Giusto di fronte a Galata e Sultanhamet, sulla parte asiatica di Istanbul si erge il distretto di Kadıköy, che guarda fisso il Corno d'Oro e le acque del Bosforo. Tra i suoi viottoli stretti e i bagni spumosi si aggirano studenti e artisti di ogni sorta, resistendo come una roccia ai tentativi di islamizzazione di Recep Tayyip Erdoğan, che invece imperversano sul lato più istituzionale della ex-capitale ottomana, tra torreggianti cantieri di nuove moschee e improbabili coprifuoco. Girando per baretti, caffetterie, negozi di dischi, studi di tatuaggi e librerie di Kadıköy, è impossibile non imbattersi in effigi, angoletti e quadri dedicati a Mehmet Barış Manço, in questo contesto celebrato quasi alla pari di Atatürk. Al numero cinque della Yusuf Kamil Paşa Sk. di Kadıköy i più curiosi possono anche visitare la casa museo di Manço.
Questo articolo è dedicato a uno dei capolavori del Manço musicista, ma è importante segnalare quanto il suo mito travalichi la sfera musicale e permei numerosi aspetti della cultura popolare.
Oltre che uno dei più influenti musicisti turchi, fu infatti un noto divulgatore culturale e conduttore televisivo. Sono milioni i turchi che si sono formati seguendo il suo favoloso programma "7'den 77'ye" ("Da 7 a 77 anni"), che mescolava musica, aneddoti e viaggi in mete internazionali, facendone tanto un simbolo della cultura locale quanto un esperto di luoghi e immaginari lontani.
Del resto, anche la sua musica sembra riproporre una simile visione, compenetrando folk e canzone d'autore turca con influenze pop, rock e funk, come in una coda della millenaria fusione fra Oriente e Occidente che contraddistingue la città dai tempi dei due imperi romani.
Baffi a manubrio, chioma lunga e vaporosa, abiti tradizionali turchi alternati a vestiti occidentali: questa l'immagine dietro cui si celava una penna libera e liberale, filosofica quando non mistica, ma soprattutto una curiosità sconfinata.
Oltre a contenere molti fra i brani più importanti di Manço, "Sözüm Meclisten Dışarı" (1981) è anche il disco più esemplificativo della sua apertura tentacolare a suggestioni e influenze.
L'album arriva a distanza di quasi vent'anni dal suo debutto discografico: dopo una manciata di singoli al passo di twist (1962-63) e un tentativo di carriera in Francia nel 1964, conseguenza dei suoi studi universitari, l'artista rientra in patria e contribuisce a forgiare il rock anatolico (in turco, anadolu rock), intersecando i türküler (le canzoni tradizionali turche) e i makamlar (le scale modali della musica classica ottomana, parenti dei maqamat arabi) al rock angloamericano, con una forte predilezione per la psichedelia e il prog – quest'ultimo sposo ideale per i ghirigori dei makamlar.
La musica di Barış Manço prende dunque vita grazie a chitarre elettriche, basso, batteria e tastiere, col saltuario intervento di strumenti tradizionali turchi, come il bağlama (il più famoso liuto tradizionale anatolico), il ney (flauto dall’imboccatura obliqua) e il davul (tamburo marziale da suonare con una bacchetta spessa e una sottile per giocare con i suoi accenti).
Dal 1971 in poi è accompagnato dai Kurtalan Ekspres, da lui fondati e denominati come il treno che connette Istanbul e Kurtalan. È importante menzionare che l’esperienza di questo straordinario ensemble non si ferma alle collaborazioni con Manço: i Kurtalan Ekspres hanno infatti accompagnato anche Cem Karaca e Erkin Koray, gli altri due artisti più importanti dell’anadolu rock, oltre che rappresentato un importante vivaio di talenti (passeranno nelle loro fila anche Fuat Güner e Özkan Uğur, futuri membri della celebre rock band Mfö).
Il debutto di Manço su 33 giri arriva dopo quattordici anni di carriera a suon di singoli, come del resto normale per quasi tutti gli artisti turchi fino alla metà degli anni Settanta. Il primo album è "2023" (il titolo è dedicato al centenario della proclamazione della Repubblica di Turchia), uscito nel 1976 e rientrante nel calderone del rock progressivo, seguito quello stesso anno dal dimenticabile "Nick The Chopper", interamente cantato in inglese.
Nel 1979 è la volta di “Yeni Bir Gün”, che introduce una vistosa componente funk. Sulla copertina, l'artista appare pensoso, mentre vicino a una finestra scruta il mondo esterno. È un'immagine che ben presenta lo spirito mistico di un'opera incentrata sulla rinascita (il titolo significa "un nuovo giorno"), che sorge dalla necessità di rifiutare i vincoli attanaglianti della società moderna. Manço si comporta più da cantore che da cantante e invita chi ascolta a riscoprire la natura e valori umani come la fratellanza: è insieme nostalgico e utopico.
