Chicago

Chicago VII

1974 (Columbia)
jazz-rock, mor

Per conoscere le origini dei Chicago e il percorso che li portò a registrare il loro sesto album in studio (settimo contando il disco dal vivo "Chicago At Carnegie Hall" del 1971) [nota 1], si rimanda alla lettura della relativa monografia appena pubblicata su OndaRock. Questo articolo è specificamente dedicato al disco in questione e alle motivazioni che lo rendono l'opera più importante della loro carriera.

Durante il tour di sostegno all'album "Chicago VI" (1973) il gruppo inserisce in scaletta una serie di jam e divagazioni fortemente influenzate dal jazz, nelle sue più ampie declinazioni: non si tratta di un approccio di per sé inedito, se si conta che ha suonato jazz-rock sin dall'album di debutto ("Chicago Transit Authority" del 1969, nel quale trovarono spazio fughe strumentali con tratti anche ostici e sperimentali), ma è in aperto contrasto con il nuovo percorso.
I due album più recenti, infatti, avevano almeno in parte abbandonato quel modus operandi, diminuendo di molto sia il minutaggio complessivo, sia quello degli specifici brani, senza più concedere spazio a tracce particolarmente lunghe.
Anche il suono si era reso più appetibile, con ampio ricorso a orchestrazioni ben curate, in più di un tratto fino a sconfinare in quel formato che all'epoca veniva indicato come Mor (acronimo di "Middle of the road"), ossia una formula pop rock dai volumi contenuti e particolarmente remunerativa a livello commerciale, per quanto non necessariamente scadente a livello artistico (vi rientravano anche artisti celebrati dalla critica come Simon & Garfunkel, Carpenters e James Taylor). Ai Chicago però, dato che inizialmente proponevano tutt'altro, i giornalisti non sembravano avere intenzione di condonare quella svolta. Lo scontento al riguardo serpeggiava invero anche all'interno della band, con il batterista Danny Seraphine e il sassofonista Walter Parazaider a spingere con convinzione per un ritorno al jazz-rock e alla creazione di brani strumentali.

La band inizia così a registrare materiale ruotante intorno all'ala più oltranzista della band, con l'intenzione di tentare un disco interamente jazz, fino a che il bassista e cantante Peter Cetera e il produttore James Williams Guercio [nota 2] non suonano l'allarme: i Chicago vengono da una lunga serie di dischi di successo e uno stacco tanto radicale potrebbe generare una pericolosa contrazione di popolarità.
Sorge la necessità di includere nel progetto canzoni capaci di entrare in classifica, ma non volendo rinunciare a quanto già registrato, si decide di trovare spazio per tutto ricorrendo a un doppio vinile, formato che la band aveva utilizzato per i suoi primi tre album, ma che sembrava ormai avere abbandonato.
Le sessioni si tengono al Caribou Ranch in Colorado. La vasta proprietà, acquistata e adattata in studio di registrazione da Guercio, consente alla band un lavoro immersivo e tempi più rilassati. Dopo cinque mesi di sessioni, a partire dall'agosto del 1973, l'album è terminato.
"Chicago VII" esce l'11 marzo 1974. Il titolo con la numerazione romana è presente sulla costa delle edizioni in cassetta e Stereo8, ma è assente sul vinile, che riporta soltanto il nome della band. Le ristampe in cd, iniziate nel 1990, lo hanno sempre incluso.

La scaletta si apre con "Prelude To Aire", sul suono di un bongo a cura del percussionista brasiliano Laudir de Oliveira: gregario di Sérgio Mendes, tramite il quale i Chicago lo conobbero, de Oliveira aveva già suonato in "Chicago VI" e dal successivo "Chicago VIII" (1975) sarebbe diventato un membro della band a tutti gli effetti. Anche se è ancora solo un turnista, il suo apporto segna profondamente l'opera, infondendole un carattere che in più tratti sfocia nel latin jazz. "Prelude To Aire" si muove su un tappeto di percussioni - il bongo e la cuíca di de Oliveira, più il tom-tom di Seraphine, autore del brano - e affida le melodie agli svolazzi del flauto di Parazaider e al suono degli archi imitati da un mellotron, suonato dal tastierista Robert Lamm.
"Aire" è firmata da Seraphine, Parazaider e James Pankow, il trombonista (che si trova a suo agio tanto nel contribuire all'ala più sperimentale, quanto nello scrivere canzoni lineari e adatte alle radio). Si tratta di uno strumentale di sei minuti e mezzo, introdotto da un tema di fiati in 7/8, col tempo che poi muta in 7/4 a partire dal contorto assolo jazz/blues del chitarrista Terry Kath (da 2'19'' a 4'43'').
"Devil's Sweet", di oltre dieci minuti, viene introdotta dal sax di Parazaider (nuovamente firmatario, insieme a Seraphine) e dal flicorno di Lee Loughnane, il trombettista. Il tema ricorre a un'armonia quartale, inusuale nel mondo del rock ma più comune in jazz e musica classica. Lo sviluppo presenta più sezioni, con tappeti percussivi poliritmici, assoli di batteria, swing guidati da basso e piano elettrico Fender Rhodes, assoli di sintetizzatore Arp 2600 (per cortesia del turnista David "Hawk" Wolinski) e ribollenti fughe jazz-funk.

