Nel 2007 il quotidiano slovacco "Nový Čas" ha chiesto a un pannello di venticinque artisti, produttori, critici e personalità connesse al mondo della musica, di redigere una classifica dei più grandi dischi nella storia della nazione (incluso il periodo precedente allo scioglimento della Cecoslovacchia).
Come risultato, i progetti del tastierista Marián Varga hanno occupato tre dei posti in top 10: numero 1 con "Zvoňte zvonky" dei Prúdy, numero 2 con "Konvergencie" dei Collegium Musicum e numero 9 con "Zelená pošta", cointestato a Varga e al suo frequente compagno di avventure Pavol Hammel.
Varga nasce a Skalica nel 1947, ma si trasferisce a Bratislava sin da bambino e nel 1954 inizia a prendere lezioni di pianoforte. La musica classica rappresenta il suo intero universo per almeno un decennio, con studi concentrati in particolar modo sui compositori dell'Europa dell'Est: Shostakovich, Prokofiev, Stravinsky e Bartók, nonché maestri della scena locale come Dezider Kardoš e Ján Cikker, poco noti a livello internazionale, ma fondamentali nell'influenzare l'estetica del giovane pianista e dare risalto alle proprie radici culturali.
I suoi interessi si espandono all'infuori della classica quando nel 1964 il fenomeno Beatles raggiunge la Cecoslovacchia. Nel 1967 Varga lascia il conservatorio, dopo cinque anni di studi, e assume il ruolo di tastierista per i Prúdy, gruppo di pop psichedelico fondato dal cantante e chitarrista Pavol Hammel.
Farà parte della formazione giusto il tempo di un paio di singoli e dello storico album di debutto, il sopraccitato "Zvoňte zvonky" (1969), pur rimanendo in seguito in ottimi rapporti con Hammel.
Prende la decisione di creare un altro tipo di band dopo aver assistito a un paio di concerti nel 1968: i Trinity di Brian Auger, a Bratislava, e i Nice di Keith Emerson, a Praga, nomi che danno l'idea della diffusione del rock e della cultura occidentale da quelle parti, oltre che del senso di crescente libertà che si respirava fra i più giovani, al culmine della parabola politica di Alexander Dubček.
Nell'aprile del 1969 Gustáv Husák diventa il nuovo segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia, con l'approvazione dell'Unione Sovietica, e avvia una dura repressione nei confronti di tutti i riformisti, poi passata alla storia come "normalizzazione": la scure si abbatte anche sul mondo dell'arte e in particolare sulla musica rock.
Le nuove band devono vestire in modo appropriato, evitare i capelli lunghi e se possibile la lingua inglese, sottoporre i testi delle canzoni e le grafiche dei dischi alle censure di appositi comitati e richiedere infine la patente per diventare musicisti a livello professionale, fallendo l'ottenimento della quale viene loro proibito di incidere dischi e suonare dal vivo. In sostanza, o i musicisti diventano impiegati statali o risultano impossibilitati a sostentarsi economicamente con quel lavoro.
È in questo clima che Varga fonda i Collegium Musicum, che trovano tuttavia relativa via libera per una serie di coincidenze: primo, le grandi capacità di Varga come strumentista virtuoso, ben viste dai funzionari di partito che tenevano a mettere in mostra i talenti locali (anche in ottica di rivalsa della produzione artistica slovacca, che ha sempre patito una sorta di complesso di inferiorità rispetto alla più popolata e ricca scena ceca); secondo, la vicinanza di Varga al mondo della musica classica, capace di ammantare la sua proposta di un'aura accademica e mitigare così il senso di ribellione solitamente abbinato alla musica rock; terzo, il fatto che la normalizzazione fu nettamente più dura in Cechia che in Slovacchia (forse perché i moti di insofferenza sociale e culturale nei confronti del regime avevano il proprio epicentro a Praga).
La nuova band consiste in Varga all'organo Hammond (uno dei pochi disponibili nella nazione all'epoca), supportato da Fedor Frešo al basso e da Dušan Hájek alla batteria (entrambi avevano militato in un'effimera formazione di musica beat di Bravislava, i Soulmen, da cui sarebbe fuoriuscito anche Dežo Ursiny, cantante e chitarrista capace di una prolifica carriera al confine fra jazz e rock progressivo).
