Ange

Au-delà du délire

1974 (Philips)
progressive rock

Qual è il gruppo chiave del progressive rock francese? Molti appassionati di tutto il mondo, oggi come negli anni Settanta, risponderebbero senza esitazioni: i Magma! Ma non sarebbe stata – e non è tutt’ora – la scelta degli ascoltatori francesi. Mentre i capostipiti dello Zeuhl sono sempre restati un culto di nicchia, i sinfonici Ange hanno conquistato nel loro paese dischi d’oro e buoni piazzamenti in classifica, indicando con il loro stile una via ambiziosa e teatrale che, seguita da svariate altre formazioni, sarebbe diventata uno dei filoni più ricchi della scena prog nazionale. Ancora oggi, sebbene la popolarità del genere sia calata in Francia come altrove, i dati delle piattaforme di streaming mostrano la predilezione del pubblico francese per la propria band-simbolo. La fanbase radicata quasi esclusivamente all’interno dell’Hexagone sembra anzi provare un asserto sorprendente: la lingua francese è per la diffusione internazionale un ostacolo molto maggiore del kobaïano!

Gli Ange nascono alla fine del 1969 a Belfort, comune dell’allora regione della Franca Contea, vicino ai confini con Svizzera e Germania. I fondatori sono due fratelli, Christian e Francis Décamps, entrambi tastieristi. Christian ha da qualche tempo un complesso con il chitarrista Jean-Michel Brézovar: si dedicano prevalentemente alla musica popolare e da ballo, e si chiamano Les Anges. La fusione con il gruppo di Francis, gli Évolution, sposta l’assetto in una direzione più rock. E dà vita a una peculiarità che caratterizzerà la band per tutta la sua storia (anche quando, nel 1999, il posto di Francis sarà preso dal figlio di Christian, Tristan): la presenza di due tastieristi.
Lo stile è già definito in “Caricatures”, uscito nel 1972, che vende 100mila copie e conquista un disco d’oro. Attraverso i brani è possibile percepire echi di Genesis e Procol Harum, ma il taglio è decisamente originale, con ampi stralci tradizionali e medievaleggianti, e bordate hard che, combinate alla pienezza del sound tastieristico, possono far passare il clima dalla gioia all’angoscia nel giro di una battuta. Il successivo “Le cimetière des arlequins”, spinto da una cover di “Ce gens-là” di Jacques Brel, arriva addirittura a 250mila copie vendute ed è salutato come capolavoro.
Quando esce il terzo album “Au-delà du délire”, insomma, gli Ange sono una band dalla spiccata personalità, nonché una significativa potenza commerciale. Anche la nuova opera raggiunge il disco d'oro, vendendo 150mila copie – risultato che sarà bissato pure dalla successiva, "Émile Jacotey", uscita nel 1975.

Il disco è un concept-album, scritto da Christian Décamps in collaborazione – a seconda del brano – con gli altri componenti del gruppo. La narrazione prende le mosse da un soggetto ideato da Christian Décamps, dall’autore teatrale Roger Lombardot e dal manager Jean Claude Pognant: l'esito della joint venture è un racconto decisamente fantasioso, che mescola passato e futuro, precisione storica e aspetti del tutto inverosimili. Un'apparente fuga dalla contemporaneità che fra le righe mostra tuttavia un forte legame con temi e prospettive dell'attualità francese post-Sessantotto. Lo sguardo rivolto al passato attraverso la storia di un individuo di estrazione popolare, l'attenzione a squilibri e ingiustizie della società in cui vive, l'enfasi sugli aspetti socialmente innovatori dei movimenti ereticali sono aspetti che connettono i fili di "Au-delà du délire" non solo a riflessioni e battaglie della giovane sinistra studentesca di quegli anni, ma anche all'approccio della nuova generazione di esponenti della "Nouvelle Histoire" che proprio in quegli anni dava alla ricerca storica i suoi contributi più significative attraverso figure come Jacques Le Goff e gli studiosi attivi sulla rivista "Annales", da lui condiretta a partire dal 1969.
Un testo presuntamente originale di questo soggetto è riportato da diverse pagine web, ma l’effettivo sviluppo dei brani se ne discosta parzialmente – forse semplicemente perché la scrittura dei pezzi ha allontanato un poco la trama dall’idea iniziale. Sia come sia, l’album è incentrato sull’immaginaria vicenda del bracciante analfabeta Godevin (“Godevin le vilain”), la cui vita di contadino medievale è stravolta dall’incontro con l’alchimista Isaac (“Les longues nuits d’Isaac”), che lo mette al corrente di conoscenze per lui del tutto nuove – idee rivoluzionarie, che lo fanno interrogare sulla sua identità mettono in discussione l’autorità regale. Rientrato presso la sua famiglia, Godevin cerca la libertà, ma la rivolta nel suo villaggio (“Si j’étais le Messie”) è sedata dal signore locale che, dopo aver cercato di carpire la saggezza appresa dall’alchimista, decide di mettere al rogo il riottoso come eretico (“Ballade pour une orgie”, “Exode”).

