11/02/2011

Band Of Horses

Estragon, Bologna


Appoggiato in mezzo a un vasto campo di cemento come un desolato circo in disuso, l'Estragon si gonfia, da lontano, nella coscienza di ospitare uno dei pochi concerti di una certa rilevanza a svolgersi nel nostro Paese, non solo per via delle carenze logistiche e organizzative di quest'ultimo, ma anche per la scarsità di band di rilievo "universale", tra le quali i Band Of Horses non è scontato possano essere annoverati, quanto meno sulla sponda europea dell'Atlantico.
Vale la pena di anticipare la piacevole sorpresa di vedere il locale di Bologna quasi gremito, nella consapevolezza un po' colpevole di non sapere (più), forse, intercettare quali meccanismi spingano una band come gli Horses che, fino a pochissimo tempo fa, era sì tra quelle più in vista del mondo indipendente, ma difficilmente poteva immaginarsi come trascinatrice di folle (lo stesso vale, forse, per i National). Ci si guarda intorno, per quanto possibile nel marasma di corpi, chiedendosi quanto valga, oggi, il passaggio di un video di motociclisti abbronzati su Mtv, quanto conti la presenza di un proprio brano nella colonna sonora di "Twilight", oppure se conti solo Facebook, o tutti questi fattori insieme.

Cosa certa è che la Band Of Horses ha dalla sua un album fresco, di grande orecchiabilità e assoluta carenza di spigoli o lampi di potenza espressiva, nel quale ha abbandonato del tutto la propria carica giovanile - quella dell'affresco sconfinato di "Everything All The Time" - ma anche giovanilistica, com'era nell'ansia sentimentale di "Cease To Begin". "Infinite Arms" è un album di country-rock limpido, fatto per gracchiare dalle fiancate di una Harley, dal mangiacassette portatile vintage di giovani surfisti, mantenuto sulla superficie di una pallida identità musicale dal grande talento di Ben Bridwell, il frontman.

bridwell3Nel torrido Estragon ci si prepara alla pirotecnia vocale e chitarristica dei Nostri con l'incomprensibile apertura di Mike Noga, roco intrattenitore che ha avuto la splendida idea di acconciarsi anche come Dylan, per chi non avesse capito dove volesse andare a parare. Tirate d'armonica in svendita, che definiamo "incomprensibili" perché di band ben più meritevoli per accompagnare la Band Of Horses ce ne vengono in mente a bizzeffe, dai Deer Tick ai Felice Brothers, oppure quel Phosphorescent già comparso a Milano insieme ai National.
Si finisce, prevedibilmente, con le sfiatate di hammond dell'ospite Ryan Monroe (per fortuna non ha scambiato anche la Band Of Horses per CSN o la Band) a infiammare gli animi, in modo ancora del tutto macchiettistico.

In un Estragon sempre più invivibile - pare un accogliente luglio bolognese, tanto che ci si chiede come possa essere nel "vero" luglio, e infatti a maggio chiude - appaiono, dopo un'attesa cospicua, Bridwell e Ramsey. Il primo ispira subito un'innocenza indifesa, una stoica gentilezza, dibattuto tra il ripiegarsi su se stesso e mostrarsi del tutto al suo pubblico.
Con piglio cinematografico appaiono nel sole filtrante, proiettato alle loro spalle, per sussurrare il loro stornello d'amore fatto di sospiri e pensieri, di natura e silenzio: puramente twilightiano, insomma. Ramsey, dalle fattezze e l'acconciatura di Caviezel nella Passione secondo Mel Gibson, mostra subito quella inesistente capacità comunicativa mostrata già nella sua carriera solista, e che riproporrà, poi, divorandosi colpevolmente - forse considerandolo, a torto, un semplice allaccio, e non uno dei motori e dei significati della canzone - lo stupendo riff di "Monsters", ma anche rallentando (limiti tecnici?) il tema di "Islands On The Coast". Peccati che possono essere considerati veniali dal non appassionato, ma che testimoniano una presenza di poca anima, non solo scenica ma anche sostanziale. Probabilmente non il musicista più adatto a un gruppo come la Band Of Horses.

Nel corso del concerto si capisce invece quanto Bridwell, invece, sia la figura che dà senso al gruppo, nonostante il pauroso impaccio iniziale (nel secondo pezzo, il primo con tutta la band, ossia "Bats", a quanto pare un nuovo pezzo, greve di oscuri presagi dato che ricorda da vicino "NW Apt."), che testimonia però il suo coinvolgimento emotivo, che gli stringe la gola, che gli impedisce di gettarsi per le vertiginose ampiezze delle sue escursioni vocali. Appena si sblocca (piuttosto presto), però - lo dico senza nascondermi dietro un dito - non ce n'è per nessuno. Difficile non rispondere al suo grido, che sembra espellere come un dono doloroso.
Un inizio sull'onda dei sentimenti un po' melensi ("Factory" e "Blue Beard", quest'ultima impossibile da non intonare, anche e soprattutto nella coda, a dir poco sfacciata) di certa parte di "Infinite Arms", proposti con un sound corposo, pieno, una folta, densa spremuta d'ormoni (introdotta dalla sfuriata di "Cigarettes & Wedding Bands"), che ha dalla sua una comunque simpatica sincerità.