Nei Collegium Musicum milita anche un chitarrista, il cui ruolo non riesce però a stabilizzarsi: sarà Pavel Váně per il singolo "Hommage à J. S. Bach" (1970), Rastislav Vacho per il primo album, portante come titolo il nome della band e registrato fra il 26 e il 28 ottobre 1970, e František Griglák per "Konvergencie", il doppio Lp oggetto dell'articolo. Quest'ultimo viene registrato fra il settembre e l'ottobre del 1971, proprio quando l'album di debutto sta raggiungendo i negozi (ci sarebbe qui da aprire una parentesi sugli enormi distacchi temporali fra la registrazione e la pubblicazione che affliggevano l'industria musicale nei paesi del Patto di Varsavia, dovuta sia ai controlli censori, sia alla burocrazia elefantiaca, sia alla scarsità fisica del materiale con cui fabbricare i dischi).
Si tratta di un progetto particolarmente ambizioso, per il quale la band riceve grande sostegno dall'apparato amministrativo locale. Torna di nuovo in ballo la rivalità implicita fra la scena ceca e quella slovacca: nel 1968 è stata fondata la Opus, etichetta discografica dislocata in Slovacchia con il compito di rappresentare i musicisti locali, che fino a quel momento dipendevano dalla Supraphon, etichetta di stato diretta da Praga, che aveva sì concesso una sottodivisione a Bratislava, ma rimaneva pur sempre un organo di controllo centralizzante.
Con la nascita della Opus l'apparato slovacco ha finalmente la possibilità di mettersi in mostra con reale autonomia: i Collegium Musicum, dati i talenti coinvolti, sono visti come un'occasione da non perdere. Viene pertanto concesso a Varga di dare fondo a tutte le sue ambizioni e questi risponde mettendo in piedi un mastodontico doppio Lp (fatto più unico che raro, date le difficoltà di approvvigionamento di cui si è già accennato), con una suite per lato, per 82 minuti di musica.
In più, rifilando un grande smacco all'etichetta rivale, la Opus si impegna per far uscire il disco a distanza il più possibile ravvicinata alle sessioni di registrazione: "Konvergencie" raggiunge così i negozi entro la fine del 1971, poche settimane dopo l'album di debutto, distribuito dalla Supraphon.
Certo, qualche scaramuccia coi comitati censori è inevitabile, ma quello viene ormai messo in conto da qualsiasi musicista si appresti a pubblicare qualcosa: il fotografo Tibor Borský realizza per la copertina una foto con i quattro membri della band all'interno di una casa diroccata, su cui viene però posto il veto (si suppone perché interpretabile come simbolo di povertà). In alternativa, sceglie uno scatto che raffigura il solo Varga nell'atto di indossare una giacca: questo riesce a passare, ma solo dopo aver rimosso tramite un ritocco la sigaretta dalla bocca del musicista. Inoltre, dall'elenco dei collaboratori presente nella confezione viene espunto il nome del regista Juraj Jakubisko, curatore del lettering: fra i grandi maestri del cinema cecoslovacco, fu uno dei tanti epurati durante la normalizzazione, benché riuscì poi a riciclarsi come autore di cortometraggi.
Le sessioni di registrazione, tenutesi presso gli studi radiofonici di Stato a Bratislava, vengono dirette da Varga e Frešo con l'appoggio del giovane Vladimír Valovič, trombettista e direttore d'orchestra, destinato a diventare uno dei produttori di riferimento della scena locale e un frequente collaboratore di Varga.
È impressionante che l'album sia uscito nel 1971, anno in cui la Gran Bretagna generava "Tarkus" di Emerson Lake & Palmer e l'Italia "Collage" delle Orme, per dire due facili paralleli che possono venire in mente ascoltandolo (sono tutti dischi di rock progressivo guidati dalle sonorità dell'organo elettrico).
La maturità stilistica e la cristallina qualità sonora dell'incisione fanno piazza pulita di qualsiasi stereotipo sull'arretratezza della musica dall'altra parte della cortina di ferro, benché vada specificato che l'album fu prodotto con il massimo dello sforzo, per i motivi già accennati (non tutti gli altri musicisti cecoslovacchi dell'epoca ebbero la stessa fortuna, per quanto le due scene seppero regalare diversi grandi classici in area prog).
