11/05/2025

Motorpsycho

Orion, Ciampino (Roma)


Andare a vedere i Motorpsycho dal vivo è come bussare alla porta dell’amico più intimo e fraterno dopo una bruttissima settimana. Ti senti triste e depresso, perché non vedi alternative ai concerti dalle scalette sempre uguali, quelle che trovi su setlist punto fm praticamente identiche dall’inizio di ogni tour. Ma soprattutto ti vengono spesso brutti attacchi d’ansia, perché ti ritrovi a pensare che il cosiddetto rock sia ormai morto, almeno quello che piace a te, che vive di riff e strumenti colorati. Poi però vieni invitato a entrare dal tuo amico alto e dalla barba folta, che ti prende bonariamente a schiaffi per circa 2 ore e 30 minuti. Lo fa per il tuo bene, per farti riprendere dal torpore, con un sound che ti devasta il corpo, dalle orecchie che fischiano al ginocchio sinistro che cede. Finito il concerto, un senso di estremo appagamento ti pervade, hai capito che per te c’è ancora speranza, che il rock può ancora regalarti momenti sonici d’altri tempi.

Poco distante dal secondo aeroporto di Roma, sulla strada che porta ai famosi Castelli, l’Orion di Ciampino è quasi immerso sulle piste, nel silenzio irreale di un cartellone spento a bordo strada. Domenica sera, non gioca nemmeno la As Roma, pochi ragazzi chiacchierano prima di entrare in pizzeria, mentre un cane da guardia ci imbruttisce da una cancellata. In formazione a quattro, i Motorpsycho hanno appena attaccato con i primi accordi della suite psichedelica “Lacuna/Sunrise” quando superiamo i controlli ed entriamo nell’ampia sala circolare. Ci sono pouf bianchi in alto, sulle piccole gradinate illuminate da led azzurri, in una location spesso usata per serate danzanti.
I capelloni norvegesi hanno aperto il set alle 21 precise, con la prima suite onirica a metà tra Beatles e Pink Floyd, dall’album del 2016 "Here Be Monsters". Il palco è circolare, quasi a 360°, illuminato in maniera calda e avvolgente, come ad avvicinare la band al suo ristretto pubblico. Dall’ennesimo ottimo album, intitolato semplicemente "Motorpsycho", la furiosa cavalcata “Three Frightened Monkeys” viaggia spedita come un razzo verso i cieli del prog/psych. Peccato che Bent Sæther inizi subito a lamentare problemi al basso, particolarmente impastato e vibrante, seguiti a ruota da altri black-out tecnici alle tastiere alla sua sinistra. “Beh, interessante - scriverà la band sulla sua pagina Facebook - Dal sublime alla merda in due ore. E poi di nuovo a qualcosa che almeno fosse decente (speriamo!). Queste cose succedono quando cammini sul filo del rasoio musicale a 104 dB. Diamo la colpa all'affaticamento delle orecchie, alla febbre e alla luna piena, e chiediamo perdono agli dei del rock”.

E gli dei del rock sanno essere sempre magnanimi, perché permettono ai Motorpsycho di superare le evidenti difficoltà audio sull’irresistibile marcia in falsetto di “This Is Your Captain”, seguita dal devastante groove in stile seventies di “Lucifer, Bringer Of Light”. Solo quattro brani per oltre quaranta minuti di concerto, a ranghi serratissimi, preannunciando al pubblico attentissimo uno show ai limiti della resistenza fisica.
Mentre Hans Magnus Ryan cambia di continuo chitarra, “Whip That Ghost (Song For A Bro’)” aggiunge un tocco jazzy alle infinite suite del concerto, prima dell’intermezzo acustico di “Patterns”, uptempo folk atmosferico tra luci soffuse e inevitabili smartphone alzati. Nemmeno il tempo di una birra per recuperare i sali minerali perduti e partono gli oltre venti minuti della nuova “Neotzar (The Second Coming)”, vera e propria odissea musicale tra svisate hard rock e svolazzi psichedelici.
Il gruppo torna alla fine degli anni 90 con l’acida “Starmelt / Lovelight” e una “Sinful, Wind-Borne” dal riff tagliente in odore di band come Pixies e Pavement. Dopo oltre due ore, l’ipnotica “The Alchemyst” chiude il set, con Magnus Ryan che saluta il pubblico camminando lentamente con una stampella. “Ammazza, questo ha suonato due ore e ora cammina con la stampella”, commenta uno spettatore divertito.

Il gruppo torna sul palco dopo scarsi due minuti, per un bis che dovrebbe prevedere altri tre brani, ma che include la sola “Mountain”, probabilmente a causa dei problemi tecnici riscontrati. Ma anche qui ci pensano gli dei del rock, che portano i Motorpsycho a sfondare il muro del suono con un pachidermico ritmo sabbathiano. Applausi a scena aperta, viva il rock, viva i Motorpsycho.