Dopo l'interlocutorio "20. San'at Yılı Disco Manço" (1980), che viene pubblicato sul solo mercato tedesco e come da titolo rilegge il suo repertorio con arrangiamenti disco music, arriva finalmente "Sözüm Meclisten Dışarı" (traducibile come "Quello che dico non è rivolto ai presenti"), che raccoglie al meglio tutte le sue sfaccettature.
Manço è in quel momento uno dei poli d'attrazione della scena nazionale. L'artista torreggia anche in questa copertina, sedendo su un trono dorato, con una camicia di seta nera e un blazer leopardato piuttosto appariscente.
Registrato su 8 piste presso gli studi dell'università Istanbul Gelişim, con la miglior apparecchiatura su cui avesse mai messo mano, l'album vanta il suono più tecnologico e futuristico ottenuto da Manço fino a quel momento. Ne viene fuori un'opera che, nonostante l'intrico della proposta sviluppata, fra anadolu rock, synth-funk e space rock, è decisamente pop e ammiccante.
Il nuovo, sorprendente mix di generi orchestrato da Manço è evidente sin da “Alla Beni Pulla Beni”. Posta in apertura, è un ottimo biglietto da visita per le abilità dei Kurtalan Ekspres: scatta su un ritmo funk costruito sull'alternarsi fra le note di basso percosse di Ahmet Güvenç e i colpi di rullante di Celal Güven, per poi imboccare un andamento rilassato guidato dalle stratificazioni dei sintetizzatori, suonati da Nejat Tekdal e dallo stesso Manço, che imitano sia ottoni (in primo piano), sia archi (in sottofondo). A dispetto del suono epico, quasi fantascientifico, il testo è composto da versi sentimentali piuttosto lineari, intonati in duetto dalla voce baritonale di Manço e dalla corista Deniz Tüney.
La successiva "Arkadaşım Eşşek" si è imposta nel tempo come una delle più famose canzoni turche per bambini. È una filastrocca influenzata dalla tradizione dei türküler, pur con un andamento da marcetta elettrica guidato dal suono di un glockenspiel.
Il ritornello è concluso da un coro di vocine distorte e spiritate, che vanno al trotto dell'amico asino a cui è dedicato il titolo:
Quanti anni sono passati da quando ho lasciato il villaggio, non li ho contati,
le stagioni sono venute e andate, da quando non ci vediamo,
non hai mai mandato notizie da quel giorno,
forse ce l'hai con me? Mi hai dimenticato?
Ieri ti ho ricordato ancora, i miei occhi si sono riempiti [di lacrime],
quei nostri giorni felici sono diventati un ricordo,
è arrivata la separazione, bisogna sopportarla,
mi manchi tantissimo, mio amico asino.
Mio amico 'asi', mio amico 'ino', mio amico asino.
I puledri selvatici [ancora] scalpitano nei prati?
Il gallo chiazzato litiga con gatti?
Sarıkız ha smesso di allattare il vitellino? [nota 1]
Gli agnellini e i capretti si coccolano?
Agita le tue lunghe orecchie un'ultima volta,
mandami una notizia da tutti i miei vecchi amici
[nota 1] Letteralmente "ragazza bionda", o "ragazza col turbante" (essendo il turbante solitamente di colore giallo); in questo caso è il nome della mucca.
La tematica è in realtà tutt'altro che infantile: il senso di spaesamento psicologico vissuto dai tanti abitanti dell'entroterra anatolico che, nel corso del tempo, hanno abbandonato i propri villaggi per cercare una vita migliore in città è un argomento molto sentito in Turchia. Sommandone i vari video, il brano conta a oggi 385 milioni di visite su YouTube.
La title track (rinominata "Cacik" in molte ristampe) è un intervallo spoken word che segna l'unico momento di continuità con i toni da santone di "Yeni Bir Gun". Le fa seguito "Şehrazat", adattamento della suite sinfonica "Shekherazada", composta da Nikolai Rimsky-Korsakov nel 1888: i legami col prog di Manço riemergono qui in pieno, spingendolo a confrontarsi con uno dei tòpoi del genere – per l'appunto, il confronto con la musica classica. Dopo una lunga introduzione per archi e legni, l'elemento rock si innesta tra le note da mille e una notte dell’orchestra nel secondo movimento, in cui Manço canta un testo autografo in inglese (per quanto il risultato sia funzionale all'operazione, non vanta ovviamente la ricchezza di sfumature dei suoi componimenti in turco).
