Café Tacvba

Re

1994 (Wea)
latin alternative, art pop

Il cantante Rubén "Cosme" Albarrán, il tastierista Emmanuel "Meme" del Real, il chitarrista Joselo Rangel e il bassista Enrique "Quique" Rangel formano la propria band nel 1989. Inizialmente scelgono come nome il titolo in spagnolo di un film di Martin Scorsese, "Alicia ya no vive aquí", per poi cambiarlo prima in Café Tacuba e poi nel definitivo Café Tacvba.
Il nome è stato recuperato da uno storico ristorante situato nella Colonia Centro di Città del Messico, a diversi chilometri dalle case dei quattro musicisti, provenienti da Ciudad Satélite, progetto urbanistico di ispirazione futurista (una sorta di Brasilia in chiave neo-azteca).
In un'intervista per il quotidiano spagnolo El País, nel 2004, del Real ha dichiarato: "Caffè è una parola  e un seme  che gli spagnoli portarono (ndr: in America dall'Africa) e tacuba era, per gli aztechi, il luogo dove crescono i vimini".
Sul sopraccitato locale gastronomico, Albarrán avrebbe aggiunto: "Abbiamo pensato che quel posto rappresentasse molto bene quello che volevamo fare con la musica, dato che le ricette erano spagnole con ingredienti locali e indigeni. L'architettura, i dipinti erano perfetti per il mix che volevamo esprimere" (da "Bios. Vidas que marcarono la tuya", National Geographic, 2019).
Si dice che il cambio grafico della "u" in "v" sia stato motivato dall'evitare un confronto legale con il ristorante, cosa che nel corso della loro carriera non è poi effettivamente mai avvenuta. È però opportuno notare come l'utilizzo vocalico della "v", derivato dall'antico fonema romano, non faccia altro che riaffermare l'identità latina del progetto.

All'alba degli anni Novanta il musicista e produttore argentino Gustavo Santaolalla si reca spesso in Messico, in particolare per dirigere le sessioni di registrazione della band locale Maldita Vecindad y los Hijos del Quinto Patio, che con il suo mescolio di ska, rock alternativo e folk iberoamericano stava di fatto aprendo la strada al genere oggi internazionalmente noto come latin alternative, lo stesso di cui i Café Tacvba sarebbero poi divenuti esponenti di spicco.
I quattro riescono a contattare Santaolalla e a fargli avere un loro demo. Nonostante la qualità dell'incisione sia pessima, l'argentino riesce a vedere il potenziale dietro quelle canzoni sgraziate e lavora per farli mettere sotto contratto dalla Wea.

"Café Tacvba" esce nel 1992 e riesce subito a ottenere l'attenzione del pubblico, tanto che la band va in tour in lungo e in largo per il Messico, in un'esperienza che si rivelerà formativa.
Le sessioni per l'album successivo, registrato fra Città del Messico e Los Angeles, occupano tutto il 1993. Dopo essere venuto in contatto, nel corso del tour, con realtà diverse dalla propria e con il variegato patrimonio della musica folk messicana, il gruppo decide di integrare quegli elementi nel proprio sound, alzando l'asticella dell'ambizione.
Santaolalla non potrebbe essere il produttore più adatto a soddisfarli: oltre ad aver diretto i già citati Maldita Vecindad, negli anni Settanta ha fatto parte degli Arco Iris, fra i capostipiti del rock andino, fusione fra il prog proveniente dai paesi anglofoni e il folklore delle nazioni situate lungo la cordigliera sudamericana.

Il nuovo album, "Re" [nota 1], vede finalmente la luce il 22 luglio 1994. Il titolo è fortemente concettuale: deriva dal prefisso "re-", che indica ripetizione (e nell'uso gergale anche riaffermazione), valendo quindi come espressione letterale minima di quanto ci sia di ciclico nell'esistenza. La poliedricità stilistica dell'album risponde quindi a un percorso programmatico di andata e ritorno fra tradizioni, innovazioni e fantasie futuristiche.
La copertina presenta una chiocciola  che sintetizza quella stessa nozione di circolarità e disegno armonico dei contenuti  posta su uno sfondo rosso, ricamato a sua volta da incisioni che ricordano i simboli delle culture precolombiane.
Inoltre, in un'edizione limitata dell'album, la grafica include le parole "repetición", "reiteración", "reciclaje" e "resistencia", oltre a una sorta di calligramma a forma di spirale che riporta "Tutto ciò che era tornerà a essere e tutto ciò che è cesserà di essere" (proverbio della cultura náhuatl) e a una citazione dell'antropologo messicano Guillermo Bonfil Batalla che tratta la nozione ciclica del tempo.