Il lato A è occupato per intero da "P. F. 1972" (il titolo è l'acronimo di "pour féliciter", francesismo a tutt'oggi utilizzato in Cechia e Slovacchia per fare gli auguri di buon anno), composta da Varga.
Un riff di Hammond su svisate ritmiche jazzate è seguito da una sezione dal passo più rigido, con divagazioni in cui lo strumento subisce modifiche timbriche e di volume, inframezzate solo per un breve tratto da un assolo di chitarra con sustain. L'organo alterna parti pulite a distorte, echeggianti a secche, delicate a violente, suonate in lontananza a mixate in primo piano, ma sempre mantenendo un deciso gusto melodico. A 6' 48'' imbocca un tema che fa poi da base per un coro di voci bianche, che spinge l'atmosfera verso le festività di fine anno:
La neve arriva,Il testo è stato scritto da Kamil Peteraj (poeta, drammaturgo e fra i più prolifici autori di testi nella storia della musica locale). La scelta della carola natalizia non è casuale: la Slovacchia, così come in generale i paesi cattolici dell'Europa dell'Est, vanta una sentita tradizione in questo campo, riverita anche dai compositori di musica classica, ed è pertanto ovvio che un artista con la formazione di Varga ci si sia voluto confrontare. In più, con un clima censorio in quel periodo particolarmente accanito, la scelta mette al sicuro da eventuali tagli imposti dall'alto.
la neve vola via,
l'albero ci suona un canto di Natale,
il cavallo trascina le stelle.
Stelle dorate insonni
cadono dai sogni di Natale,
ne prendi una che non vedi più,
la casa ne è piena la sera.
Tira il cavallo,
l'inverno sta chiamando,
il gelo sparge scintillii,
tira il cavallo
sopra le case,
tempo di bianco Natale
I.Il lato D è per "Eufónia", caotica fantasia strumentale in cui Varga domina in lungo e in largo: il resto della band appare solo nei primi cinque minuti, per poi lasciare spazio al padrone di casa, fra Hammond, piano preparato e manipolazioni varie (sul finale entra di nuovo un coro di voci bianche, questa volta frammentato e incomprensibile).
Il vento ha rotto quella stanza di vetro molto tempo fa,
quella stanza di vetro piena di bellezza.
Se vuoi andiamo insieme sotto al gazebo,
ci porteranno due vecchi carri.
Una notte come questa è tutta ricoperta d'oro
e si riflette sull'acqua, l'acqua del pozzo.
Guarda, oggi ti darò tutto,
nascondi appena un sorriso nel palmo della mano, un sorriso triste.
Chi non sa dove andare cerca la colpa in sogno,
in casa ha solo vasi vuoti,
al mattino scrive delicatamente sulla pergamena
e disegna con il dito sulle finestre.
Guarda, oggi ti darò tutto,
anche una dolce rosa, una rosa dolce.
Prenderò il cuore del vecchio orologio
e ti canterò canzoni da arcolaio.
Il vento spezza le parole invano, invano,
non so più dove trovarti,
e l'arco azzurro del nostro amore invecchia,
anche gli alberi vogliono crescere insieme.
II.
Ho la tua neve sulla mia finestra,
dalla finestra guardo fuori,
lì, alla bellezza della slitta bianca,
lì, alle ali dei corvi,
mi piace guardare le ali dei corvi che volano verso di noi.
Qualche giorno è già volato dentro di noi,
qualche giorno il tempo cambia,
tempo che amo immensamente,
tempo di vittorie e sconfitte,
tempo di giochi blu quando perdo la strada, [nota 2]
tempo che perde [...]
III.
Si apre il cancello invernale,
la torre si inclina nel silenzio,
le mattine cadono dalle sagge campane
come le stelle nei meli,
piove dalle stelle del mattino,
voglio guidarti con la rugiada,
scriverò sui volti bagnati,
in silenzio per sempre nella stretta delle mani,
portano fiori in un vecchio carro,
l'amore vano sfugge di mano
15/12/2024