29/03/2025

Soap and Skin

Santeria Toscana, Milano


Attendere sei anni per rivedere un’artista come Soap&Skin, moniker dietro al quale si cela la musicista e produttrice austriaca Anja Franziska Plaschg, è un tempo che ha il sapore di una lunga, febbrile preghiera. Arrivati sul posto e parcheggiato sopra il solito marciapiede di viale Toscana, mi sono avvicinata al locale con i miei amici: Giulia Impache aveva appena iniziato a suonare e, mentre ci facevamo largo tra la piccola folla che era rimasta ancora fuori, si sentivano le note eteree di una musicista originale e coraggiosa, tra suoni irregolari ed evocativi che, come canto di sirene, ci hanno trascinato dentro alla sala già formicolante di gente.
Dopo la suggestiva esibizione della performer torinese, le luci si sono abbassate e abbiamo atteso ancora una buona mezz’ora prima che, nella sala ormai gremita, Anja Plaschg salisse sul palco. L'emozione era così palpabile da sembrare visibile.

Le luci si sono abbassate, un applauso fragoroso ha preceduto il silenzio quasi religioso che ha accolto la sua entrata. Di spalle, schiva e timida nella prima parte, Anja è salita senza incrociare lo sguardo del pubblico. I primi brani li ha suonati di schiena o di profilo, al pianoforte nudo, di cui era visibile solo lo scheletro. Ma mano a mano che il concerto si snodava, si è aperta, sbocciando come un Epiphyllum oxypetalum detto anche “Regina della notte” (una pianta grassa che si schiude nelle ore notturne, dalla fioritura molto generosa e dal profumo intenso) e ha stabilito via via un contatto sempre più diretto e struggente con chi aveva atteso anni per ritrovarla. Non soltanto con la sua musica che è stata un crescendo, ma anche con il suo fisico, la sua emotività e il suo sguardo.
Quello di quest’anno è un tour che accompagna l’uscita di “Torso”, l’ultimo lavoro dell’artista neoclassica sperimentale darkwave, che contiene uno splendido mosaico di sole cover. Cover a cui la performer austriaca ci ha abituati fin dall’inizio della sua carriera e che ha disseminato nei suoi dischi - basti pensare alla celebre rivisitazione di “Voyage, Voyage” di Desireless contenuta nel suo secondo album “Narrow”.
Quando un artista realizza un disco di cover, le ragioni possono essere svariate: spesso il motivo reale può essere dettato da una scelta artistica volta a valorizzare canzoni a cui è legato perché fonti di ispirazione o, semplicemente, perché non ha avuto tempo di scrivere canzoni originali… A pensar male, dato che è stata impegnata nel film in cui ha recitato, Anja si è forse più dedicata al suo ruolo di attrice piuttosto che alla scrittura di canzoni nuove? Non lo sapremo mai… In ogni caso, certo è che questo album/tour di cover è una prova coraggiosa per ogni artista da cui si può uscire o miserabilmente ridimensionati o da grandi, come nel suo caso.

La serata si apre con “The End” dei Doors: solo piano e voce. Un inizio che ci ha catapultati immediatamente nella dimensione sospesa e magnetica tipica di Soap&Skin, fatta di respiri, silenzi e pause vertiginose. Fin dalle prime note la platea è stata avvolta in una spirale ipnotica, il tempo sembrava essersi dissolto. Ogni urlo, ogni sussurro, ogni esitazione nel canto di Anja era un tassello che costruiva un affresco di sublime decadenza.
Poi il primo strappo con “Meltdown”: una cover di Clint Mansell super-elettronica, un pezzo sincopato accompagnato da luci verdi e bianche intermittenti e accecanti, epilettiche. Un arrangiamento intenzionalmente disturbante, con le mani che si muovevano in modo convulso sul piano. Una secchiata d'acqua gelida dopo la dolcezza iniziale. Un monito per mettere le cose in chiaro fin dall’inizio: aspettatevi di tutto!
Dopo le ombre e le tensioni ipnotizzanti torna un momento di raccoglimento, più dimesso e intimista, con una devastante ballata di Cat Power, rivisitata con un'intensità emotiva ancora più lacerante dell'originale. Con “Maybe Not” si tocca uno dei punti di maggior delicatezza del concerto.
Subito dopo, ecco la delicatissima “Mystery Of Love” di Sufjan Stevens, colonna sonora del film di Luca Guadagnino “Chiamami col tuo nome”, molto fedele all’originale e arricchita da morbidi tocchi di ottoni che la rendono quasi più solare e concreta.