Il primo brano in scaletta è "El aparato", una dichiarazione degli intenti che sosterranno l'intera opera, col suo mix eclettico che amalgama sonorità elettroniche  come il predecessore, l'intero album poggia su una drum machine  e influenze locali su una base ritmica ternaria, comune a tutti i generi folkloristici della America Latina, dagli altopiani boliviani alla bassa California.
Infatti lo stilema folk a cui meglio si imparenta il brano è la jarana yucatanina (tipica appunto della penisola dello Yucatán), ritmo omologo della jarana limeña della costa pacifica peruviana. Lo strumento portante è la jarana jarocha, discendente creolo della chitarra barocca di cinque ordini, come lo sono pure il charango andino e il cuatro venezuelano. I cori dal sapore etnico-tribale rimandano alla musica africana, la quale eco è udibile in molte fra le culture creole dell'America Latina.
Il testo narra il rapimento alieno di un certo Pablo, in probabile analogia con una esperienza mistico-allucinogena:

Oh, c'è quest'uomo che controlla l'apparecchio,
quando mi giro, ce l'ho sopra di me, è una luce,
per un po' mi ha lasciato immobile,
mi è rimasto solo il ronzio, della luce.
Lo sentivo nella mia testa,
mi parlava in una lingua estranea, ma lo capii,
giuro che non avevo bevuto,
ero semplicemente abbagliato, persi la cognizione del tempo.
Oh, so che verrà per me
e mi porterà in un giardino, sì.
Fu quando incontrai Pablo
che mi raccontò questa storia, non gli credetti.
È stato qualche mese fa,
ma da allora non lo abbiamo più visto da queste parti.
Non so più cosa pensare,
da quando è arrivata una lettera dall'ospedale.
Pablo ha delle ustioni e cecità permanente,
non vuole parlare
"Ingrata" è il brano che li rende noti pure all'infuori del Messico, grazie anche all'esilarante videoclip che presenta Albarrán con acconciatura da gallo da combattimento, mentre si dimena isterico fra veri polli da macelleria: un'immagine eloquente, volta a satirizzare l'abituale tematica machista delle norteñas, danze rurali del Messico settentrionale, il cui già di per sé agitato ritmo nativo, vicino alla polka, viene ulteriormente accelerato dal battito ska.
Dal 2017 il gruppo non suona più la canzone dal vivo, se non modificando il testo originale, in cui l'infatuazione non corrisposta e l'orgoglio ferito del protagonista maschile, si risolvono inesorabilmente punendo la donna ingrata a colpi di rivoltella. Chiaramente, si trattava di una denuncia satirica e così l'aveva intesa a suo tempo il pubblico, ma nello stato attuale della cultura globale, nell'evoluzione del dibattito nei media e nei social network, la band ha percepito che si potesse interpretarla come una banalizzazione della violenza sulle donne o peggio ancora, come una apologia in senso diretto.