Qui il racconto prende una piega fantascientifica: dalle fiamme della pira, l’anima di Godevin si diparte per un viaggio attraverso i secoli, giungendo in un anno 2015 sconvolto da una surreale carestia di zucchero causata da inquinamento, cementificazione ed eccessivo sfruttamento delle risorse (“La bataille du sucre”). Attraverso un presumibile intervento divino (“Fils de lumière”), Godevin è infine reincarnato in una sorta di nuovo Eden, dove, circondato dagli animali, potrà forse ridar vita alla stirpe umana dopo la sua estinzione (“Au-delà du délire”). Questa, almeno, la ricostruzione che si può dare basandosi sui testi dello splendido booklet illustrato – versi brillanti e suggestivi, ma di interpretazione non sempre immediata per via del loro carattere allusivo. A titolo di esempio, il passaggio di “Ballade pour une orgie”, che verosimilmente illustra la messa al rogo di Godevin dopo la soppressione della rivolta:

Viens butiner mon bréviaire
Abeille hérétique!
De la première prière au dernier cantique!
Courez, buvez, chantez!.. le Roi est mort ce matin!

…Troubadours, quittez vos tréteaux…
Les chevaux s'emballent!
Il y a feu au château
C'est la fin du bal!
Courez , buvez , chantez!.. le Roi est mort ce matin!

Vieni a succhiare il mio breviario
Ape eretica!
Dalla prima preghiera all'ultimo cantico!
Correte, bevete, cantate!.. il Re è morto stamattina!

…Trovatori, lasciate i vostri palchi...
I cavalli sono imbizzarriti!
C'è del fuoco al castello
È la fine del ballo!
Correte, bevete, cantate!.. il Re è morto stamattina!

A rendere evocative le parole dell’album sono anche il carisma e la versatilità vocale di Christian Décamps. Ispirato da Peter Gabriel, il cantante sviluppa uno stile ancor più eclettico e teatrale, che in poche battute può mutare da solenne a mite, da intimo a furibondo, con o senza il passaggio attraverso le gradazioni intermedie. Talvolta, la metamorfosi vocale può addirittura avvenire su una singola nota ininterrotta (è il caso della transizione tra seconda e terza strofa in “Les longues nuits d’Isaac”).
In “Si j’étais le Messie”, invece, l’estro di Décamps si gioca su un ambizioso recitativo, che palesa ulteriormente il debito verso Jacques Brel e vede l'autore rideclinare costantemente il tono vocale in base alle immagini citate, prendendo le parti di diversi tipi di personaggio, e assumendo un atteggiamento sempre più concitato ed enfatico, efficacemente abbinato al carattere via via più estremo delle visioni rivoluzionarie di Godevin. Gli svariati filmati d’epoca reperibili in Rete testimoniano come, dal vivo, l’istrionismo di Décamps si traduca in una presenza scenica non dissimile da quella di Ian Anderson dei Jethro Tull, sempre in bilico fra rapimento e scherno.