Il secondo lato si apre con "Italian From New York" (Lamm), con l'Arp 2600 che emette beep fantascientifici, il Fender Rhodes che sembra imitare un segnale telefonico e un assolo atonale di Kath con ampio uso di wah-wah.
Dopo il bozzetto "Hanky Panky", è il momento di "Life Saver" (Lamm): dapprima un vitale rock fiatistico, poi marcia guidata dal pianoforte e dalla voce filtrata di Lamm, a cui fa da contraltare il coro al naturale dei compagni. È la prima vera canzone in scaletta.
"Happy Man" è firmata da Cetera, che dopo questo album andrà assumendo sempre più potere all'interno della formazione, con grande riscontro di pubblico, ma anche con notevoli contraccolpi in termini di qualità (a oggi, le loro tre canzoni più note - le melense ballate "If You Leave Me Now", "Hard To Say I'm Sorry" e "You're The Inspiration" - sono tutte a sua firma). Si possono già intuire gli eccessi che caratterizzeranno le sue creazioni future, per quanto l'andamento bossa nova riesca ad alleggerire i toni e a renderla gradevole.
Nella versione originale in vinile il brano contiene una falsa partenza di quindici secondi, che è poi stata rimossa in alcune ristampe in cd e nei servizi di streaming ufficiali.

Il secondo vinile è aperto da "(I've Been) Searchin' So Long" di Pankow, cantata da Cetera e scelta come singolo di lancio: ai primi tre minuti, archetipica ballata Mor trasmessa non a caso in continuazione dalle radio dell'epoca, contrappone un finale al crocevia fra soul e rock barocco, con tanto di arrochimenti vocali, chitarre distorte e schizzi orchestrali.
"Mongonucleosis" (Pankow), prevalentemente strumentale a parte qualche gridolino e un coretto nella parte iniziale, è un pionieristico ibrido fra salsa e rock (oltre a suonare il trombone, l'autore si cimenta ai timbales), mentre "Song Of The Evergreens", scritta da Kath e debutto come cantante solista di Loughnane, è un midtempo guidato da pianoforte acustico e una chitarra effettata con un pedale rotary, che si trasforma in cavalcata dai paesaggi cosmici a partire da 2'13'', arrivando in contemporanea al progressive pop corale dei Supertramp di "Crime Of The Century" e con un paio d'anni d'anticipo sull'Alan Parsons Project.
"Byblos", scritta e cantata da Kath, è un folk rock jazzato con grande dispiego di tastiere - Fender Rhodes e flauti imitati dal Mellotron (di nuovo, il turnista Wolinski), limpide note di piano acustico mixato in primo piano (Wayne Tarnowski, altro turnista) - e percussioni: al bongo di de Oliveira si aggiungono la grancassa di Seraphine e le congas dell'ospite Guille Garcia, cresciuto in Florida ma di origini cubane.