"El ciclón" vanta uno dei testi più interessanti: prima un elenco di immagini elementari che sembrano codificare, come una stele di Rosetta, diverse chiavi di lettura per l'intero progetto, poi una discettazione sul concetto di Dio [nota 2]. Da segnalare l'alternanza timbrica di Albarrán, che canta l'introduzione con un tono pulito e delicato, per poi prodigarsi in un rap roco e stridente.
La musica, strutturata attorno a un groove funk e a un Clavinet alla Stevie Wonder, sfocia in un ritornello da girotondo, rafforzando l'idea di energia circolare già anticipata dal titolo:
Io, freccia, fiore, polline, freccia, ape, orso, pesce,
freccia, acqua, vieni su, nuvola, piove, albero, freccia, ossigeno, freccia, polmone.
Nopiltze [nota 3], figlia mia, Dio non muore mai?
A quale Dio ti riferisci? Tutto dipende da quello.
Ci sono dèi che pensavano che il mondo fosse infinito,
e non c'è equilibrio tra i regni, figlio mio.
Gira e gira intorno, e ruota girando,
gira e gira intorno, e rotola e rotola
In "El borrego" il vuoto d'identità della gioventù postmoderna viene esaminato sotto la lente dissacratrice della band. Una scarica di metal industriale con alto grado di acidità parodistica sulla vocazione adolescenziale, sovente epidermica e volubile, di riconoscersi in un determinato collettivo di costume e opinione comune, anche nel caso di correnti ideologiche palesemente contradittorie. Il termine "borrego" (letteralmente, "agnello") si utilizza infatti gergalmente nel senso di giovane inesperto, sbarbino, e nello specifico del brano per descrivere qualcuno che percepisce se stesso come un ribelle, pur restando solo una di tante creature anonime, soggetta alle regole del gregge:
Sono un anarchico, sono un neonazista,
sono uno skinhead e sono un ambientalista,
sono un peronista, sono un terrorista,
un capitalista e sono anche un pacifista.
Sono un attivista, sindacalista,
sono aggressivo e molto alternativo.
Sono uno sportivo, del Rotarac,
politeista e sono anche un buon cristiano,
e nei concerti ciò che va è il pogo.
Ma quando sono a casa quello che ci vuole è il tropical.
Mi piace il jevimetal, mi piace il jarcor,
mi piace Patric Miler e mi piace anche il gronch. [nota 4]
Mi piace la Maldita, mi piace la Lupita
e ascolto i Magneto quando c'è la mia ragazza. [nota 5]
Mi piace vestirmi di nero con le labbra dipinte,
ma sempre bello in ufficio e ben adattato.
Mi piace lanciare sassi, mi piace raccoglierli,
mi piace dipingere le staccionate e poi andare a lavarle
Lo stile musicale e la vena poetica di "Esa noche" sono chiaramente assimilabili a una ranchera (forma di musica popolare messicana che si è imposta all'inizio del Novecento, fra le principali responsabili dell'urbanizzazione delle traduzioni rurali). Il più evidente punto di riferimento è Chavela Vargas, tanto che quando morì, nel 2012, Joselo Rangel (non solo chitarrista della band, ma anche un valido saggista) scrisse nella sua rubrica fissa sul quotidiano messicano Excélsior che l'idea centrale era nata nel cuore della notte e che gli ci erano voluti diversi giorni per verificare che non si trattasse di un plagio involontario dal repertorio di Vargas: "Ha piantato semi nelle nostre menti e nei nostri cuori che non smettono di fiorire".

Più vicina alla musica inglese è "Ixtepec", con un ritmo programmato non dissimile da quelli dei New Order e la chitarra acustica impegnata in una veloce rumba, assimilabile agli Aztec Camera.
In termini letterari siamo nell'ambiente del realismo magico latinoamericano, di cui il messicano Juan Rulfo fu uno dei maggiori esponenti. La vicenda è dichiaratamente ispirata dal romanzo "I ricordi dell'avvenire" di Elena Garro: vagando senza destinazione per Ixtepec (città situata sulla costa meridionale del Pacifico, che vanta una vasta tradizione culturale, ereditata dai nativi zapotechi), Juan subisce il sortilegio di Marta, "...la moretta del litorale che voleva un amante spagnolo". Tuttavia, i passi svagati del protagonista e l'influsso della ragazza non sono altro che una rappresentazione della marcia del tempo e del mistero irrisolvibile dell'esistenza: "Sento già i passi sulle mie strade, ma non è per [via di] Marta, sono io. Chi viaggia è il mio orologio".

