Counting Crows

August And Everything After

1993 (Geffen Records)
alternative-rock, folk-rock

One for sorrow, two for joy
Three for girls, and four for boys
Five for silver, six for gold
Seven for a secret never to be told
È il 1992 e la Geffen Records sta ancora smaltendo la sbornia da successo dovuta ai numeri da capogiro di "Nevermind" dei Nirvana, che secondo le previsioni dell'etichetta avrebbe dovuto vendere al massimo 250.000 copie. L'apogeo commerciale del grunge è praticamente alle porte. "È fruscio di denaro fresco, è il suono dell'underground che finalmente fa i soldi", sembra aver dichiarato Bruce Pavitt, fondatore della Sub Pop, a chi gli chiedeva una definizione del fenomeno in ascesa.
In mezzo alla Generazione X dei primi anni Novanta, che si lacera anima e corde vocali, c'è anche qualcuno che i propri tormenti preferisce cullarli nell'intimità di una camera da letto, asciugandosi le lacrime con le maniche di un maglione spanciato, come quello di Adam Duritz, trentenne del Maryland, adottato dalla baia di San Francisco e qui cresciuto artisticamente. Sorprendentemente, in questo spazio per romantici perdenti si può parlare anche il linguaggio della tradizione, di Van Morrison e di The Band, di un roots-rock fuori moda, che sembrava aver già dato tutto dopo il revival dei primi anni Ottanta, breve fisiologica reazione alla corrente new wave (Tom Petty, John Mellencamp, John Fogerty, T Bone Burnett).

Nell'anno di "Nevermind", i Counting Crows, senza ancora pubblicazioni alle spalle, hanno tra le mani soltanto una raccolta di demo, la cui metà andrà a formare, sotto vesti più complesse, il loro debutto discografico. In breve tempo queste demo raggiungono le orecchie dell'industria americana e i Counting Crows possono scegliere tra sei etichette per firmare il loro primo contratto discografico. Alla fine - chissà perché - la decisione ricadrà proprio sulla Geffen, che nel settembre del 1993 darà alle stampe un album che venderà oltre 7 milioni di copie. Nella copertina ambrata un manoscritto rivela i versi di una canzone che, pur trattandosi della title track, sarà esclusa dal disco per essere pubblicata soltanto venticinque anni dopo.

"August And Everything After" è un album che non ripudia il sound radiofonico, ma che accetta compromessi fintanto che essi non superino il confine prestabilito. Ne è un esempio l'esigenza di comunicare anche attraverso pause e silenzi, come quello di quasi dieci secondi che introduce la prima traccia dell'album. La produzione di T Bone Burnett impregna il sound di provincia americana e di Appalachi (hammond, banjo, mandolini, fisarmoniche), mentre le parole di Duritz popolano i testi di paesaggi talvolta urbani e talvolta rurali, ma sempre e comunque desolanti.

Nella introduttiva "Round Here" - canzone che si sviluppa sull'incedere di una chitarra zoppicante, magistralmente eseguita nel famoso live al David Letterman Show - un uomo esce dalla porta di casa come un fantasma, per gettarsi in mezzo alla nebbia, "dove nessuno fa caso al contrasto tra il bianco e il bianco" e "alla sottilissima differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato". Quest'uomo incontrerà una donna che viene da Nashville con una valigia in mano, in equilibrio precario tra l'idea di imitare Elvis, capire Gesù o togliersi la vita lanciandosi da un palazzo di chissà quanti piani.
È questa la poetica di Duritz, in bilico tra reale e surreale, ed è lancinante. Si esprime attraverso descrizioni, flussi di coscienza e discorsi diretti di personaggi che talvolta rappresentano l'alter-ego dello stesso autore e altre volte persone che con quest'ultimo hanno condiviso un parte della propria esistenza, come nell'autobiografica "Anna Begins", ballata dai toni chiaroscuri, che racconta la breve relazione tra il cantante dei Counting Crows e una donna australiana conosciuta in Grecia, durante una vacanza in un'isola semideserta. Le tonalità minori delle strofe si aprono a quelle maggiori del ritornello, proprio come le nubi oscure - ossia la paura della ragione, conscia di un rapporto impossibile - si dipanano al filtrare dei raggi solari - ovvero la passione, che con il suo vorticoso incedere tutto travolge.

