OndaRock ha seguito l'intera tranche italiana del tour 2013 dei Beach House, ed è stato sorprendente constatare il grande successo che le date hanno riscosso.
Inevitabile cogliere una certa ironia nel doverli ammirare in una serata piovosa di inizio marzo: la situazione atmosferica che accompagna i tre eventi non è esattamente da spiaggia, ma ciò non scoraggia il pubblico che fedelmente li segue. A giudicare dalla lunga fila che alle 21,30 è assiepata fuori dall'Estragon di Bologna, prima tappa del tour, diremmo che la pioggia non ha impedito a nessuno di presentarsi all'appuntamento con Victoria Legrand e Alex Scally, che mancavano in città dall'ormai lontano 2008. Allora si era nel pieno del tour di "Devotion", mentre ora sono le atmosfere di "Bloom" a essere portate in giro per il mondo. Non è un sold-out, ma non ci si va troppo lontani, con il locale che offre un ottimo colpo d'occhio. A Roma il giorno successivo, alle ore 21,00 le persone in fila per entrare saranno già oltre un migliaio, ed alla fine il Piper si dimostrerà pieno oltre ogni ragionevole previsione. Tutto ciò in un periodo non certo avaro di eventi live nella capitale, il che rende ancora maggior merito al duo di Baltimora. Del resto “Bloom” (ma anche il precedente “Teen Dream”) ha riscosso dalle nostre parti grandi consensi sia di critica che di pubblico, lo stesso che asseconderà la band e non lesinerà applausi per tutta la durata del set.
Il compito di scaldare l'atmosfera e intrattenere il pubblico è affidato a Marques Toliver, afroamericano, sul palco in perfetta solitudine, armato di violino alla Owen Pallett: sarà questo l'unico strumento che l'accompagnerà durante l'esibizione, unitamente ad alcune parti strumentali preregistrate sulla loop machine. Presenza scenica e soprattutto ottima voce sono le doti principali del violinista americano, che si guadagna l'attenzione del pubblico anche grazie alla simpatia. Per lui è la prima data del tour, ma non è certo vinto dalla timidezza. Le canzoni non colpiscono particolarmente, tanto che alla fine del set non ne rimane alcuna in testa, ma non ci sentiamo di bocciarne completamente l'esibizione. Per un giudizio complessivo meglio attendere l'uscita dell'album d'esordio, "Land of CanAan", fissata per il 13 maggio.
A Bologna sono circa le 22.45 quando i Beach House salgono sul palco: formazione a tre, con Victoria Legrand che prende posizione al centro, dietro ai synth, leggermente arretrata rispetto ad Alex Scally e al turnista Daniel Franz, al quale sono affidate batteria e percussioni. Il confronto con il palco per una band come i Beach House è qualcosa che va oltre l'esibizione dal vivo: quando si estrapola una musica delicata e flebile come la loro in un contesto essenzialmente da concerto rock, i risultati potrebbero rivelarsi inadatti. Tuttavia, grazie anche a un pregevole intreccio di luci e scenografie, l'incanto dei due americani esplode in tutta la sua empatia. Forti di una presenza scenica ben strutturata, le trame dream-pop fluiscono naturali, senza forzature, realizzate ed eseguite con trasporto e passione. Merito di Victoria – in grande forma per tutta la serata – se le pungenti note di synth e tastiere confluiscono perfettamente con il flusso chitarristico e con le percussioni. Si provano sensazioni di perdizione sensoriale estatica, immersioni già provate sul disco e amplificate dall'emozione generata grazie all'effetto live. Ed è nel momento in cui il palco viene illuminato da minuscole luci bianche, come a voler dipingere una volta celeste notturna dietro i musicisti, che si raggiunge l'apice di una performance che ha il sapore di evento
La scelta, seppur ovvia, di privilegiare i brani estratti dai più recenti "Bloom" e "Teen Dream" contribuisce a creare la giusta connessione fra pubblico e band, sopperendo alla scarsa loquacità del duo. Nell'unica occasione in cui Victoria proverà a interagire con la platea bolognese, dedicando "Silver Soul" a tutti i lovers presenti e ricordando il concerto di qualche anno prima, le uniche risposte che otterrà saranno urla senza particolari contenuti e sguardi persi. Meglio tirar dritti con la musica, eseguendo le 16 canzoni in scaletta, bis inclusi, in poco più di un'ora: una prova che certo non si presta al sing-along corale o a balli frenetici, ma che coinvolge la parte più cerebrale e intima dei presenti.
A Roma si parte con “Other People” e “Norway”, a Milano e Bologna lo starting è affidato a “Wild”, ma il risultato non cambia, e il concerto vola via fino alla maestosità di “Irene”, alla quale viene sempre affidata la brusca interruzione di un sogno coinvolgente come pochi. Una carica emozionale enorme, un’ora e venti di grande intensità, con la musica sottolineata magistralmente da luci semplici ma efficaci. Il palco si fa ora cielo stellato, ora rosso fuoco, ma a predominare è quasi sempre il buio, tanto che risulta impossibile contemplare i visi dei protagonisti, scovarne le emozioni, quasi volessero celarsi agli spettatori. La congiunzione intellettiva fra band e spettatori è il vero punto nevralgico dello show, "Wishes" e "Myth" sono da ricordare come vertici assoluti, con la chitarra di Scally che intarsia ricami su tappeti di synth, approssimandosi a certi suoni che furono dei Cure. L'interpretazione profonda e sentita che i Beach House danno a ogni singola canzone si trascodifica in messaggi che vengono perfettamente recepiti dalle cellule sensoriali dei fan accorsi. La presenza della Legrand, imponente e scenografica, con l’impetuosa chioma ed un carico sensuale in parte inedito, è il vero punto focale dello show: la sua voce, che ci aspettavamo più ricca di effetti e invece sorprende per la pulizia formale, ci guida dentro un sogno ad occhi aperti. Tanto che quando le luci si riaccendono, al termine di "Irene", mostrando un palco desolatamente vuoto, ci sfiora per qualche secondo il dubbio di aver assistito a una piacevole allucinazione collettiva.
La band lascia il palco di corsa, senza nemmeno porgere un saluto alla platea che ha seguito con attenzione e trasporto l'esibizione: l'unico neo di tre serate indimenticabili.
Se l'esordio discografico omonimo del 2007 ci consegnava una band dalle grandi promesse, disincantata e fuori da ogni moda o registro di valutazione, a distanza di sei anni, e alla luce di esibizioni di tale spessore, si può affermare che tutte le promesse siano state ampiamente mantenute.
I Beach House oggi dimostrano di essere sbocciati definitivamente in un fiore rigoglioso, forti di un talento cristallino che sta assicurando loro un presente e un futuro radiosi.
E quello che succede fra il minuto 2'00 e il minuto 3'20 di "Wishes" certifica l'ingresso di Victoria Legrand fra le più credibili "rockstar" del nuovo millennio.
Uno dei momenti più intensi ed emozionanti degli ultimi anni.