Dopo una "Compliments" d'ordinanza, accompagnata, come nel resto del concerto, dalle immagini prismatiche di una natura in immobile movimento - con l'unica eccezione, durante "Islands On The Coast", delle loro faccione raybanizzate che rotolano su folle e sorrisi - arriva uno dei momenti più attesi (non solo da me, credo): la prima canzone da "Everything All The Time". Nella fattispecie, "The Great Salt Lake". Priva di certi dettagli, naturalmente smussati dal live, in particolare da quell'aspetto di monumentalità che contraddistingue il disco, ma la scrosciata di Sol che segue il ritornello ha il solito effetto catartico, di potenza naturale, di effluvio primitivo.
Caratteristica a mio parere donata dallo stile chitarristico inconfondibile di Mat Brooke, della sua "forza compassata" e mai più recuperata dopo il suo addio, neanche, ad esempio, nella seguente "Is There A Ghost", vera e propria prova di forza vocale di Bridwell, una gettata di napalm indiscriminata, a sconfiggere una solitudine artistica che, nella formazione di oggi, appare evidente. L'ordinarietà della sezione batteria/basso non aiuta, allo stesso modo.
Impietoso, infatti, il riassunto di decadimento espressivo che viene completato nella successiva "NW Apt.", inesistente, scarico stantuffare di arruffato rumorismo, ancora più indistinto e irriconoscibile dal vivo.

ramseyUn live comunque ravvivato dai pezzi di "Cease To Begin": siano questi le ballate di coinvolgente emozionalità ("Marry Song", "No One's Gonna Love You"), la festosità popolare di "The General Specific" o le giravolte impazzite di "Islands On The Coast" (pezzo stupendo, un po' rovinato da Ramsey), emerge un tiro decisamente diverso dall'incolore afflato melodico di "Infinite Arms". Va forse un po' riabilitata un'opera di enorme trasporto, che sa essere, alle volte, aggressiva e tagliente, in altre emotiva senza facili scadimenti.
Giusto per un esempio, viene poi il grugno anabolizzato di "Laredo" a confermare l'involuzione della band, che si mostra poi nella riproposizione di "Part One" in veste elettrica, presa ad accettate e poi gonfiata di steroidi: cosa ne direbbe Mat Brooke?!
Non contenti, presentano una delle tracce più deboli di "Infinite Arms" - per poi lasciare intonsa la scaletta di una "Way Back Home", ma anche di una "Dilly": il country-CSN di "Older", in cui giocano a fare i misurati tradizionalisti (c'è sotto Monroe?), spalmando di glassa armonizzata una parodia in maggiore.

Vedere però Bridwell accomodarsi davanti alla lap steel risveglia un'attesa spasmodica: è arrivato ancora una volta il momento dei grandi classici. Mi aspetto "Monsters", prima arriva una graditissima "The First Song", in cui mi pare ancora una volta carente la capacità di Ramsey di accentare, di far risaltare, in una canzone in cui il wall of sound è presente ma contrappuntato. Sensazioni ancora una volta tremende, però, un gonfiore luminoso si impadronisce del vasto interno dell'infuocato scafo dell'Estragon, rimane solo da abbandonarsi al suo eterno rollio.
E poi arriva in effetti la sublime "Monsters", in realtà un po' con effetto da "nobiltà decaduta", data la scarsissima capacità emotiva di Ramsey, per quanto i riflettori siano puntati su Bridwell, che sembra spinto da una temporanea infermità sul suo seggiolino: da lì sprigiona i suoi immensi latrati, che crescono d'intensità fino all'acme dirompente di "If I am lost/ It's only for a/ Little while", che Ben trasporta oltre i suoi confini e scaglia su distanze siderali, posseduto da una fiamma che miracolosamente si accende di meraviglia a ogni riproduzione, nonostante la moscia routine tastieristica di Moore e la calligrafica compunzione di Ramsey. Poco importa che la canzone si imbarbarisca nel finale, quando il grido di Bridwell ancora echeggia sovrastando il rumore, necessario (?) per preludere all'encore.

Tornano, con grandi - e, in qualche modo, meritate - acclamazioni, con la bella "Ode To LRC" e la sua viscerale umoralità, mischiando tempi e anime di "Cease To Begin". Mi viene da pensare che, forse per recuperare con un piccolo sotterfugio i "cavalli" di "Everything All The Time", Ben abbia spinto molto sul tempo dispari (un espediente compositivo un po' semplificato), e che questo spieghi il diverso carattere del disco rispetto al precedente.
A sorpresa è "Wicked Gil" a insinuare già la sublime idea del momento finale del concerto, in cui Ramsey si esibisce nell'ennesima prova incolore (mah...). Nessuna concessione, nel bis, a "Infinite Arms", e una scaletta che, su un'ora e quaranta di concerto, ha mostrato un po' tutta la storia della band, riuscendo a omogeneizzare sostanzialmente il tutto, senza riuscire (e senza volere, magari) coprire la diversa ispirazione che l'ha guidata negli anni.

Tante parole, ma ne mancano di adatte per l'ovvia conclusione del concerto. Solo una cosa rimane da dire: grazie, Ben.

Si ringraziano Francesca Baiocchi e Stefano Milziadi per i contributi fotografici

Setlist

1. Evening Kitchen
2. Bats
3. Cigarettes & Wedding Bands
4. Factory
5. Blue Beard
6. Compliments
7. Marry Song
8. The Great Salt Lake
9. Is There A Ghost?
10. NW. Apt.
11. The General Specific
12. Islands On The Coast
13. Part One
14. Older
15. No One's Gonna Love You
16. The First Song
17. Monsters/Neighbor

     Encore

18. Ode To LRC
19. Wicked Gil
20. The Funeral

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