Non sono mancati brani propri, come “The Sun” e “This Day”, quest’ultimo pezzo apre il suo penultimo disco di sei anni fa e ha indossato stasera una veste ancora più intima e rarefatta, facendosi strada tra gli ottoni e quegli archi delicati che ricorrono spesso nei suoi arrangiamenti.
Con “God Yu Tekkem Laef Blong Mi”, Soap&Skin ha sfiorato l'apice mistico della serata: spostandosi lateralmente, cambiando posizione e registro, ha aperto un concerto nel concerto. Col fianco rivolto al pubblico, ha fronteggiato davanti a sé uno dei fiati, eliminando ogni barriera e cantando tutto in falsetto su note altissime, quasi come fosse da sola nella sala piena, vulnerabile, eterea. In questo modo il brano è diventato ancora più celestiale e intimo. Il titolo significa “Dio, hai preso la mia vita”, è una composizione di Hans Zimmer per il celebre film di guerra di Terrence Malick “La sottile linea rossa”.
E poi con “Goodbye” di Apparat… pelle d’oca. Nel tripudio di cellulari accesi per filmare, nessuno della mia combriccola, me compresa, ha fatto un video per catturare quel momento, il più bello. Tanto eravamo rapiti dall’interpretazione che abbiamo deciso di godercela completamente: uno degli highlight del concerto.

“Born To Lose” di Shirley Bassey ha alzato ancora di più la posta emotiva. Il testo, già di per sé molto profondo (“nata per perdere ogni partita che gioco”) ha trovato un arrangiamento che l’ha reso ancor più lancinante, toccante e intenso. Per non parlare delle salite vocali da vertigine affrontate da Anja con una naturalezza a dir poco disarmante.
Subito dopo è la volta di “Safe With Me”, un balsamo delicato, al piano il pezzo diventa quasi giocoso. Ogni senso viene riattivato, qualcosa di profondo e primitivo inizia a pulsare in ognuno di noi e non può che esplodere.
Poi, il punto più intenso: “Vater”, il brano dedicato al padre scomparso. È una canzone estrema emotivamente e dalla struttura complessa: nella prima parte è tutta voce e piano, poi c’è un capovolgimento nella fase finale dove succede qualsiasi cosa, sia al piano e con gli altri strumenti, sia vocalmente; in un punto della canzone, lei si lascia andare a un urlo di rabbia, di disperazione o di dolore… chi può dirlo? In ogni caso è un momento totalmente liberatorio. Alla seconda strofa, la voce di Anja si è spezzata. Lei si è portata le mani al viso, sopraffatta dall'emozione. Il pubblico, in un istante di straordinaria empatia, l’ha sostenuta in silenzio, con il solo calore della presenza. È stato un momento di verità, puro e irripetibile.

Nella scaletta subito dopo c’è la sua “Heal”, ovvero “guarire”, una canzone minore quasi sussurrata, eterea, con suoni elettronici rarefatti che, posizionata lì, potrebbe avere un senso molto preciso.
Quindi, al piano, Soap&Skin ha omaggiato il nostro paese suonando un piccolo pezzettino (la prima strofa e il ritornello) di “Italy”, rallentata di molto rispetto all’originale, probabilmente per dare il giusto peso, il giusto spazio, il giusto respiro. Da quel momento si è alzata e non si è più risieduta.
“Questa canzone è dedicata a mia figlia”, così ha presentato la cover di Tom Waits “Johnsburg, Illinois”, dove “she” probabilmente era per Tom la persona amata, mentre per Anja è la sua piccola. Si passa quindi da un amore carnale a un amore materno. È così che l'artista riesce a rendere suo ogni brano, scolpendo ogni nota nella carne viva del presente.
Un devastante crescendo di suoni “industrial” anima “Gods & Monsters” di Lana del Rey, in cui sembra di essere trasportati in un altro spazio, un limbo sonoro dove gioia e struggimento si confondono in un unico, abbacinante abbraccio.
Anche quando Plaschg riduce all’osso la strumentazione, lavorando per sottrazione rispetto alle versioni originali, l’effetto è sempre molto avvolgente, grazie alla sua voce dalle molteplici sfumature.

