24/07/2014

Calexico

Parco delle mura, Padova


Ci sono band che non deludono mai, inossidabili, hanno uno zoccolo duro di fan che sa perfettamente che ogni concerto sarà diverso dal precedente, ogni nuova sortita live regalerà emozioni diverse da quella prima. I Calexico appartengono senza alcun dubbio a questa ristretta cerchia di nomi, e non si sono smentiti all'interno della cornice del Radar Festival di Padova, situato nel suggestivo parco delle mura. Il terzo giorno del festival veneto è funestato sino al tardo pomeriggio da condizioni meteo che sembrano appartenere a un'altra stagione, il che, oltre a limitare il numero di spettatori, causa anche qualche lieve ritardo in scaletta. Così dopo l'alt-pop degli italiani His Clancyness, il folk levigato di William Fitzsimmons, l'electro melodico e modaiolo de I Cani (solo per rimanere nel main stage) l'allestimento del set dei Calexico richiede qualche minuto in più, e i nostri sono costretti a iniziare lo show in lieve ritardo.

Senza perdersi in preamboli, la band entra in scena, riempiendo ogni centimetro dell'affollatissimo palco, e scalda immediatamente l'atmosfera con l'intensa “Epic”, opening track del loro ultimo lavoro “Algiers” (2012). Segue uno dei loro cavalli di battaglia, lo scanzonato tex-mex di “Across The Wire” (da “Feast Of Wire” del 2003), in cui le due anime della band, quella tradizionale americana e l'altra latina, si incontrano felicemente tra l'idillio degli spettatori che danzano. Il sostenuto rock di “Splitter”, tra gli episodi più riusciti di “Algiers” non si dimentica, così come “Roka” (“Danza de la muerte”), che impreziosiva un lavoro non memorabile come “Garden Ruin” (2006), oscura ballad che sconfina in una lunga improvvisazione jazz. “Dead Moon”, primo inedito della serata, continua all'insegna di un sound ipnotico e avvolgente, ma ci pensa poi il dittico composto da “El Picador” (da “Hot Rail” del 2000) e “Inspiraciòn” (dal sottovalutato “Carried To Dust”, 2008, cantata da uno scatenato Jairo Zavala dei Depedro) ad alzare il ritmo e trasportarci in una magica terra in cui il Messico si incontra con il rock 'n roll dei Los Lobos e le colonne sonore per western di Ennio Morricone. E poi il turno di un'altra delle canzoni più memorabili di “Algiers”, la romantica ballata “Maybe On Monday”, dove l'influenza scaturita dalla collaborazione con il folk-pop di Iron & Wine è innegabile.

“Two Silver Trees” (sempre da “Carried To Dust”) è forse l'unico scivolone della scaletta, con la band che fatica a rendere in versione live la fusione tra elementi latini e asiatici che impreziosiva il brano registrato in studio. E anche Joey Burns dimostra qualche problema con i toni acuti del ritornello. Piccola delusione per i fan, presto dimenticata grazie a una commovente versione di “Stray” (da “The Black Light”, capolavoro della band, di cui ci piacerebbe sentire più brani riproposti in concerto), spogliata da ogni orpello, che si conclude con un lunga coda affiancata dal suono della doppia tromba. Arriva poi un altro inedito, il divertente blues di “Bullets & Rocks” (che lascia intuire l'imminente uscita di un nuovo disco), presto seguito da una strabiliante e trascinante cover di “Bigmouth Strikes Again” degli Smiths. I Calexico non sono nuovi ad operazioni del genere, ma la sincerità e l'entusiasmo con cui “fanno loro” il classico di Morissey-Marr (inglobando un sorprendente arrangiamento di fiati) strappa un lunghissimo applauso.

“Crystal Frontier”, altro intramontabile classico del repertorio di Burns-Convertino, ci guida verso un inaspettato annuncio: poco prima di mezzanotte il leader della band ci avvisa che quella successiva sarà l'ultima canzone, causa forza maggiore. Lo show si conclude quindi con una meravigliosa interpretazione di “Not Even Stevie Nicks” (da “Feast Of Wire”), che si fonde con rara maestria con “Love Will Tear Us Apart” dei Joy Division, nell'entusiasmo generale del pubblico. E' davvero finita, il temibile vicinato incalza e obbliga gli organizzatori ad accendere le luci e invitare i fan ad allontanarsi. Ma ecco che Joey Burns e compagnia si ripresentano offstage armati dei loro strumenti e improvvisano un secondo set di canzoni, per non mandare a casa scontenti gli aficionados. Prima una bisbigliata versione unplugged di “House Of Valparaiso” (“Carried To Dust”) e poi il divertimento riparte con un'altra cover, stavolta di “Alone Again Or” dei Love, dove non basta la raccomandazione al silenzio di Burns a quietare gli animi festaioli dei fan.

Girandosi alla destra del parco, con un occhio ai vicini che stanno ascoltando il concerto dal proprio balcone, in molti si accorgono che anche un'anziana signora sta ballando e tenendo il tempo. Impossibile resistere all'incantesimo dei Calexico, una realtà musicale che ambisce senza presunzione al rango dei grandi classici rocker statunitensi, non sfigurando affatto nel confronto. Finché questi ragazzi sul palco si divertiranno così, noi saremo lieti di seguirli.