"Trópico de Cáncer" utilizza un tipico formato della canzone di denuncia: il dialogo tra due voci che rappresentano archetipi e interessi opposti nel conflitto sociale, come il benestante e il proletario o, nello specifico, la depredazione della natura in nome del progresso e il progressista che innalza il conservazionismo in nome del bene comune.
Musicalmente è un'altra variopinta tela latina, con tocchi da bossa nova sulle sei corde, alternanza di armonie flamenche e jazz nel cantato, coretti in botta-e-risposta nello stile delle murgas del carnevale uruguaiano e linee di basso in glissando (da notare che nell'album non compare basso elettrico: Enrique Rangel l'ha sostituito con il contrabbasso o con suoi equivalenti locali come il tololoche).
Come mai te ne vai dall'azienda, Salvador,
se c'è ancora molto verde?
Se il progresso è il nostro mestiere
e ci sono ancora tanti indios là fuori
che non sanno cosa vuol dire vivere in una città (come la brava gente),
non vedi che sei un ponte
tra il selvaggio e la modernità?
Salvador l'ingegnere, Salvatore dell'umanità. [...]
Cari miei colleghi professionisti petroliferi messicani,
non pensate che non mi manchi l'odore dell'olio puro,
ma il fatto è che penso che noi umani
non abbiamo piú bisogno di idrocarburi.
Ecco perché me ne vado adesso,
non voglio avere niente a che fare
con quella brutta relazione di azione, costruzione, distruzione
"El metro", electropop traversato da saltuarie sincopi funk, dipinge la spiritosa vicenda di un uomo comune perennemente bloccato nella metropolitana. Una sorta di Sisifo contemporaneo, rinchiuso fra i vagoni di quell'inframondo urbano, ma con uno stato d'animo ambivalente, fra l'angoscia della cattività e la piacevole serenità dell'isolarsi dai conflitti dell'esterno:
Sono salito su un vagone della metropolitana
e non sono riuscito a uscire da qui.
Ho passato più di tre o quattro mesi
abitando qui nel sottosuolo, nella metro.
[Le fermate di] Zocalo, Hidalgo, Chabacano,
le ho attraversate un milione di volte.
Volevo uscire dalla porta,
ma c'è sempre qualcuno che mi spinge dentro.
E quando la notte penso a te, so che ti ricordi di me,
ma intrappolato in questa carrozza, non so se uscirò di nuovo.
Mastico pillole, ghiaccioli, cioccolatini, chewingum e orsetti gommosi,
ho già sei set di aghi, otto taglierini, e accendini (da vendere).
Penso che i miei capelli siano cresciuti, come la barba e le rughe,
non so quando sia giorno o notte,
non so se siano già cent'anni qui dentro.
E ci sono momenti in cui inizio a sentire la tua mancanza
e mi viene voglia di piangere,
non riesco a ricordare la tua faccia
e non so se ti bacerò ancora
"El fin de la infancia" mescola le band di ottoni della quebradita sinaolense (danza tipica dello Stato di Sinaloa) a iniezioni ritmiche ska, mentre il testo è un'apologia della danza e al contempo una denuncia del malinchismo tipico delle società latinoamericane ("malinchismo" è un termine dispregiativo che indica la preferenza per ciò che è straniero rispetto a ciò che è originario del proprio paese. Il nome viene da La Malinche, donna nativa data come schiava e concubina al conquistatore Hernán Cortéz).
"Madrugal" (gioco di parole fra "madrigale", forma di composizione musicale e letteraria che si diffuse durante il Rinascimento, e "madrugada", ossia la fascia oraria fra la notte e l'alba), è un bolero messicano che getta uno sguardo beffardo sulla megalopoli in prima mattinata, quando: "Tutto lo splendore decresce, la gente per strada beve, la cattedrale scompare fra smog e sterco di piccioni."

"Pez" attacca con un rullante in chiave rockabilly (forse un accenno a "C'mon Everybody" di Eddie Cochran), che si spegne in cinque secondi per poi riprendere piú avanti, fondendosi a un tessuto di chitarre limpide e appena effettate. I jangle sono in apparenza ripresi dal rock angloamericano degli anni Sessanta, ma va sottolineato che quello stile aveva in origine subito una non indifferente influenza della musica ispanoamericana: non a caso quella tecnica di chitarra arpeggiata è a tutt'oggi rintracciabile in sottogeneri latini come il Tex-Mex, la bachata caraibica o la cumbia sudamericana.
"La negrita" narra la storia di vita di una popolana che vende pesce fritto al mercato di una grande città e sogna di tornare nella sua terra natale. Anche qui si presenta all'appello quel caratteristico suono limpido e solare di cordofoni arpeggiati (tipico di tutto il continente, che si tratti del guitarrón dei mariachi messicani, del tiple colombiano, del cuatro venezuelano, del charango e del ronroco andini o dell'arpa paraguaya), distesi sul ritmo di un samba.
"El tlatoani del barrio" (i "tlatoani", in lingua náhuatl, erano i governanti indigeni della Mesoamerica) è un funk guidato da un groove di pianoforte e traversato da infiltrazioni breakbeat, che racconta la storia di come si conobbero i genitori di Albarrán.