“Girl Loves Me”, scritta da David Bowie sotto l’effetto di pesanti farmaci nella fase finale della sua vita, è un territorio altrettanto delicato. Soap&Skin rimane fedele all'originale, con urla distorte, sonorità electro-industrial e un ritmo vocale anestetizzato.
Meravigliosa “Me And The Devil” di Robert Johnson. Qui Anja si scatena sul finire muovendo le braccia e il corpo al ritmo incalzante e ripetitivo del brano: è una immersione travolgente.
È il turno poi di una commovente versione di “Mawal Jamar” di Omar Souleyman nell’ennesima lingua in cui Anja è in grado di cantare. D’altronde, può esprimersi in tedesco, francese, inglese o in lingua creola, e ogni volta Anja affascina e incanta come poche altre artiste oggi riescono a fare.
Nel bis, una fragile e struggente “Pale Blue Eyes” dei Velvet Underground di Lou Reed ha chiuso il cerchio con una dolcezza indicibile, omaggiando l'amore perduto che, come tutto in questo concerto, non è mai solo dolore, ma è trasformazione, liberazione, catarsi. Ed è qui che alla fine del brano Anja si stacca dal microfono per spostarsi al lato del palco, prendere dei fiori bianchi, e regalarli al pubblico con la delicatezza e la gentilezza che la contraddistinguono…
La fine è affidata a una struggente e rassicurante “Boat Turns Toward The Port” che descrive metaforicamente il viaggio della vita come una barca che si dirige verso un porto sicuro. L’immagine del cielo in fiamme e fango rappresenta le sfide e gli ostacoli che si incontrano lungo il cammino, ma che alla fine portano a trovare un luogo di pace e riposo dove potersi liberare da ogni peso.

La musicista e produttrice austriaca, da sempre affascinata dalle pieghe più oscure dell’animo umano, nota per il suo mix di pianoforte inquietante, arrangiamenti d'archi roboanti e sfrenati elementi elettronici, ha dato vita a una performance che non si è limitata a confermare il suo talento, ma l’ha espanso, sublimato, arricchito di nuove sfumature. Con la sua voce unica e potente, capace di evocare la libertà irriverente di Björk e di infondere un’innocenza quasi infantile a ogni immagine, Soap&Skin ha costruito un mondo a parte, sospeso tra etereo e terreno e che ogni volta dà vita a esperienze viscerali.
In un’ora e mezza di musica e silenzio, conflitti e traumi sono riaffiorati, lacerazioni si sono riaperte e curate, la luce ha trovato spazio nelle crepe. La mia anima, come quella di tutti i presenti, è stata purificata e resa libera. Dopo sei anni di attesa, non poteva esserci ritorno più necessario, più salvifico.
Soap&Skin non ha solo suonato: ha evocato, ha incarnato, ha guarito.

Setlist


The End (The Doors cover)
Meltdown (Clint Mansell cover)
Maybe Not (Cat Power cover)
Mystery of Love (Sufjan Stevens cover)
This Day
God Yu Tekem Laef Blong Mi (Hans Zimmer cover)
Goodbye (Apparat cover)
The Sun
Born to Lose (Shirley Bassey cover)
Safe With Me
Vater
Heal
Italy (First verse and chorus only)
Johnsburg, Illinois (Tom Waits cover)
Gods & Monsters (Lana Del Rey cover)
Girl Loves Me (David Bowie cover)
Me and the Devil Blues (Robert Johnson cover)
Mawal Jamar (Omar Souleyman cover)

Encore

Pale Blue Eyes (The Velvet Underground cover)
Boat Turns Toward The Port

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