Il 31 gennaio alle 23,25 andrà in onda su Rai5 una puntata di Rock Legends tutta dedicata ai
Clash. Quella della formazione inglese è stata "una rivoluzione permanente", perché - come scrive una nota del programma - dalle fiamme della Londra
punk al palcoscenico internazionale e alle coscienze globali, i Clash hanno definito un canone sonoro e visivo intramontabile". Una saga che riuscì a condensare lo spirito di una generazione, proiettandolo nell'evo successivo. Dalla Westway all'eternità.
Il documentario che ripercorre la loro storia, diretto da Lyndy Saville, è stato realizzato nel 2017.
Attivi dal 1976 al 1986, furono uno dei gruppi più acclamati dalla critica del periodo. Furono formati principalmente da Joe Strummer (voce, chitarra ritmica), Mick Jones (chitarra solista, voce), Paul Simonon (basso, voce) e Nick "Topper" Headon (batteria, percussioni). I Clash erano famosi per la varietà della loro musica (nel loro repertorio trovano posto reggae, dub, rap, rockabilly, ska e altri generi), per le loro esibizioni dal vivo particolarmente intense, per la sofisticatezza lirica e politica dei loro testi, che li distingueva dalla maggior parte dei loro colleghi appartenenti al movimento punk. Ottennero successo di critica e di pubblico, soprattutto nel Regno Unito, con l'uscita del loro album di debutto The Clash (1977) e del loro secondo, Give 'Em Enough Rope (1978).
Ma la saga dei
Clash raggiunge il suo culmine con l'album "
London Calling". Uscito in Inghilterra nel dicembre 1979, approdato negli Usa a gennaio del 1980, "London Calling" fu per i
Clash l'album della consacrazione. Terzo della formazione londinese, dopo il fortunato "The Clash" e il meno fortunato (ma altrettanto valido) "Give 'Em Enough Rope", il nuovo album si presentò sin da subito come un lavoro ambizioso, destinato a lasciare il segno nei decenni a venire: si trattava di un doppio Lp prodotto da Guy Stevens, e la copertina divenne presto un'icona del rock. A proposito di quest'ultima, forse non tutti sanno che contiene la citazione di quella del primo album di
Elvis Presley, datato 1956. Vent'anni più tardi, nel 1976, i Clash erano quei giovani che cantavano "no Elvis,
Beatles and
Rolling Stones". Nel 1977 esplose il movimento punk e, nello stesso anno, morì Elvis Presley.
Alle soglie del 1980, molte cose erano cambiate: i
Sex Pistols si erano sciolti, Sid Vicious era morto, il punk inglese aveva conquistato gli States. I Clash, che pur erano rimasti i portabandiera di quel movimento, cominciarono a mutare fisionomia: dismessi gli abiti da "city rockers" e lasciata alle spalle una certa dose di ingenuità, i quattro cominciarono non soltanto a guardare al futuro ma, per la prima volta, tentarono anche di far i conti con quel passato che il punk aveva spesso rinnegato. La rivoluzione del '77 si era esaurita precocemente perché non aveva saputo costruire o, meglio, non era stata in grado di ricostruire dopo aver distrutto; i Clash invece, intraprendendo una strada personale, ci riuscirono: attraverso un recupero del passato, cercarono dei valori per motivare il presente, per poterli proiettare nel futuro. Un futuro che sarebbe stato nuovamente luminoso con la straordinaria patchanka di stili del successivo, doppio album "Sandinista!".