"Las flores" apre con un 3/4 da llanero o joropo venezuelano, ma dopo pochi secondi si adagia ai 4/4 di un midtempo ska, che si protrae fino al repentino finale, mentre "La pinta" è un rock alternativo con chitarre distorte, che serve da cornice a un testo che attraversa tutti i luoghi comuni delle ballate romantiche, forse nel tentativo di risemantizzarle, come nella citazione diretta del coevo tormentone di Ricky Martin: "Fuego contra fuego es amar, fuego del que no puedo escapar".
La parola "pinta" si utiliza in vari paesi ispanofoni per indicare bellezza ed eleganza, ma anche sfacciataggine, se quella bellezza è solo di apparenza.
"El baile y el salón" è un raffinato dance-pop e resta fra i brani preferiti dal grande pubblico, grazie anche al coro onomatopeico che lo introduce. Il testo, che descrive l'innamoramento di un giovane omosessuale, lo rende uno degli inni della comunità arcobaleno latinoamericana:
Ci siamo baciati ballando, in mezzo al locale,
la musica stava già raggiungendo l'ultima battuta.
Sguardi silenziosi, ma chi l'avrebbe mai detto,
che dopo questo primo ballo,
mi sarei innamorato.
[...] La vita è un grande ballo e il mondo è un salone
e ci sono tante coppie che ballano
intorno a noi.
[...] Ero un solitario che ballava, rimasi senza parlare,
mentre tu mi stavi dimostrando
che l'amore è ballare.
[...] E così, ballando,
voglio che fai l'amore con me,
da uomo a uomo,
voleuz-vous coucher avec moi?
In "El puñal y el corazón", sempre in equilibrio fra parodia e omaggio, l'ossessiva passionalità dell'uomo latino danza al passo della salsa caribeña per spostarsi quasi impercettibilmente verso la bossa nova nella frase che richiama al titolo: "...e nemmeno con un pugnale potrai rimuovermi dal tuo cuore".
In chiusura, la breve coda di "El balcón" regala un'ultima, inaspettata carezza lounge jazzata con, in allegato, una cartolina tropicale, erotica e familiare:
Tu e io sul balcone
che si affaccia sulle piantagioni di banane,
i padroni sono morti e tu
sei ancora lì a strofinare il pavimento a scacchiera.
Vieni qua, che da qui puoi vedere
tutte le terre che ora sono nostre,
e un bambino zambo sarà l'erede, [nota 6]
poiché da un indio e una donna nera questo viene fuori
"Re" vende 125mila copie in Messico e qualche altra decina di migliaia fra il resto dell'America Latina e la comunità ispanofona degli Stati Uniti. Un riscontro ragguardevole, ma non schiacciante come lascerebbe intendere la diffusione che oggi vantano diversi fra i brani che contiene. A questo hanno probabilmente contribuito la perdurante popolarità della band e la considerazione che il disco vanta presso i media locali, che per via della vastità delle sue contaminazioni e dell'impatto culturale che ha generato, lo indicano pressoché all'unanimità come il più grande album nella storia della musica messicana.


[nota 1] Da non confondere con il sostantivo italiano sinonimo di monarca, che in spagnolo si dice "rey".

[nota 2] Nella frammentarietà del testo e nelle allusioni al vortice, a Dio, ai fiori e via dicendo, si rintraccia qualcosa di simile a "En remolinos" degli argentini Soda Stereo, parte dell'album "Dynamo" (1992). Essendo i Café Tacvba grandi fan della band, il collegamento non è così improbabile.

[nota 3] "Nopiltze" è un saluto e un richiamo nelle lingue maya e náhuatl, più o meno equivalente a "hey", "hola".

[nota 4] Allo scopo di connotare una certa provinciale aspirazione di status e di aggiornamento su mode e tendenze, tutti i termini anglosassoni sono storpiati in senso comico: il Rotaract (organizzazione per giovani leader del Rotary Club), l'heavy metal, l'hardcore, il grunge e Patrick Miller (alias di Roberto Devesa, famoso dj messicano).

[nota 5] In questo passaggio viene messo in contrasto ciò che si pretende di apprezzare e ciò a cui si è disposti a scendere per assecondare gli altri: Maldita Vecindad e La Lupita sono infatti due gruppi di musica alternativa, mentre i Magneto una boy-band.

[nota 6] "Zambo" sta a indicare chiunque abbia origine in parte africana e in parte amerindia. Il termine è spesso usato in modo spregiativo, ma in questo caso viene ribaltato in un simbolo di orgoglio e appartenenza.

04/08/2024

Tracklist

  1. El aparato
  2. La ingrata
  3. El ciclón
  4. El borrego
  5. Esa noche
  6. 24 horas
  7. Ixtepec
  8. Trópico de Cáncer
  9. El metro
  10. El fin de la infancia
  11. Madrugal
  12. Pez
  13. Verde
  14. La negrita
  15. El tlatoani del barrio
  16. Las flores
  17. La pinta
  18. El baile y el salón
  19. El puñal y el corazón
  20. El balcón






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