Inaugura l'ultimo lato "Wishing You Were Here", forse l'unico brano mai firmato da Cetera a potersi definire sperimentale: nonostante sia stato scelto come terzo singolo e la melodia risulti in effetti molto accattivante, sia la tonalità in Re minore, sia la struttura in più sezioni (la strofa cantata da Kath, il refrain corale, un intermezzo con vocalizzi astratti e uno cantato dall'autore), sia l'atmosfera fiabesca in qualche modo parente del Canterbury sound (vengono in mente i Caravan) contribuiscono a renderlo uno dei momenti più originali in scaletta. Le armonie vocali vedono il prezioso contributo di tre Beach Boys: Al Jardine, Carl Wilson e Dennis Wilson.
"Call On Me", debutto di Loughnane come autore, cantata da Cetera e pubblicata come secondo singolo, potrebbe rappresentare lo stampo di base per tutto lo yacht rock. La sua estrema vicinanza a molto materiale degli Steely Dan dimostra come il confine fra una band spesso maltrattata dai critici, quali i Chicago, e una invece idolatrata, come furono gli autori di "Aja", sia spesso del tutto pretestuosa.
Lamm firma i due brani finali, entrambi in omaggio alla sua passione per la black music: il funk rock di "Woman Don't Want To Love Me", cantato da Cetera, e il soul di "Skinny Boy", cantato dall'autore con le Pointer Sisters ospiti ai cori.

"Chicago VII" raggiunge il numero 1 di Billboard il 27 aprile del 1974 e rimane in classifica per 69 settimane, ricevendo in sostanza una netta approvazione da parte del pubblico. Come al solito, i critici risultarono meno entusiasti: si ricorda in particolare la recensione di Peter Reilly per "Stereo Review", una sequela di insulti gratuiti senza alcuna reale argomentazione ("Credo che preferirei passare del tempo con i Chicago Seven che sono comparsi in tribunale innanzi al giudice Hoffman piuttosto che con questo album che porta lo stesso nome. I Chicago neanche fanno davvero musica, tanto meno musica rock. Invece, creano una serie di eccessi che suonano di tendenza e che sembrano più un sottofondo per uno spot televisivo che pubblicizza una moto, un nuovo yogurt o qualche altro prodotto all'ultimo grido per il consumatore alla moda": sono scritti come questo a fare sì che i giornalisti che si occupano di musica rock non vantino alcuna considerazione in ambito accademico).

"Chicago VII" è di fatto uno dei dischi jazz-rock più variegati di sempre: nei suoi solchi si spazia da musiche che potrebbero stare in un disco di avant-garde jazz ad altre adatte a una raccolta di rock radiofonico, passando per tutte le possibili sfumature nel mezzo e senza dimenticare più di uno sguardo all'infuori dei confini nazionali, fino ai Caraibi e al Brasile.
Anche senza contare l'impatto esterno, pure per la carriera della band la sua centralità è evidente: è stato il loro ultimo album doppio, l'unico disco in cui tutti e sette i membri hanno firmato del materiale, quello con la strumentazione più variegata fino a quel momento e registrato con maggior libertà, tanto che i membri arrivarono in più di un tratto a scambiarsi gli strumenti (non era mai accaduto prima). Infine, a parità di canzoni valide, le divagazioni strumentali risultano più strutturate e coese di quelle dei loro primi lavori (si pensi alla gratuita "Free Form Guitar" da "Chicago Transit Authority" o alle frammentate suite di "Chicago II").

Il sogno terminò ben presto: "Chicago VIII" raggiunse di nuovo il numero 1, ma rimase in classifica soltanto per 29 settimane, meno di qualsiasi loro album fino a quel momento, e a quel punto le ambizioni artistiche vennero riposte in soffitta, aprendo le porte agli eccessi zuccherini di Cetera. Poco male: indipendentemente da cosa accadde in seguito, per almeno un lustro - dal 1969 al 1974, periodo di rara densità per lo sviluppo della musica popolare - i Chicago furono una delle band intorno a cui ruotò la scena rock statunitense.


[nota 1] In mezzo ci sarebbe in realtà anche un "Live In Japan" (Cbs/Sony, 1972), che però non viene inserito nel computo, essendo uscito esclusivamente sul mercato giapponese.

[nota 2] Produttore, fra gli altri, anche di Buckinghams e Blood, Sweat & Tears, lavorò con i Chicago dal loro debutto fino al 1977, quando la band se ne distaccò, sospettando che avesse sottratto loro parte dei profitti nel corso degli anni.

26/07/2024

Tracklist

  1. Prelude To Aire
  2. Aire
  3. Devil's Sweet
  4. Italian From New York
  5. Hanky Panky
  6. Life Saver
  7. Happy Man
  8. (I've Been) Searchin' So Long
  9. Mongonucleosis
  10. Song Of The Evergreens
  11. Byblos
  12. Wishing You Were Here
  13. Call On Me
  14. Women Don't Want To Love Me
  15. Skinny Boy

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