnananna, che mi introduce perfettamente nel suo immaginario. Le premesse sono ottime.
La sala, però, è piuttosto spoglia, con pochi presenti. Immagino per una combinazione di fattori: periodo dell'anno (molti fuorisede sono già rientrati) e un nome non esattamente noto al grande pubblico. Fatto sta che la pista non ha raggiunto le densità tipiche del Link; si è riempita col tempo, ma senza mai traboccare. Poco male: chi ha partecipato era lì con cognizione di causa. A parte un paio di danzatori capitati lì per puro gusto del ballo, si percepiva chiaramente che molti sapevano bene chi c'era in consolle. Pochi, ma scelti.
Ciò che mi ha colpito di Mitterer è stata, come accennavo, la varietà del suo set. Conclusa la parentesi ambient e drumless del warm-up, ha iniziato a mettere giù i suoi vinili più club, incurante della sala ancora semivuota. E lo ha fatto con decisione. Ammetto che l'inizio è stato spiazzante: da dj forse avrei optato per una transizione più morbida. Invece, dal silenzio atmosferico si è passati a una traccia minimal-techno essenziale, priva di hi-hat, ipnotica, ma già consistente. Poi ho capito: stava cercando di richiamare chi era ancora fuori, per catturarlo nel suo ritmo. Mossa tutt'altro che ingenua.
Da lì in avanti, i primi cinque-dieci dischi hanno definito la traiettoria: nella prima mezz'ora danzante, Sotofett ha lanciato il suo manifesto. Dopo la minimal ha infilato nu-jazz, electro, tribal-house, breakbeat, accenni di dub. Ho riconosciuto "Psychotic Photosynthesis" di Omar S, ma molti dei brani erano perle semi-sconosciute, altri pescati dal suo sconfinato repertorio. Il set è proseguito su questa linea: digressioni sintetiche, tracce con flauti e fiati, groove suonati da musicisti veri e banger costruiti su campioni grezzi e taglienti.
Tanto di cappello anche per come ha gestito un imprevisto tecnico: mentre lo staff sostituiva uno dei giradischi, Mitterer ha usato un secondo mixer, collegato probabilmente a effetti e un sampler con spoken-word e chincaglierie assortite, per coprire la transizione tra i brani durante l'assenza del piatto. Il guasto è durato una decina di minuti, ma lui ha saputo integrarlo con naturalezza. Sia chiaro: la sua tecnica non è funambolica. Si basa sulla selezione, sull'intreccio narrativo, più che su costruzioni millimetriche o layering esasperati. Non siamo davanti a Jeff Mills con tre piatti sovrapposti con chirurgica precisione, e va bene così. Sotofett lavora per accumulo emotivo, per incastri di timbri e variazioni d'atmosfera.
Il set si è concluso poco prima delle quattro, nonostante le sette ore annunciate. Forse l'affluenza non è bastata a giustificare una chiusura all'alba, come spesso accade al Link, ma per quanto mi riguarda è stato perfetto così. Ho assistito all'esibizione di un dj e artista innamorato della club-music in tutte le sue forme: ruvido quando serve, lucido nei dettagli, sempre in movimento. Sarò più che felice di riascoltarlo alla prossima occasione.