Di recente protagonista in Italia con alcuni show che l'hanno confermata in piena forma,
Patti Smith è al centro del documentario "Electric Poet", che Rai5 manderà in onda martedì 10 settembre alle 23,15. Il film testimonia il viaggio di un'amante delle parole che è diventata un'icona del rock e una dei maggiori artisti del nostro tempo. Una storia straordinaria che – tra materiali d’archivio e concerti leggendari - Sophie Peyrard e Anne Cutaia raccontano nel documentario “Patti Smith Electric Poet”, in onda giovedì 27 giugno alle 00,15 su Rai 5 e in replica in streaming su RaiPlay.
Il documentario di Sophie Peyrard e Anne Cutaia parte dall'estate 1967, quando la ventenne
Patricia Lee Smith lascia il New Jersey rurale per Manhattan, la capitale dell'auto-reinvenzione. Nella sua valigia, “Les Illuminations” di Rimbaud e un taccuino. Patti giunge ventenne a New York sulle ceneri della cultura post-hippie intenta a sovvertire tutti i cliché dell'establishment: la poesia formale, la cultura elitaria, il rock privo di contenuti.
Primo incontro, prima cotta: Robert Mapplethorpe, non ancora fotografo, ha ambizioni per due. In sua compagnia, Patti parte alla conquista di una New York dove incontra Andy Warhol,
Janis Joplin e
Jimi Hendrix. Nei corridoi del famoso Chelsea Hotel, in contatto con Allen Ginsberg e William Burroughs, affila la penna e trova la sua strada.
Dopo alcune notevoli letture delle sue poesie e un singolo autoprodotto, i suoi primi concerti al mitico
Cbgb rivelano un vero "animale da palcoscenico". I suoi pezzi impongono una scrittura e un canto di una novità radicale. La sua voce, il suo stile, il suo atteggiamento, sono completamente inediti. Nel 1975 il suo primo album "
Horses", firmato da Clive Davis per l'etichetta Arista, ebbe l'effetto di una detonazione. Il rock si trasforma per sempre.
Punk nel cuore,
Patti Smith non ha ceduto al richiamo della celebrità e in cinquant'anni di carriera ha creato la propria mitologia senza mai scendere a compromessi. Un'icona controcorrente: ama la musica, la fotografia e la letteratura.
Con la sua voce rabbiosa, febbrile, dolente, scorticata, Patti Smith ha incarnato una delle figure femminili più dirompenti della storia del rock. Una voce caotica e gracchiante che vomita simbolismi e poesie in forma libera, finendo per ridurre il possente rock&roll del gruppo di accompagnamento in un'inaudita poltiglia abrasiva
I suoi primi lavori, con la mente proiettata nella avanguardie free-form e nelle improvvisazioni jazz e i piedi ben piantati in un primitivismo rock'n'roll, hanno gettato le basi per la nascente
new wave. E la sua figura, a metà tra una oscura sacerdotessa e una pasionaria politica, è emersa come una delle più carismatiche del rock al femminile (e non solo).
Patti Smith porta nella storia del rock un nuovo linguaggio musicale: una sorta di commistione tra recitazione "free form" e musica in cui il testo diventa il punto di partenza, ma mai un limite; anzi, è spesso il veicolo che permette ai brani di espandersi e dilatarsi costantemente. Uno stile che si esprime essenzialmente attraverso due anime: quella punk, feroce e straziata, e quella più cupa e solenne, che trova espressione in ballate d'intensità quasi liturgica.
L'universo poetico della sacerdotessa del rock ruota attorno a un miscuglio di beat generation, misticismo biblico, decadentismo ed esistenzialismo underground. I suoi riferimenti prediletti sono soprattutto i cantici di Allen Ginsberg, la narrativa di Jack Kerouac, le liriche di Williams Burroughs. Un miscuglio caotico e affascinante che si riflette nelle sue magnetiche performance dal vivo: come scrisse Dave Marsh su Rolling Stone, “Nessun altro nel campo della musica rock ha il coraggio di mettere insieme
Lou Reed, la Bibbia,
Jim Morrison,
Bruce Springsteen e gli
Mc5”.