La malià delle atmosfere del disco, tuttavia, si dispiega già prima dell’ingresso vocale del frontman. Nella traccia iniziale, l’apertura con clavicembalo (Christian Décamps) e violino (suonato dal tecnico del suono Henri Lousteau) proietta già una patina centenaria sull’ambientazione; l’entrata congiunta di chitarra, basso, batteria e organo, che avviene poco dopo quella della voce, dà poi al clima una connotazione apocalittica, millenaristica. Merito del timbro distorto adottato dal bassista Daniel Haas, senz’altro, ma soprattutto della scelta caratterizzante in fatto di tastiere: come in buona parte dei dischi anni Settanta della band (l’unica eccezione è “Guet-apens”, del 1978), il ruolo di tessitore di sonorità avvolgenti non è affidato al Mellotron, bensì al più raro organo Viscount, suonato da Francis Décamps. Si tratta di uno strumento elettronico di fabbricazione italiana progettato per un uso liturgico, tratto che si riflette in un’allure decisamente maestosa anche nei suoi registri più imitativi: gli archi, in particolare, suonano molto più pieni e astratti di quelli associati a Mellotron e al Chamberlin, stretto parente di quest’ultimo.
Il sound unico del disco è tutt’uno con le singolari possibilità espressive intuite da Francis Décamps nel suo Viscount: le sue linee riescono a essere spettrali nelle sezioni più diradate di “Si j’étais le Messie” e trionfanti in “Exode” (dove il registro ricalca come può il timbro squillante delle chiarine), digitalissime in “Le bataille du sucre” che arrivano quasi a sfiorare ronzii chiptune, e caparbiamente stonate nell’attacco di “Fils de lumière”, poderoso e ieratico.

“Fils de lumière”, penultima traccia dell’album, è peraltro uno dei brani con la maggior preponderanza di sezioni puramente strumentali, e permette di osservare al meglio i meccanismi costruttivi delle composizioni e dell’interplay della band. Sebbene armonicamente meno rocambolesco di altri nel disco, il pezzo incorpora alcuni degli stratagemmi preferiti dai due fratelli Décamps: su tutti, ascese e delle discese verticali che passano in rassegna ogni nota della scala (e, se possibile, anche qualcuna di più). Il cuore dei tratti strumentali, utilizzati per aumentare vertiginosamente la tensione del pezzo, è infatti una scala ascendente che, lenta e inesorabile, va da Re a Re, rallentando in prossimità della destinazione, riducendo a un semitono la lunghezza di ciascun passo. A ogni passaggio la pressione si intensifica con l’aggiunta di nuovi strumenti o il farsi più incalzanti delle parti di basso, chitarra e batteria. Il ritorno alla parte cantata segna tendenzialmente un rilassamento, che conserva però la memoria dell’irrequietezza accumulata precedentemente, e presto cede il passo a una nuova, vorticante ascensione.

L’effettivo rasserenamento si ha solo con l’ingresso nella title track, che chiude il disco, con “Ballade pour une orgie”, il pezzo più pastorale dell’album e senz’altro quello meno chiaroscurale, anche nelle scelte liriche. In questo caso è il chitarrista Jean Michel Brézovar a reggere la progressione, con una sequenza discendente di accordi che ricorda “Dear Prudence” nel suo costante moto verso il basso sovrapposto alle note stabili dell’accordo di Re maggiore. Dopo la frenesia riarticolante del brano precedente, anche il batterista Gérard Jelsch si concede una tregua, mentre basso e tastiere reiterano uno schema insistente, incentrato su una singola nota, ipnotica e rassicurante. L’effetto è distensivo, e il brano ritrova quella circolarità che aveva caratterizzato l’incipit “Godevin le vilain”. Se nel pezzo di apertura la reiterazione dei versi finali di ciascuna strofa era utile a echeggiare la vita sempre uguale del protagonista, e a legare fra loro i passi della sua rivalsa in una sorta di premonizione, in “Au-delà du délire” la funzione è invece di descrivere l’appagante semplicità del nuovo inizio che attende Godevin. Gli abitanti del mondo fiabesco e post-umano sono presentati uno a uno con le loro abitudini e virtù: Grimaud il lupo, Bernard il granchio eremita, lo scoiattolo Flo; e il sorriso di Godevin è paragonato a un’ostrica che “esplode, gonfia di perle”. Poco prima di aprire al brusio della foresta (e a un ultimo, conclusivo interludio strumentale), Christian Décamps canta ghignando:

Je suis Maître Godevin
Le dernier des humains
Premier Noé sans eaux
Le roi des animaux

Sono Mastro Godevin
Ultimo degli umani
Primo Noé senz’acque
Re degli animali

 

02/06/2024

Tracklist

  1. Godevin le vilain
  2. Les longues nuits d'Isaac
  3. Si j'étais le Messie
  4. Ballade pour une orgie
  5. Exode
  6. La bataille du sucre / La colère des Dieux
  7. Fils de lumière
  8. Au-delà du délire

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