Il destino corre lungo una scia di fuoco che anima un commando pronto a irrompere al numero 56 di Hope Road, Kingston. È il 3 dicembre del 1976. Un branco di Ali Ağca bussa invano alla porta del papa giamaicano. Pochi istanti e divampa il demone del caos. I proiettili per fortuna si riveleranno miracolosamente fetecchie per Bob Marley, sua moglie Rita, Don Taylor e Louis Griffiths. Il Dio del reggae è salvo. Mostra i fori e suona allo Smile Jamaica appena due giorni dopo aver visto la morte in faccia. Perché le divinità autentiche non appartengono all'assenza. Poi però sparisce. Giustamente, direbbero i sani di mente. Destinazione Island Studios, Londra.
Il 1976 è spartiacque. È l'anno in cui l'esodo muta in necessità, salvezza, sorgente. Per Marley è infatti tempo di librarsi altrove. Di bramare il giorno del giudizio. E invocare un nuovo Mosé. "Le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si concedono un giorno libero. Come potrei farlo io?", le sue parole da scolpire nella pietra.
Il testamento definitivo matura nel cuore che ha appena evitato un proiettile. "Exodus" è il disco più importante del 20° secolo per Time Magazine. Un'esagerazione, forse. Certamente tutt'altro che un'eresia, dato che le sue dieci canzoni amplificano il movimento reggae sotto ogni profilo e ne illuminano i giardini grazie a un Bob Marley inedito, in quanto mosso mai come prima di allora dai richiami di una collera da domare e convertire ora e per sempre in gioia, speranza, coraggio, abbraccio, vita. Quest'ultima, ahinoi, annientata cinque anni dopo da un melanoma diagnosticato nel luglio del 1977, ossia a sole otto settimane dalla pubblicazione dell'album che consacrerà Bob, i Wailers e le I Threes all'immortalità.
There's a natural mystic blowing through the airMai più nessuna bugia. Il dado è tratto. E il Rubicone varcato grattando come un angelo ferito la Les Paul Special mentre il tempo di Carlton Barrett e il passo di Aston Barrett ne cullano il canto, come dei Michael Collins e Buzz Aldrin strafatti di erba. Durante le sessioni di "Exodus", Marley ritrova il suo vecchio amico e produttore Lee "Scratch" Perry, e opta per Junior Marvin alla chitarra solista. "Natural Mystic" introduce gli umori afflitti che inseguono una vendetta da consumare a braccia aperte. "So Much Things To Say" è al contrario predica e allegria.
If you listen carefully now you will hear
This could be the first trumpet, might as well be the last
Many more will have to suffer
Many more will have to die
Don't ask me why
Things are not the way they used to be
I won't tell no lie
One Love! One Heart!"Exodus" si rivelerà un notevole successo di pubblico, raggiungendo il numero 8 della classifica britannica (dove rimarrà in top 40 per 42 settimane) e il numero 20 della classifica di Billboard negli Stati Uniti. La Island capitalizzerà quindi al massimo il richiamo globale del disco, facendo uscire come singoli ben sette brani. A "Exodus" seguiranno l'onestissimo "Kaya", registrato quasi in contemporanea, che regalerà qualche altra hit indimenticabile come "Is This Love?". E soprattutto altre due piccole grandi perle, non solo del reggae ma della musica tutta, ossia "Survival" e in particolare "Uprising". Entrambe dilateranno le dieci parabole di "Exodus", dando vita a una sorta di doppio vangelo del messia Bob, che nonostante l'implacabile malattia continuerà a regalare linfa all'universo mondo, così come a prendere a cuore, alla sua inconfondibile maniera, le inenarrabili sofferenze di paesi come il dimenticato Zimbabwe e ovviamente della sua Giamaica, ritrovata pochi mesi dopo l'esodo. Ci sarebbe pure una "Africa Unite", il cui testo ci dice più o meno tutto ancora oggi.
Let's get together and feel alright
Hear the children crying (One Love!)
Hear the children crying (One Heart!)
Saying: give thanks and praise to the Lord and I will feel alright
05/05/2024