Se si esclude il singolo di lancio, "Mr. Jones", hit di un'intera generazione (e forse più), non ci sono inni in "August And Everything After", soltanto scosse e vibrazioni di un'anima che si disintegra lentamente, secondo dopo secondo. Lo scorrere del tempo in "Time And Time Again" non sembra capace di lenire un abbandono insostenibile: "Ti immaginavo mentre camminavi a ritroso per avere la sensazione che stessi tornando a casa", canta Duritz nella prima strofa, mentre batteria e chitarre fluttuano sul tappeto di hammond di Charlie Gillingham, strumento protagonista del disco. Il brano cammina su terreni slowcore, dove si possono scorgere le impronte di Mark Eitzel e Mark Kozelek, come nella magnifica "Ghost Train", apice dell'album, fotografia sfocata di un treno colmo di fantasmi, cioè di ricordi, stipati in vagoni che diventano sempre più numerosi, mentre corrono lungo i binari di un tempo (time again...) che procede troppo velocemente.

In questi luoghi desolati dell'anima e dell'America l'unica consolazione si nasconde in quei brevi istanti tra il sonno e la veglia raccontati da "Perfect Blue Building", dove la mente di Adam Duritz vaga in una Berkeley onirica, tra palazzi spettrali e zone residenziali, come quei dedali di case che si snodano tra Virginia Street e La Loma Avenue. Nulla di catastrofico, soltanto il tremendo orrore di una vita spenta e senza scopo, dove l'unica fuga risolutoria sembra essere quella che porta lontani da sé stessi. Eppure per Duritz anche soltanto allontanarsi dalla Baia di San Francisco sembra impossibile. "Sullivan Street" - con pianoforte, elettrica pulita e controcanti femminili di Maria McKee - racconta il lungo tragitto che dalle colline intorno a Berkeley conduce fino a San Mateo, attraversando il ponte sulla 92, quello per riportare a casa Susan, uno dei tanti amori di Duritz.
La minimalista "Raining In Baltimore" e l'opulenta "Omaha" rappresentano lo zenith e il nadir del disco: una intima ballata voce e pianoforte la prima, un inno roots-rock con echi di country e di musica celtica la seconda, che riprende le atmosfere dei The Band e dei romanzi di Mark Twain: da qualche parte, canta Duritz, nell'America più profonda, "il colore scivola con l'arrivo della pioggia estiva, una ragazza fra i campi inizia a cambiare e nasce un nuovo amore". Pioggia come lacrime in Baltimora, pioggia come purificazione in Omaha e pioggia come simbolo di prestigio e spiritualità in "Rain King", un pop-rock trascinante in stile Rem, che si ispira a Henderson, protagonista di uno dei più famosi romanzi di Saul Bellow, Premio Nobel nel 1976.

A dispetto del contenuto fortemente intimista e autobiografico - non a caso Adam Duritz è nato nell'agosto del 1964 - "August And Everything After" è un album che non si appiattisce, ma incalza grazie all'interpretazione dello stesso Duritz - teatrale, ma anche predisposta a divagare su territori soul - all'ironia dei testi e ai riferimenti letterari, figli del background accademico del leader, che rendono il debutto dei Counting Crows non solo un diario di autocommiserazione generazionale, ma anche una sorta di piccolo almanacco di cultura americana. Il nome stesso della band deriva da una filastrocca molto diffusa tra le comunità anglofone, che unisce superstizione a folklore, riassumendo la leggenda popolare secondo cui il numero dei corvi che si palesano in una data circostanza è, a seconda dei casi, presagio di fortuna o di sventura.
L'immagine dipinta dai versi di Duritz nel rock elettrico della conclusiva "A Murder Of One" - che anticipa le sonorità del successivo album "Recovering The Satellites" - ricorda un'opera impressionista: "Ho sognato di vederti camminare su una collina innevata, proiettavi ombre sul cielo invernale, mentre te ne stavi lì, a contare i corvi: uno per il dolore, due per la gioia, tre per le ragazze e quattro per i ragazzi, cinque per l'argento e sei per l'oro, sette per un segreto da non svelare mai".

"August And Everything After" è in definitiva un album che comunica attraverso due dimensioni: quella autobiografica e quindi più universale, in grado di scavare dentro chi ascolta richiamando alla mente momenti di vita vissuta, e quella folkloristica e quindi più territoriale, capace di raccontare - con musica e parole - spaccati di un'America urbana e rurale, per molti soltanto immaginata.

13/04/2025

Tracklist

  1. Round Here
  2. Omaha
  3. Mr. Jones
  4. Perfect Blue Buildings
  5. Anna Begins
  6. Time & Time Again
  7. Rain King
  8. Sullivan Street
  9. Ghost Train
  10. Raining in Baltimore
  11. A Murder of One




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