Palace, Palace Brothers, poi Palace Songs e Palace Music. Da Louisville, città più popolosa nel Commonwealth of Kentucky, Joseph Will Oldham ha scelto molti nomi nel corso della sua lunga carriera da songwriter. Come un ammaliante felino baffuto, l’ultima incarnazione, Bonnie "Prince" Billy, persegue un’autonoma sincerità punk, lasciando che una semplice chitarra acustica metta in scena quello che tempo fa è stato definito “solipsismo appalachiano”. Un fragile gorgheggio che si snoda attorno a melodie infestate delle tradizioni folk e country americane.
Alle 21,40, in un Monk strapieno, Bonnie sale sul palco senza dire una parola, con il suo cappello da baseball ben calato a coprire lo sguardo. In camicia da campagnolo, trucco agli occhi e calzini colorati, l’uomo di Louisville è accompagnato da due angeli custodi: Thomas Deakin (tromba, clarinetto e chitarra elettrica) e l’imponente Drew Miller (sax e flauto traverso), che alla fine del set dovrà piegarsi per ringraziare il pubblico senza farsi frantumare la testa dal soffitto.
Il concerto inizia e in sala piovono subito i primi decisi inviti a stare muti, per immergersi il più rapidamente possibile nel ritmo teso e drammatico di “No Bad News”, prima accigliato e poi alleggerito dal finale fischiettato in chiave pastorale. E’ probabilmente il manifesto dell’intero concerto, che si alternerà tra ombra e luce, desolazione e redenzione. C’è infatti un senso di ineluttabilità nell’arrangiamento spettrale country-folk di “Sometimes It’s Hard To Breathe”, che nella springsteeniana “Look Backward On Your Future, Look Forward To Your Past” assume i connotati della filastrocca sulle trame stranianti e schizoidi del sax.
Bonnie saluta il pubblico, ringrazia la città che è sempre meravigliosa. La risposta in sala è sorprendentemente calorosa, forse surriscaldata dai gradi in veloce aumento. Con Deakin alla chitarra elettrica, Oldham è quasi una creatura che ulula alla luna sulla cantilena disperata “Like It Or Not”, prima di tirare fuori tutta la purezza melodica in “Behold! Be Held!”. E’ uno dei diversi brani scelti in scaletta per presentare al pubblico romano il nuovo album “Keeping Secrets Will Destroy You”, altra collezione elegantissima di ballate intime e malinconiche. Come la canzone d’amore “Bananas”, sussurrata in falsetto con l’aiuto dei due compagni di set per rapire gli spettatori più ciarlieri.
Il caldo ruggisce e Bonnie decide di togliersi il cappello da baseball, mostrando la pelata e diventando ancora più nudo nella sua esibizione. “Blood Of The Wine” è una gemma country-folk, ad anticipare l’ovazione del pubblico per quella che a conti fatti resta la canzone più conosciuta al grande pubblico. “I See A Darkness” è leggera, struggente, leggermente arpeggiata con tonalità folk funeree, mentre il sax spinge morbido come un volo d’uccello. L’incedere tenue di “The Brute Choir” continua con il recupero del passato, spezzato dal ritmo più gioioso e fanfaronesco di “Queens Of Sorrow”.
Bonnie si lascia andare, ricorda il compianto Steve Albini, un vero amico e compagno creativo. Ha voglia di parlare un po', Will, racconta la storia di un altro personaggio scomparso, tale Mr. Barbecue, uno dei migliori affumicatori di carne delle sue zone. Bonnie il songwriter che celebra i veri eroi americani. “New Partner” è infatti un altro recupero storico in scaletta, mentre la nuova “Crazy Blue Bells” mette in scena le macerie dei sogni a stelle e strisce.
Le porte laterali del Monk si aprono, facendo entrare una goduriosa brezza che sembra quasi cullare l’armonia di “Good Morning, Popocatépetl” e il gospel di “That’s How We Make It Our Home”. Bonnie parla ancora con i presenti, chiede novità sulle recenti scosse di terremoto nell’area dei Campi Flegrei, preoccupato per una situazione climatica sempre più insostenibile. Ma il flauto di “This Is Far From Over” invita tutti a non mollare, a crederci ancora, che non è finita qui. Così come il set, che vive un bis praticamente immediato con la cover strappalacrime di “L’ultima occasione” (Mina) cantata in italiano senza chitarra acustica, in piedi davanti a tutti. Il pubblico gradisce, si spella le mani, mentre il trio attacca una riuscitissima versione folk-soul di “Is My Living In Vain” (The Clark Sisters). C’è ancora tempo per un’ultima ballata e “Dream Awhile” scorre via a cullare tutti, per defluire verso l’aria aperta con una sensazione intensa dentro, tra l’oscurità delle nostre paure e la purezza della luce interiore.
No Bad News
Sometimes It’s Hard To Breathe
Look Backward On Your Future, Look Forward To Your Past
Like It Or Not
Behold! Be Held!
Bananas
Blood Of The Wine
I See A Darkness
The Brute Choir
Queens of Sorrow
New Partner
Crazy Blue Bells
Good Morning, Popocatépetl
That’s How We Make It Our Home
This Is Far From Over
L’ultima Occasione
Is My Living In Vain
Dream Awhile