"Gülpembe" è una ballata dedicata all'amata nonna materna, morta quando l'artista aveva tredici anni. Il passo è lento ma deciso, mentre fra le strofe l'atmosfera si ingigantisce, con la chitarra ritmica distorta di Bahadır Akkuzu che dialoga con un assolo di sintetizzatore paragonabile a quelli di altri grandi nomi dello space rock dell'epoca, come per esempio i tedeschi Eloy.
Il termine gülpembe, che indica letteralmente una rosa color rosa, è in questo caso il soprannome della nonna. Manço torna così a illustrare il senso di perdita che un adulto prova guardando all'infanzia, sfociando nell'autobiografico e concentrandosi su una delle figure centrali della sua formazione:
Quando sorridevi sbocciavano le rose, Gülpembe,
gli usignoli cantavano di te, noi li ascoltavamo, Gülpembe,
quando arrivavi tu, arrivava la primavera, Gülpembe,
i ruscelli ti invocavano, eravamo felici, Gülpembe.
Non potevamo crederci, Gülpembe,
senza di te, le nostre terre
non esistevano, Gülpembe.
Sulle mie labbra un'ultima melodia tradizionale, Gülpembe,
ancora e sempre ti canta, ti invoca, Gülpembe,
un giorno te ne sei andata con le piogge d'autunno.
Nei miei occhi un'ultima nuvola, Gülpembe,
ancora e sempre ti cerca, ti aspetta, Gülpembe
Il secondo lato del vinile si apre con "Adem Oğlu Kızgın Fırın Havva Kızı Mercimek", uno dei testi più originali della raccolta. Un misto di proverbi popolari e riferimenti culturali sia raffinati, sia modesti, che mira a fare ironia sul ruolo dei generi nella società. L'introduzione parlata punzecchia inoltre le più note storie d'amore tradizionali a livello locale, sottolineandone il tono costantemente tragico. Manço intona i versi sostenuto da vivaci cori femminili, su un tappeto disco funk caratterizzato da sax squillanti:
Da padre Adamo e madre Eva fino a oggi,
molte cose sono state dette sull'amore,
sono state composte innumerevoli canzoni popolari,
Leyla e Mecnun, Ferhat e Şirin,
sono state scritte fiabe d'ogni tipo,
come Kerem e Aslı, Yusuf e Züleyha, [nota 2]
tutte quante tristi, finite con separazioni,
piene di sofferenza e lacrime,
sapete, cose problematiche che oscuravano il mondo di una persona come un incubo.
Oggi Barış, vostro fratello, vi canterà una nuova canzone popolare,
perché Barış ha visto che la più grande verità sulla Terra
[è che] il figlio di Adamo è un forno ardente, la figlia di Eva è una lenticchia.
Quella che chiami ragazza è graziosa, mentre un maschio ha un cuore [come un] braciere,
al fianco di un uomo valoroso, è necessaria una donna.
Senza una ragazza, un uomo valoroso è come senza braccia, né ali,
bisogna colpire il tamburo con ciò che gli è pari. [nota 3]
La lenticchia e il forno [stanno] uno accanto all'altro, che bisogno c'è di tante parole?
Quando un cuore folle ama, non vuole coperta, né materasso.
Alcuni mangiano olive e formaggio, altri baklava e börek, [nota 4]
ad alcuni va stretto un palazzo, ad altri basta una stanza,
alla figlia di Eva bastano due occhi e una capanna,
al generoso figlio di Adamo un boccone di pane da mangiare.
Dio ha ordinato così, il mondo è stato creato così,
a ogni figlio di Adamo è stata concessa una Eva,
sette climi, quattro angoli,
se non ci credi, vai pure e guarda,
anche sull'arca di Noè
il forno si è riempito di lenticchie,
Un ragazzo è una freccia, non si trova in ogni casa,
una ragazza è graziosa, mille monete d'oro sono poche
[nota 2] Leyla e Mecnun, Ferhat e Şirin, Kerem e Aslı, Yusuf e Züleyha: coppie tragiche leggendarie o provenienti da poemi epici, tipiche della letteratura mediorientale. Sono tutte di origine persiana, tranne Kerem e Aslı, che provengono dalla cultura turco-azera.
[nota 3] Proverbio, che in questo caso sta a indicare la necessità di essere affiancati da qualcuno degno del proprio valore.
[nota 4] Cibi di origine ottomana. Rispettivamente, un dolce e una torta salata.
Una delle prove più imponenti della carriera di Manço a livello vocale, "Ali Yazar Veli Bozar" è anche una delle più orecchiabili e memorabili. Il basso insiste con i suoi groove funk, ma le concitate melodie disegnate dalle tastiere si abbeverano ai classici della tradizione folk anatolica.
