Ritorno a sorpresa dei Jesus And Mary Chain. Dopo aver infatti pubblicato l'album, "Glasgow Eyes" qualche mese fa, il duo scozzese ha pubblicato un nuovo singolo, intitolato "Pop Seeds" che accompagna l’uscita dell’autobiografia della band “Never Understood”, il libro scritto dai membri fondatori del gruppo, i fratelli William e Jim Reid, con l’aiuto del critico Ben Thompson. Attualmente, il libro è disponibile solo in lingua originale ed è già ordinabile su Amazon, Rough Trade e altri portali. Allontanandosi dai toni più cupi e pieni di elettronica che permeano "Glasgow Eyes", "Pop Seeds" mette in evidenza uno spirito più luminoso e allegro, con chitarre tintinnanti e testi nostalgici che si fondono con i synth. Ascolta il brano qui sotto.
"Glasgow Eyes" è stato registrato presso lo studio dei Mogwai, Castle of Doom, a Glasgow, dove Jim e William avevano già lavorato per il precedente album, "Damage And Joy" (2017), il disco della reunion della formazione britannica dopo diversi anni di separazione. E' una sorta di ritorno a casa in una Glasgow notturna, tra ombre e ricordi di eccessi smodati legati all’abuso di droghe, conditi da sintetizzatori, elettronica scura e passi kraut-rock, incorporati alla rumorosa ricetta tra pop, post-punk e alt-rock ideata da Jim e William Reid. “Glasgow Eyes” viaggia costantemente sul filo del rasoio, alternando diverse idee gradevoli a parecchie cartucce sparate a salve, traducendosi in un’occasione persa, l’ennesima, per un rilancio effettivo del progetto targato Jesus And Mary Chain. Tuttavia, conoscendo il carattere fortemente provocatorio degli ironici fratelli Reid, c’è da scommettere che il risultato ottenuto sia esattamente quello da loro desiderato, fuori da ogni possibile definizione di sorta.
La creatura dei bizzosi fratellini Reid - William (chitarra) e Jim (voce) - è un perfetto esempio di quanto una semplice, quasi banalissima intuizione possa cambiare radicalmente le cose in ambito musicale, specialmente in un periodo in cui il nuovo rock "indipendente" britannico in tutte le sue accezioni (il dark, la electro-wave e il pop-rock melodico e malinconico stile Smiths) stagnava nei suoi stereotipi, incapace di sostanziali salti di qualità (a parte le magie intessute dalla 4AD, ma quello era un universo musicale a parte), o peggio tendeva a convertirsi pericolosamente verso i suoni di moda (il synth-pop), con risultati spesso deludenti: quel che è certo è che nessuno sembrava capace di riaccendere i furori e gli ardori del punk, che ormai era riconosciuto all'unanimità come prematuramente morto e sepolto. Ma quando nell'ottobre del 1984 quattro sconosciuti ragazzini scozzesi pubblicarono il loro primo singolo, "Upside Down", a molti parve possibile un miracoloso risveglio del sacro fuoco dei Sex Pistols. E in effetti nulla in loro tradiva quest'impressione: live-show incendiari, un atteggiamento strafottente e arrogante (con dichiarazioni non lontane dall'odierno ritornello "gallagheriano" del "we're the best rock band ever") e, last but not least, un talento "naturale" per la provocazione gratuita e beffarda (a questo basti solo il nome del gruppo, ma anche testi non propriamente per scolaretti, anzi in certi casi ai limiti dell'hard). Insomma, i terribili fratellini Reid, e non meno di loro i loro due comprimari, il bassista Douglas Hart e il perennemente ubriaco batterista Bobbie Gillespie (proprio quello che di lì a poco avvierà la fortunata avventura dei Primal Scream), avevano già dato con i loro primi singoli le premesse giuste per diventare i capofila di un "nuovo" punk, che alle regole di base del genere (canzoni veloci e volutamente approssimative, costruite su non più di tre accordi) sapeva unire tanto le atmosfere soffocanti della dark-wave quanto un innegabile talento melodico. Ma ciò che fin da subito contraddistinse il gruppo era il rumore: la chitarra di William Reid suonava infatti distorta all'inverosimile (ma non lontana in realtà dalle sventagliate che dall'altra parte dell'oceano caratterizzavano il nuovo hardcore di Husker Du e Minutemen). Una formula che ha aperto la strada al movimento degli "shoegazer", che predilige ambientazioni oscure, tenui melodie e densi strati di feedback.