14/06/2025

Dj Sotofett

Link, Bologna


Non è la prima volta che vado a Bologna per il Link, e di certo non sarà l'ultima. È già successo per le mitragliate techno di Ben Sims, Oscar Mulero e Marco Maldarella; è capitato in un numero di serate ormai difficili da contare, e stavolta è toccato a Dj Sotofett, digger e figura leggendaria dell'underground clubbing. Al secolo Stefan Mitterer, propone un'arte profondamente eclettica. Il baricentro forse gravita sull'house, ma nessuno stile è trattato come un dogma; come nell'ottimo "Drippin' For A Tripp (Tripp-A-Dubb-Mix)" del 2015, dove i linguaggi si fanno mutevoli e si rincorrono. Un ventaglio che spazia dagli strumenti suonati da musicisti in carne e ossa alla dance-music più sintetica, anche se nemmeno quel disco, subito diventato oggetto di culto tra gli appassionati, basta a contenere la sua poetica.

Giusto due parole d'introduzione: quello di Sotofett è uno dei nomi più discussi del sottobosco elettronico dell'ultimo decennio; norvegese di nascita, gestisce uno studio di mastering, alcune etichette analog-friendly (Sex Tags Mania, su tutte), e alterna occasionali chitarre su beat rallentati a sequenze outsider-house: il tutto con l'attitudine di un producer cresciuto tra skatepark e nastri magnetici. Uscito su Honest Jon’s Records e fratello di Dj Fett Burger, altro nome di spicco della scena, Mitterer è capace di passare dall'high-fidelity al lo-fi, dalla cassa dritta al broken-beat in un battito di ciglia, con collaborazioni street-house che spaziano da Madteo a split con SVN.

Ma torniamo a noi. Arrivo al Link verso le 23,30. Il set è un all-night-long e dovrebbe essere cominciato da almeno mezz'ora. L'evento è curato da LEDX, realtà locale che in passato ha già ospitato nomi del calibro di Ron Morelli, Francesco Del Garda e Nas1. L'idea è quella di affidare a Sotofett un'unica maratona di sette ore, anche se alla fine le cose andranno un po' diversamente. Appena arrivo sento già da fuori il pezzo in diffusione: è "Planetary Involvement (Solar Mixxx)" firmata Zarate_Fix e Sotofett, una carezza ambient-progressive, morbida come una ninnananna, che mi introduce perfettamente nel suo immaginario. Le premesse sono ottime.
La sala, però, è piuttosto spoglia, con pochi presenti. Immagino per una combinazione di fattori: periodo dell'anno (molti fuorisede sono già rientrati) e un nome non esattamente noto al grande pubblico. Fatto sta che la pista non ha raggiunto le densità tipiche del Link; si è riempita col tempo, ma senza mai traboccare. Poco male: chi ha partecipato era lì con cognizione di causa. A parte un paio di danzatori capitati lì per puro gusto del ballo, si percepiva chiaramente che molti sapevano bene chi c'era in consolle. Pochi, ma scelti.

img_71961_600

Ciò che mi ha colpito di Mitterer è stata, come accennavo, la varietà del suo set. Conclusa la parentesi ambient e drumless del warm-up, ha iniziato a mettere giù i suoi vinili più club, incurante della sala ancora semivuota. E lo ha fatto con decisione. Ammetto che l'inizio è stato spiazzante: da dj forse avrei optato per una transizione più morbida. Invece, dal silenzio atmosferico si è passati a una traccia minimal-techno essenziale, priva di hi-hat, ipnotica, ma già consistente. Poi ho capito: stava cercando di richiamare chi era ancora fuori, per catturarlo nel suo ritmo. Mossa tutt'altro che ingenua.

Da lì in avanti, i primi cinque-dieci dischi hanno definito la traiettoria: nella prima mezz'ora danzante, Sotofett ha lanciato il suo manifesto. Dopo la minimal ha infilato nu-jazz, electro, tribal-house, breakbeat, accenni di dub. Ho riconosciuto "Psychotic Photosynthesis" di Omar S, ma molti dei brani erano perle semi-sconosciute, altri pescati dal suo sconfinato repertorio. Il set è proseguito su questa linea: digressioni sintetiche, tracce con flauti e fiati, groove suonati da musicisti veri e banger costruiti su campioni grezzi e taglienti.
Tanto di cappello anche per come ha gestito un imprevisto tecnico: mentre lo staff sostituiva uno dei giradischi, Mitterer ha usato un secondo mixer, collegato probabilmente a effetti e un sampler con spoken-word e chincaglierie assortite, per coprire la transizione tra i brani durante l'assenza del piatto. Il guasto è durato una decina di minuti, ma lui ha saputo integrarlo con naturalezza. Sia chiaro: la sua tecnica non è funambolica. Si basa sulla selezione, sull'intreccio narrativo, più che su costruzioni millimetriche o layering esasperati. Non siamo davanti a Jeff Mills con tre piatti sovrapposti con chirurgica precisione, e va bene così. Sotofett lavora per accumulo emotivo, per incastri di timbri e variazioni d'atmosfera.

Il set si è concluso poco prima delle quattro, nonostante le sette ore annunciate. Forse l'affluenza non è bastata a giustificare una chiusura all'alba, come spesso accade al Link, ma per quanto mi riguarda è stato perfetto così. Ho assistito all'esibizione di un dj e artista innamorato della club-music in tutte le sue forme: ruvido quando serve, lucido nei dettagli, sempre in movimento. Sarò più che felice di riascoltarlo alla prossima occasione.