Il titolo (Ali scrive, Veli cancella) è un antico proverbio turco che l'artista intona per condannare la facilità con cui si tende a giudicare le vite altrui, talvolta provocando danni ingenti:
Ali scrive, Veli cancella, estrae l'acqua dal vaso a poco a poco.
Se vedessero lacrime nei miei occhi, chiederebbero: un uomo piange?
I cieli stanno piangendo, amici, è troppo se ho pianto io?
Mentre cade la pioggia misericordiosa, amici, è troppo se mi bagno?
Mi sono rattristato, [ma] a che serve? L'aceto forte rovina la sua giara.
Se un giorno rinnegassi la mia parola, perderei il rispetto di un compagno,
Il mondo gira, amici, è troppo se cambio [idea] su una promessa?
La sorte gira, amici, è troppo se sono cambiato?
Barış, è inutile dire "cammina" [se sei] alla fine della strada,
la vita si ferma, amici, è troppo se mi sono fermato io?
La vita sta finendo, amici, è troppo se sono esausto?
"2025" è la parte conclusiva di una trilogia iniziata cinque anni prima con la title track dell'album "2023", non a caso il sottotitolo recita: "Üçüncü ve Son Yolculuk" (il terzo e ultimo viaggio). Le interferenze di un'astronave aprono una suite di quasi otto minuti e mezzo dove l'anadolu rock raggiunge i suoi vertici cosmico-psichedelici, con un'ambizione cinematica, tanto da far venire in mente le colonne sonore western di Morricone e i romantici tappeti elettronici di Vangelis, oltre ovviamente alle cavalcate di sequencer tipiche di Tangerine Dream e Jean-Michel Jarre.
In chiusura "Dönence", il momento più cupo, dal sentore quasi apocalittico: un tintinnio di glockenspiel, squarci di chitarra satura, basso funk incalzante, schiocchi di dita e tastiere arabeggianti si alternano e si sommano in una progressione mai lineare, creando quello che per rapporto fra fama e complessità potrebbe rappresentare il punto di non ritorno dell'anadolu rock. Il testo è degno della musica:
Qui attorno il giorno è già passato da tempo
e io, nel grembo della notte nerissima, sto aspettando completamente solo,
sto vedendo,
sto sentendo,
un giorno arriverà la svolta, lo so.
Sono nel grembo della notte nerissima, completamente solo,
in qualche luogo lontano stanno sorgendo dei soli.
Sono un ramo di un albero scheletrico, completamente solo,
in qualche luogo lontano qualcosa sta mettendo radici.
Sul mio labbro screpolato né un suono, né un respiro,
in qualche luogo lontano si intonano canti popolari.
Quando il giorno volgerà,
arriverà la svolta
Il termine dönence, se preso alla lettera, significa "tropico", ma in ambito poetico può indicare qualcosa di ciclico e simboleggiare il susseguirsi di nascita e morte tipico, per esempio, delle fasi della vita, delle stagioni o anche dell'astronomia. Sopra è stato tradotto come "svolta".
Il sottotesto più evidente è quello spirituale, tuttavia potrebbe anche intendersi a livello sociopolitico, come augurio di cambiamento per la situazione affrontata all'epoca dalla Turchia, fra instabilità economica, persecuzioni politiche, oppressione delle minoranze, e via dicendo.
"Sözüm Meclisten Dışarı" si rivela un enorme successo di pubblico, toccando quota un milione e 700mila copie e diventando il disco turco più venduto fino a quel momento. Il suo impatto genera inoltre una reazione a catena, donando al formato album livelli di popolarità insperati, considerando con quanto ritardo era approdato sul mercato turco: da lì in poi le vendite impenneranno e lo stesso record stabilito da questa pietra miliare verrà battuto a ripetizione negli anni immediatamente successivi. Gli rimane però il primato di aver rappresentato la miccia di quell'epoca d'oro.
Oltre a "Arkadaşım Eşşek", della cui fortuna fra i più piccoli si è già detto, almeno "Alla Beni Pulla Beni", "Gülpembe" e "Dönence" possono annoverarsi fra le canzoni turche più famose di tutti i tempi.
Il disco è amato ancora in maniera transgenerazionale: basti pensare che, proprio mentre questo articolo viene pubblicato, la raccolta "Hal... Hal", che ne fa ampio ripescaggio, staziona al numero 4 della classifica degli album più streamati su Spotify in Turchia, sfidando artisti che erano appena nati quando Manço è morto per infarto nel gennaio del 1999, all'età di soli 56 anni.
Curiosità: nell'edizione in cassetta per il mercato tedesco, il disco conteneva quattro tracce bonus, poi incluse anni dopo in alcune fra le tante ristampe in cd (che peraltro scombinano spesso l'ordine originale della scaletta).
15/06/2025