In attesa dell'uscita del nuovo album "Glasgow Eye", in arrivo il 22 marzo a sette anni da "Damage And Joy", i Jesus And Mary Chain hanno pubblicato "Girl 71", un nuovo brano che si aggiunge ai precedenti "Chemical Animal" e "jamcod", diffusi qualche giorno fa. Jim e William Reid festeggeranno ulteriormente il loro quarantesimo anno di attività nel 2024 con un'autobiografia (pubblicata da Orion/White Rabbit) e con un tour celebrativo che toccherà il Regno Unito e l'Europa, approdando anche in Italia (il 17 aprile all'Alcatraz di Milano). "Glasgow Eyes" è stato registrato presso lo studio dei Mogwai, Castle of Doom, a Glasgow, dove Jim e William avevano già lavorato per il precedente album, "Damage And Joy" (2017), il disco della reunion della formazione britannica dopo diversi anni di separazione. Qui sotto lo stream audio di "Girl 71".
"Non aspettatevi che i Mary Chain diventino jazz", scrive lo stesso Jim Reid a proposito del nuovo album. "La gente dovrebbe aspettarsi un disco dei Jesus and Mary Chain e questo è certamente ciò che è 'Glasgow Eyes'. Il nostro approccio creativo è lo stesso di quello del 1984, basta venire in studio e vedere cosa succede. Siamo entrati con molte canzoni e abbiamo lasciato che facessero il loro corso. Non ci sono regole, è una sorta di telepatia, siamo quegli strani gemelli che finiscono le frasi a vicenda". La creatura dei bizzosi fratellini Reid - William (chitarra) e Jim (voce) - è un perfetto esempio di quanto una semplice, quasi banalissima intuizione possa cambiare radicalmente le cose in ambito musicale, specialmente in un periodo in cui il nuovo rock "indipendente" britannico in tutte le sue accezioni (il dark, la electro-wave e il pop-rock melodico e malinconico stile Smiths) stagnava nei suoi stereotipi, incapace di sostanziali salti di qualità (a parte le magie intessute dalla 4AD, ma quello era un universo musicale a parte), o peggio tendeva a convertirsi pericolosamente verso i suoni di moda (il synth-pop), con risultati spesso deludenti: quel che è certo è che nessuno sembrava capace di riaccendere i furori e gli ardori del punk, che ormai era riconosciuto all'unanimità come prematuramente morto e sepolto. Ma quando nell'ottobre del 1984 quattro sconosciuti ragazzini scozzesi pubblicarono il loro primo singolo, "Upside Down", a molti parve possibile un miracoloso risveglio del sacro fuoco dei Sex Pistols. E in effetti nulla in loro tradiva quest'impressione: live-show incendiari, un atteggiamento strafottente e arrogante (con dichiarazioni non lontane dall'odierno ritornello "gallagheriano" del "we're the best rock band ever") e, last but not least, un talento "naturale" per la provocazione gratuita e beffarda (a questo basti solo il nome del gruppo, ma anche testi non propriamente per scolaretti, anzi in certi casi ai limiti dell'hard). Insomma, i terribili fratellini Reid, e non meno di loro i loro due comprimari, il bassista Douglas Hart e il perennemente ubriaco batterista Bobbie Gillespie (proprio quello che di lì a poco avvierà la fortunata avventura dei Primal Scream), avevano già dato con i loro primi singoli le premesse giuste per diventare i capofila di un "nuovo" punk, che alle regole di base del genere (canzoni veloci e volutamente approssimative, costruite su non più di tre accordi) sapeva unire tanto le atmosfere soffocanti della dark-wave quanto un innegabile talento melodico. Ma ciò che fin da subito contraddistinse il gruppo era il rumore: la chitarra di William Reid suonava infatti distorta all'inverosimile (ma non lontana in realtà dalle sventagliate che dall'altra parte dell'oceano caratterizzavano il nuovo hardcore di Husker Du e Minutemen). Una formula che ha aperto la strada al movimento degli "shoegazer", che predilige ambientazioni oscure, tenui melodie e densi strati di feedback.