25/07/2017

Benjamin Clementine

Auditorium Parco della Musica, Roma


Dov’è Benjamin Clementine? È già sul palco, nella penombra. Accanto al piano sembra un vatusso che si appoggia ad un albero. Mira verso l’alto, alla galleria della Cavea e sospira sul microfono. “Andiamo, su”. Attende, osservando lo spettacolo del ritardo italiano che arriva puntuale, ancora una volta. Vuole che tutti prendano posto, poi attacca “By The Ports of Europe”. È questione di una manciata di istanti prima che si materializzi una chiesa americana in mezzo al teatro. Stavolta il progetto non è di Renzo Piano, ma di un inglese di origini ghanesi, che è cresciuto pencolando tra Londra e Parigi, tra il Tamigi e i boulevard. Lo aiutano cinque coriste vestite di bianco, che resuscitano gli spirituals e i canti gospel venuti poco tempo dopo. Clementine è seduto su uno sgabello così alto che le sue spalle strette sono lontanissime dalla tastiera. Solo il fatto che riesca a suonare fa gridare al miracolo. Le dita lunghe sono rami di ebano o semplicemente il prolungamento dei tasti neri del piano. L'impressione è che possano spezzarsi da un momento all’altro. A volte battono sulla tastiera, a volte la sfiorano soltanto, riducendo la distanza che c’è fra l’Africa e l’America, fra l’Inghilterra e la Francia. Una distanza che a volte diventa quasi impercettibile, come quando si parte da una nota e si sale o si scende di mezzo tono soltanto. La musica di Benjamine Clementine è un oggetto appuntito che buca tavole di legni diversi e le tiene insieme. Penetra trasversalmente i generi musicali e lo fa sembrare del tutto normale.

Tira un po’ di vento e sulla Cavea avrebbe potuto piovere. “London” e il pensiero della pioggia scaraventano tutti sulla balaustra della Bankside, accanto ad un fiume di rum, pesche e acqua frizzante. Anche quelli che non ci sono mai stati si ritrovano dall'altra parte della Manica. Soprattutto loro. “London is calling you / what are you waiting for?”. Clementine è curioso, quasi invadente. Vuole sapere se capisci. Chiama qualcuno dal pubblico per farsi tradurre passi di una sua canzone, pennellate di un dipinto che evidentemente considera più importanti di altre. Il volontario è Carlo Massarini: che il pubblico la canti in italiano oppure non si va avanti ed è proprio quando le luci si alzano sulla Cavea che c’è tempo per vedere la faccia della gente, i loro occhi che sono diventati un nido di ammirazione. Se la capacità di riconoscere il talento ha delle sembianze, devono essere queste. Come fa tutta questa gente a conoscere Benjamin Clementine? Com'è possibile scorgere la bellezza, quando è nascosta dietro il luccichio delle copertine, sotto il rumore delle promozioni radiofoniche, al di là degli spot televisivi e delle gigantografie che contornano le strade? Chiara e Giulia bisbigliano dopo l’ennesimo acuto, dev’essere un altro modo attraverso cui si manifesta l'ammirazione più intima. La seconda conosce Clementine grazie alla prima, che a sua volta è stata istruita dal fratello. “Senti questo”. Si occupano di moda e dicono che in passato Benjamin Clementine abbia collaborato con Burberry. Prima non aveva i soldi per comprarsi vestiti, ora glieli regalano. Sul palco indossano tutti una tuta da lavoro, di quelle che si usano nelle grandi catene di montaggio. Esiste un modo più efficace per generare un contrasto tra quello che vedi e quello che senti? Automatismo contro improvvisazione, distacco contro passione. Clementine lancia anche questo tipo di provocazioni, sta a chi ascolta raccoglierle e svilupparle. A “Nemesis” manca un po’ di nerbo per l’assenza degli archi e dei cori maschili, ma è solo un modo di immagazzinare energia e risputarla qualche minuto dopo, quando Clementine ha la brillante idea di far fluttuare per aria una versione di "Caruso" che esalta la potenza della sua voce e che onora un artista che in realtà non è mai morto.

“By The Ports of Europe” è l’ultimo bis e finisce tutto nel punto in cui è iniziato, proprio come un cerchio che si chiude. Un teatro che diventa anfiteatro. Al centro di questo c’è Benjamin Clementine, la sua musica e le sue parole; dentro a queste, quella sua stordente abilità di pesare le cose del mondo con la bilancia giusta.