08/06/2025

Steven Wilson

Auditorium Parco della Musica, Roma


Bisognerebbe davvero scomodare l’Anonimo del Sublime per raccontare il concerto di Steven Wilson all'Auditorium Santa Cecilia di Roma. La rappresentazione del suo ultimo lavoro “The Overview”, andata sold-out con largo anticipo, è un’esperienza immersiva che non si limita a piacere ma, citando il trattato del letterato greco, “ci strappa dal tempo ordinario e ci immerge in una dimensione altra, vertiginosa”. Wilson e la sua band restano quasi invisibili, inghiottiti dall’oscurità, mentre sul gigantesco schermo alle loro spalle scorrono a ritmo serrato visioni di natura sconfinata: deserti infuocati, colate di lava, stelle che esplodono, uomini senza volto che marciano tra gli anelli di Saturno. Una voce fuori campo accompagna un viaggio visivo che si espande progressivamente, in un crescendo che mostra oggetti sempre più grandi: terre remote, stelle, nebulose, galassie fino a sfociare in una vertigine cosmica e percettiva.

Wilson costruisce un varco, un passaggio verso l’illimitato con la sua musica che si fonde perfettamente con questo flusso di immagini, alternando con disinvoltura generi e suggestioni: progressive rock, post-rock, echi floydiani, pulsazioni elettroniche. Il risultato è un’esperienza immersiva e totalizzante, che paralizza ogni reazione: il pubblico resta immobile, seduto, completamente ipnotizzato.
“Ma è solo l’inizio!” come promette lui stesso al termine dell'esecuzione integrale dell'album, preparando il pubblico per la seconda parte. All’inizio, riaffiora l’incanto delle atmosfere rarefatte e dilatate dell'ultimo lavoro con le oniriche melodie di The Harmony Codex. Ma lentamente il concerto muta pelle e diventa materia più conforme a ciò che ci si potrebbe aspettare da un live “classico” (se così si può dire nel caso di Wilson). Le luci si fanno più intense, la band emerge dal buio, e lui stesso cerca con maggiore insistenza il contatto col pubblico, alternando battute e brevi introduzioni.

È qui che i grandi brani del suo repertorio iniziano a prendersi la scena: “Home Invasion”, “Regret #9”, e poi le incursioni nella storia dei Porcupine Tree con “Dislocated Day” e l’esplosiva “Voyage 34”, accolta con un boato di entusiasmo. Wilson, che ricorda con autoironia la sua regola personale – “sul palco devo essere sempre il peggior musicista del gruppo” – si circonda, come sempre, di artisti  straordinari. Ma il virtuosismo non è mai fine a sé stesso. Niente assoli vanitosi o protagonismi fuori posto: ognuno contribuisce alla costruzione di tessiture complesse e avvolgenti, che si espandono con una precisione quasi architettonica nella sala. È un perfetto lavoro d’ensemble, che trova piena espressione tanto nei brani labirintici e “ridiculously huge”, come “Impossible Tightrope”, quanto nella potenza diretta e asciutta di una traccia come “Vermillion Core”.

Nel finale, l’atmosfera cambia: il pubblico, finalmente, scioglie ogni riserva e si avvicina al palco, mentre i musicisti si lasciano andare al contatto diretto, offrendo assoli ravvicinatissimi e momenti di interazione senza filtri. Le ultime due tracce: la monumentale “Ancestral”, terreno ideale per le escursioni strumentali più ardite, e la commovente “The Raven That Refused To Sing”  chiudono un concerto durato oltre tre ore. Quando anche il corvo scompare dallo schermo, inghiottito dal buio, la Sala Santa Cecilia esplode in una lunga standing ovation. Le luci tornano, il palco si svuota, ma nell’aria resta qualcosa, una traccia nel silenzio che segue.